Reddito di libertà ovvero il “gratta e vinci” per le donne vittime di violenza

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


Per lo Stato italiano sembra che la “libertà” abbia un valore di 6.000 euro l’anno. Questo è il massimo erogabile alle donne vittima di violenza per uscire dalla loro condizione.

Va ricordato che con il DL 34 del 19 maggio 2020 è stato istituito il fondo denominato “reddito di libertà” per le donne vittime di violenza e in particolari condizioni di povertà.

Lo scorso 2 dicembre, in attuazione dell’articolo 1, comma 187, L. 213/2023, con decreto interministeriale, sono stati individuati i criteri di ripartizione dei fondi stanziati per il triennio 2024-2026 che consentono l’innalzamento dell’assegno massimo mensile a 500 euro (prima era di 400 euro).

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Si tratta di un provvedimento non proprio “epocale”, visto che si tratta di un incremento di soli 100 euro al mese per le donne vittime di violenza residenti nel territorio italiano, cittadine italiane, comunitarie o extracomunitarie in possesso di regolare permesso di soggiorno, con o senza figli, solo se prese in carico dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e seguite dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Il tutto condito da una situazione di disagio economico.

L’obiettivo dichiarato è “sostenere l’autonomia abitativa, la riacquisizione dell’autonomia personale e la formazione scolastica e professionale dei figli e figlie minori, se presenti”.

Obiettivi ambiziosi se rapportati alle effettive modalità di erogazione del “reddito”: il decreto giunge con un anno di ritardo rispetto al “rifinanziamento” del Fondo e introduce una disciplina transitoria che impone la ripresentazione delle domande non accolte per incapienza entro 45 giorni dall’entrata in vigore del medesimo. La ripresentazione è necessaria per ri-certificare i requisiti di accesso: solo così vengono “ripescate” le domande.

Il tutto con il rischio di veder finire in un brevissimo lasso di tempo le risorse, distribuite su base regionale, con la beffa finale che il reddito potrà essere erogato per soli 12 mesi, senza alcuna proroga.

Occorre segnalare che nel report pubblicato a novembre 2024, relativo al periodo 2020-2023, emerge come vi siano talune regioni particolarmente “virtuose”: ad esempio, l’Emilia-Romagna ha esaurito le risorse statali con 208 domande, ma ha integrato con proprio budget il fondo, consentendo così di sostenere altre 624 donne (quindi con un budget triplo di quello nazionale); la Valle d’Aosta alle 5 domande in grado di esaurire il budget statale ne ha affiancate altre 17.

Le misure previste hanno però supportato su tutto il territorio nazionale solamente 2773 donne, e di queste 739 risultano residenti in Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia.

Se, quindi, 2.773 “ce l’hanno fatta”, quante però sono rimaste al palo?

In occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, lo scorso 25 novembre 2024, l’Istat ha diffuso un report su “I CENTRI ANTIVIOLENZA E LE DONNE CHE HANNO AVVIATO IL PERCORSO DI USCITA DALLA VIOLENZA”: nel 2023 le donne vittime di violenza che hanno iniziato un percorso di uscita sono oltre 31.500.

Prestito personale

Delibera veloce

 

Nel dettaglio l’Istat affronta anche il tema della violenza economica, che si affianca pesantemente a quella fisica, riportando che “nel 2023 circa il 44,1 per cento delle donne dichiara di non essere autonoma economicamente, valore che sale a più del 90 per cento per quelle in cerca di prima occupazione, all’83,3 per cento delle disoccupate, al 89,3 per cento delle studentesse e al 83,3 per cento delle casalinghe. Il 40,2 per cento (12.696) ha indicato di avere subìto tra le violenze anche quella economica, ad esempio l’impossibilità di usare il proprio reddito o di conoscere l’ammontare del denaro disponibile in famiglia; in altri casi invece sono escluse dalle decisioni su come gestire il denaro familiare. A seconda dei quesiti la percentuale di dati non raccolti può raggiungere il 30 per cento, dato molto variabile tra i Centri e le Regioni. Nel complesso, il 74 per cento di queste donne presenta almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al CAV con una richiesta di supporto all’autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all’autonomia da parte del CAV”.

Parole che parlano chiaro: occorre considerare anche la violenza economica, la quale lascia cicatrici che nessun esame diagnostico rileva; una donna “abusata” nella sua indipendenza diventa una vittima fantasma, non intercettata da nessun sistema.

Occorre quindi prendere coscienza che la violenza di genere, che spesso sfocia in violenza economica, non può essere contrastata (solamente) con misure “una tantum”, come il reddito di libertà, peraltro limitato a poche “fortunate”, ma con una rivoluzione culturale: le donne devono poter gestire il proprio denaro e – aspetto fondamentale – avere consapevolezza del proprio valore.

In tutto questo occorrerebbe anche seriamente riprendere ad affrontare il tema della c.d. “Gender Tax”.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Contabilità

Buste paga

 

Source link