Migranti in Albania, Meloni: «Non si può sbagliare». Ora il governo frena, anche per il voto a Tirana

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di
Monica Guerzoni

Palazzo Chigi pronto a informare il Quirinale del decreto

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Il 9 gennaio Giorgia Meloni aveva promesso che «i centri in Albania funzioneranno, funzioneranno, funzioneranno», dovesse passarci «ogni notte, da qui alla fine del governo italiano». Ma se la premier ha imposto ai suoi la consegna del silenzio è perché non tutto, nella gestazione del nuovo decreto anticipato dal Corriere, sta andando per il verso sperato.

Dopo il vertice di venerdì scorso con la premier, il ministro Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano, ieri è toccato ai tecnici di Palazzo Chigi e del Viminale sedersi di nuovo al tavolo per lavorare al testo del provvedimento che dovrebbe trasformare i due centri albanesi, inizialmente destinati al trasferimento dei migranti «soccorsi» dalle navi italiane, in Cpr per i rimpatri di persone irregolari che hanno già in tasca il provvedimento di espulsione. Ma nel corso della riunione, che non è filata affatto liscia, sono emersi interrogativi e dubbi e non è ancora alle viste il Consiglio dei ministri che dovrà dare il via libera: «Siamo in una fase tecnica, stiamo studiando la fattibilità delle norme».




















































Per la leader di FdI, trovare una soluzione al rebus dei centri di Shenjin e Gjader è ormai una vera ossessione politica, che ha il sapore della controffensiva nei confronti dei magistrati. «Non possiamo ogni volta aspettare che i giudici, siano essi i tribunali o le corti d’appello, fermino tutto rimettendosi alla Corte Ue — spiega un ministro, previa richiesta di anonimato —. Se non cambiamo schema di gioco, restiamo appesi alle loro sentenze». Dopo tre pronunce contrarie, che hanno di fatto reso inservibili le due strutture sorte dal patto tra Meloni ed Edi Rama, la donna che guida il governo è determinata ad aggirare le decisioni dei giudici con un nuovo provvedimento, ancor prima che si pronunci la Corte di Giustizia europea. Per quanto sia fiduciosa e convinta che «l’Europa ci darà ragione», ha fretta di aggiustare la narrazione facendo ripartire i centri.

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«Questa volta non possiamo sbagliare», è il monito che la premier ha consegnato agli esponenti del governo. Gli uffici legislativi della presidenza del Consiglio avrebbero già sondato il Quirinale e la stessa Meloni sarebbe intenzionata a informare personalmente il presidente Sergio Mattarella del nuovo decreto in gestazione. Le incognite però non mancano e i tempi del provvedimento potrebbero allungarsi. Tra i punti ancora oscuri ci sono i costi dell’operazione, che già tante armi hanno offerto alle opposizioni e che, con le nuove norme, potrebbero lievitare ancora: a Palazzo Chigi certo non vogliono rischiare altri esposti alla Corte dei Conti, dopo quelli già presentati da M5S e Italia viva.

Un altro ostacolo è il primo ministro Edi Rama, che si è allarmato non poco leggendo le notizie italiane. Fonti di Tirana smentiscono le anticipazioni («Nessun piano del genere è all’orizzonte»), anche se le nuove norme in gestazione sono state confermate da diversi ministri. Il problema, per il governo albanese, è tutto politico. L’11 maggio si vota e lo sfidante di Rama, Gazment Bardhi, ha già preparato la ruspa. Per il leader del Partito democratico di centrodestra «il patto con l’Italia è un danno per la reputazione internazionale di Tirana e lede il diritto comunitario, se vinciamo non lo applicheremo più». Ecco perché Rama non vuol sentir parlare di giurisdizione albanese sui Cpr, né di modifiche al protocollo firmato con Giorgia Meloni il 6 novembre 2023. Secondo fonti parlamentari il premier albanese ha chiesto all’amica italiana di «tenere i toni bassi» sui centri, per evitare che l’onda delle tensioni politiche torni a gonfiarsi nei prossimi mesi, in piena campagna elettorale.

Ecco allora che diventa vitale, per il governo italiano, trovare una formula che consenta di cambiare la tipologia dei destinatari del provvedimento, senza modificare il «patto» tra Roma e Tirana. E senza vanificare il messaggio di deterrenza che ha ispirato l’iniziativa di Giorgia Meloni. «Nella nostra narrativa — spiega un alto dirigente di FdI — chi vuole partire alla volta dell’Italia deve sapere che, se non è titolato, finirà in Albania». Ma come superare il rischio che i migranti debbano essere accompagnati dall’Italia all’Albania e dall’Albania all’Italia e, da qui, essere poi messi sul volo che dovrà riportarli nei Paesi di origine? Il dubbio che il nuovo progetto possa rivelarsi inutile e costoso è venuto a più d’uno, tra i tecnici riuniti a Palazzo Chigi.

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11 febbraio 2025 ( modifica il 11 febbraio 2025 | 08:04)

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