Elezioni provinciali ad Asti, denunce e pizzini del sindaco Rasero: «Disse, votate così». Mercoledì 12 la decisione del gip

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di Massimiliano Nerozzi

Ma il pm chiede l’archiviazione. A denunciare la vicenda fu l’ex assessore comunale Mario Bovino

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Sul fatto non ci sono grossi dubbi: «È vero che Rasero ci aveva dato indicazioni su come scrivere il nome di Nosenzo sulla scheda — fa mettere a verbale un consigliere comunale di maggioranza, sentito dal Procuratore aggiunto Laura Deodato — ed è «vero che in occasione della riunione, Rasero ha consegnato a ciascuno di noi presenti un foglio scritto a mano con le modalità con cui annotare il nome votato sulla scheda, ciascuno in modo diverso» e «alludo alle modalità grafiche, maiuscola, minuscola, corsivo, stampatello».

Dell’episodio però — il presunto reato elettorale del sindaco di Asti, Maurizio Rasero, nell’ambito delle elezioni provinciali del 2022 — vi sono due opposte letture: «La materialità della fattispecie di reato è insussistente», per la Procura, che ha chiesto l’archiviazione; mentre, va da sé, è stata commessa, secondo la denuncia presentata dall’ex assessore comunale Mario Bovino, tutelato dal professor Maurizio Riverditi. Insomma — nella ricostruzione dell’esposto — il primo cittadino «avrebbe imposto ai consiglieri comunali appartenenti al suo schieramento politico di esprimere il voto al candidato Simone Nosenzo, sindaco di Nizza Monferrato»; poi eletto vicepresidente della Provincia. Con modalità — la distribuzione di una sorta di pizzini — che richiamano i più cupi casi della storia repubblicana: «Tale contegno — riassume la Procura nella richiesta di archiviazione — si sarebbe estrinsecato nell’obbligare i consiglieri al voto, ponendosi nelle condizioni di poter controllare a seguire che si fossero attenuti al premesso impegno, usando segni distintivi nella espressione della preferenza che fossero verificabili (uso di lettere maiuscole, minuscole, modalità grafica di talune lettere, ecc. ecc.)». Indicazioni — in punto fattuale — confermate dal consigliere di maggioranza, lo stesso che, in una chiacchierata informale, avrebbe raccontato l’episodio a Bovino.




















































Sulla questione, complessa e delicata, deciderà mercoledì 12 febbraio il gip Claudia Beconi, dopo che l’ex assessore, davanti alla richiesta di archiviazione della Procura, aveva presentato opposizione. Sullo sfondo del duello giudiziario c’è il quadro politico, visto che poco prima di Natale Rasero aveva poi fatto fuori Bovino, all’epoca assessore al Commercio. Una tempesta tra esponenti di Forza Italia, ma dalla quale il partito azzurro s’è chiamato fuori, scaricando subito Bovino: «La sua è stata un’iniziativa a titolo personale», il succo del messaggio. Così come s’è sempre detto sereno Rasero, difeso dall’avvocato Piermario Morra: «Ho massimo rispetto del lavoro della magistratura e aspetterò fiducioso l’esito dell’udienza davanti al gip, chiamato a decidere sull’istanza di archiviazione formulata dalla Procura».

La vicenda, nonostante riguardi un’elezione di secondo grado — cioè nella quale non votano direttamente i cittadini, ma sindaci e consiglieri comunali —, pare tutt’altro che formale, ma tocca le radici e il senso stesso della democrazia. Per questo, a supporto della denuncia, il legale di Bovino aveva fatto seguire il deposito di un parere pro-veritate firmato dal professor Enrico Grosso, ordinario di Diritto costituzionale alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Torino: «Con riferimento alle specifiche norme sanzionatorie poste a presidio della libertà e segretezza del voto in occasione di elezioni amministrative, e in special modo in occasione delle elezioni provinciali — argomenta il costituzionalista — l’applicabilità della sanzione di volta in volta stabilità consegue all’accertamento del comportamento materiale tenuto dal soggetto agente, senza che debba essere dato alcun rilievo all’effettivo “raggiungimento dello scopo”, o all’intenzione percepita dal singolo elettore cui sia stato chiesto di “sacrificare” tale libertà». Come dire, che i principi di libertà e segretezza del voto, «ai sensi dell’articolo 48, comma 2, della Costituzione», non sono negoziabili, in alcun caso.

Perché poi il consigliere di maggioranza — sentito come persona informata sui fatti dal Procuratore aggiunto — aveva precisato, più volte, di non aver subito «alcuna forma di pressione, in nessun ambito del mio esercizio politico e istituzionale; in genere ho sempre agito in autonomia, condivisione, apertura e dialogo». 

Di più, «non c’è stata alcuna imposizione» — aveva aggiunto — e se era «vero che Rasero ci aveva dato indicazioni su come scrivere il nome di Nosenzo, io non avevo prestato attenzione particolare, dal momento che avrei votato così comunque».

Di contro, la difesa di Rasero aveva depositato «delle note a commento del parere pro-veritate», scritte dall’avvocato amministrativista Riccardo Montanaro, che ha setacciato la giurisprudenza del ramo: e «la conseguenza di queste indicazioni giurisprudenziali amministrative è di tutta evidenza: se una modalità di voto suggerita non integra una violazione delle regole amministrative di voto, a maggior ragione non può certo integrare una fattispecie di reato».

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Due, invece, i punti alla base della richiesta di archiviazione della Procura: «Suggerire e concertare un nominativo da sostenere in occasione di elezioni di secondo livello non è un’imposizione, né lo diventa il possibile controllo successivo passibile di essere svolto per effetto del segno distintivo»; e, trattandosi di elettorato di secondo grado, «è ben difficile ipotizzare un’autentica coartazione, frutto dell’abuso delle attribuzioni pubbliche», come prevedono invece le norme del testo unico sull’elezione degli organi delle amministrazioni comunali. Ora, toccherà al giudice.

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11 febbraio 2025 ( modifica il 11 febbraio 2025 | 05:48)

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