Chiesa, il Patronato San Vincenzo sostiene poveri e carcerati

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L’opera, fondata dal servo di Dio don Giuseppe Vavassori e finanziata dalla diocesi di Bergamo, si occupa anche di accoglienza ai minori stranieri non accompagnati e a quelli che devono scontare una pena alternativa. Attiva anche una missione in Bolivia per ragazzi e ragazze in diffcoltà. Don Dario Acquaroli : “Noi salviamo le persone solo se riusciamo a dare loro tutto l’amore possibile”

Federico Piana – Città del Vaticano

Nel nord Italia c’è una vera e propria “fabbrica” che non ti aspetteresti mai. Se ti aggirassi per i suoi “stabilimenti” ti accorgeresti che non produce nulla di materiale ma qualcosa che al mondo d’oggi, in preda all’odio e alla divisione, serve più del pane e dell’oro: l’amore e la speranza.

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Sogni e ambizioni

L’indirizzo esatto è Bergamo e come insegna ha la scritta “Patronato San Vincenzo” che racchiude in sé tutti i sogni e le ambizioni del suo fondatore: quel don Giuseppe Vavassori, conosciuto popolarmente come don Beppo, che ha consumato la sua vita accanto ai poveri, ai giovani, alle persone considerate derelitte e scartate dalla società fino a spingersi così profondamente nel cammino di santità da essere proclamato servo di Dio.

Numerose atività

In questa “fabbrica”, che non conosce soste, chiusure, scioperi, le linee di produzione sembrano senza fine: ci sono due comunità che si occupano dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e dei ragazzi non ancora maggiorenni che devono affrontare un percorso di riabilitazione giudiziaria; ci sono servizi di accompagnamento dei diciottenni che hanno bisogno di essere sostenuti nel loro percorso educativo molto spesso appesantito anche da condanne e sentenze; ci sono progetti dedicati ai detenuti adulti; c’ è il servizio “Esodo” che si occupa dei senza fissa dimora della stazione ferroviaria di Bergamo; ci sono laboratori, come quelli  realizzati nel carcere cittadino, mirati al reinserimento lavorativo di giovani ed adulti. In più, a tutto questo, vanno aggiunte le scuole di formazione professionale e la missione in Bolivia, voluta fortemente da don Beppo, che in quel contesto povero e sofferente si prende cura di ragazzi e ragazze disagiati. 

Il sostegno della diocesi

Tra dipendenti e volontari, quella che potrebbe essere definita la” multinazionale della bontà” conta in tutto quasi 500 persone. Uno di loro è don Dario Acquaroli, prete diocesano, pedagogista, cappellano del carcere di Bergamo e direttore della Comunità don Lorenzo Milani, la sede del patronato che si trova a Sorisole, poco più di 30 chilometri dal capoluogo bergamasco.«Il vescovo e la Chiesa locale sono fieri di questo fiore all’occhiello che rientra nelle opere sostenute dalla diocesi» racconta il sacerdote in un colloquio con i media vaticani.

Ascolta l’intervista a don Dario Acquaroli

Impegno totale

Don Acquaroli nella sua comunità ci vive, notte e giorno. Non ha una parrocchia, quella ormai è diventata la sua famiglia. «La realtà del patronato l’ho incontrata quando ero in seminario, ormai quindici anni fa. E subito mi sono posto delle domande, soprattutto una: ma perché bisogna realizzare tutte queste attività? Perché la Chiesa deve dedicarsi a queste persone?».

Comprendere, prima di tutto

La risposta, nel suo cuore, la matura conoscendo il fondatore ed i sacerdoti che lavorano nel patronato: «Sono davvero riuscito a comprendere che ognuno di noi  è unico agli occhi di Dio. Ogni singola persona, anche se ha sbagliato e si è resa responsabile dei più gravi delitti, è la cosa più preziosa che il Signore possiede. E questo tesoro non può essere perso. Se non se ne dimentica Dio non ce ne possiamo dimenticare anche noi». 

Riconoscenza

Risposte alle quali trova conferme anche tra le pagine della Bibbia e  del Vangelo ma soprattutto tra le pieghe della sua storia personale. «Analizzando il mio vissuto mi sono reso conto che tutto quello che ho non dipende da me ma dalla bontà di Dio. E questo dono richiede un atto di riconoscenza». Ed è a questo punto che subentra un altro dubbio, che forse lo assilla più del primo: come mettere in pratica il bene? Con quale stile? «La risposta che ho trovato? È questa: farlo con gratitudine, non perché ho qualcosa in più o sono migliore degli altri».



I giovani del Patronato San Vincenzo

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Incontri d’umanità

Per lui, prendersi cura dei ragazzi e delle ragazze che ogni giorno incrocia nella sua comunità vuol dire mettere il naso ed il cuore in molte storie di umanità smarrita che gridano ed invocano soccorso. «Voci che sono quelle di Dio. E che io riconosco ascoltando i giovani per i quali lavoro. Ecco perché io dico che la nostra missione è quella di educare sempre con speranza».

Oltre le apparenze

Don Acquaroli, in ogni sguardo,  riesce a leggere fino in fondo, senza soffermarsi alle apparenze o ai pregiudizi: «Il rischio è quello di non andare oltre agli errori, ai delitti, anche se sono pesanti come macigni. Ciò che mi ha insegnato don Beppo, invece, è di non giudicare una persona basandosi semplicemente su cosa ha fatto ma occorre conoscere la sua storia, la sua vita. Ad esempio, io non mi trovo davanti ad un rapinatore ma ad una persona che va compresa ed amata». Solo con una conoscenza così profonda può nascere un’azione educativa basata sulla fiducia che genera un vero cambiamento. «Noi salviamo le persone solo se riusciamo a dare loro tutto l’amore possibile».

Tutto dipende da Dio

Il sacerdote, però, non è ossessionato dai risultati, nel suo ministero gli è capitato spesso di non vedere subito i frutti di ciò che seminava: «Spesso ho avuto dubbi, momenti in cui mi sono chiesto se valesse la pena continuare. Ma poi, magari dopo mesi o anni, ho visto quei ragazzi ritornare con uno sguardo nuovo, con una parola di gratitudine, con un piccolo cambiamento che parlava di speranza». E ogni volta capiva che non era stato lui, con i suoi sacrifici  e la sua dedizione, ad operare quel miracolo: «Era  stato Dio che agisce nei tempi e nei modi che solo lui conosce. Educare con speranza, in fondo, significa seminare con amore sapendo che il Signore trasforma ogni piccolo gesto in qualcosa di grande».



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