I diari dei soldati che dissero no al nazifascismo

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«Ttte le vicende umane per quanto belle, sublimi ed eroiche, come le tristi e dolorose spariscono da noi con una tale velocità che sembra incredibile». Scorre veloce la pagina del diario di un Imi, un internato militare italiano. È datata 14 aprile 1945 ed è scritta in un quaderno a quadretti denso di annotazioni e di dettagli. Una frase che sembra essere stata scritta quasi per non dimenticare i prigionieri di Hitler. Tra le centinaia di diari ritrovati, letti e conservati nella biblioteca e nel centro studi dell’Anrp, l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, c’è quello di Alfonso Cairoli, un giovane caporale della sanità militare catturato ad Aqui il 9 settembre 1943 e deportato in Germania, a Kahla, luogo di morte come pochi, ma sopravvissuto all’orrore. Francesca Berdini ne ha curato la pubblicazione dopo mesi di ricerche: «Il diario è scritto a mano e non sapevo se avrei capito la grafia dell’autore – spiega Berdini –. Mi sono lanciata con curiosità ed entusiasmo nell’impresa con la precisa volontà di farne una trascrizione fedele e capirne la valenza come documento di memoria storica». Enrico Detto, invece, ha aperto “la cassetta della prigionia” del padre Giovanni, tamburino della Reggimentale del 93° Reggimento Fanteria Messina, internato n. 31478: «Nella mia ricerca ho trovato numerose informazioni sul lager di Trofaiach, in Austria, poiché esso era già attivo nella Prima guerra mondiale e, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si trasformò in un campo di raccolta per gli sfollati», sottolinea nel diario oggi pubblicato con il titolo Giovanni nella fabbrica di Goering. La fabbrica è quella di Donawitz e l’impianto siderurgico ricoprì un ruolo fondamentale per l’economia tedesca del Terzo Reich.

Nella biblioteca intitolata a Enrico Zampetti e Vittorio Emanuele Giuntella – recentemente inaugurata alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – scritti, memoriali e quaderni dalla prigionia si aggiungono ai cimeli del Museo Vite di Imi, già meta di giovani e gruppi studenteschi: «I ricercatori ma anche i parenti sono desiderosi di aprire lo scrigno della memoria per leggere tra le righe le vicende di uomini che hanno raccontato la loro prigionia durante la Seconda guerra mondiale – dice Enzo Orlanducci, presidente emerito dell’Anrp –. Alle memorie di ufficiali e soldati come Zampetti, Giuntella, Paolo Desana, Olindo Orlandi, Claudio Sommaruga, Vittorio Vialli, Raimondo Finati e scrittori, giornalisti, poeti come Giovannino Guareschi, Tonino Guerra, Edilio Rusconi e Mario Rigoni Stern, oppure registi e attori come Luciano Salce, Gianrico Tedeschi, Raffaele Pisu, si aggiungono quelle di storici e politici come Giuseppe Lazzati, Giuseppe Avolio e Alessandro Natta», aggiunge Orlanducci. La lista degli Imi sarebbe lunga, ma non ci sono solo personaggi conosciuti al grande pubblico. «Non è stato facile riordinare il diario di mio nonno Angelo Emilio, caporal maggiore del 317° Reggimento fanteria della Divisione Acqui a Cefalonia – dice Laura Malandrino che ha ricostruito le memorie della sua prigionia a Minsk, in Russia, nel 2004 –. Nel giorno della pubblicazione abbiamo invitato la storica Anna Maria Isastia e la commozione di figli, nipoti e parenti si percepiva immediatamente». Storie di padri e di nonni d’Italia che ottant’anni fa hanno rischiato e spesso sacrificato la vita per la pace e la democrazia. Una “resistenza senz’armi”, quella degli Imi, che «gli studenti nella biblioteca di via Labicana 15, a Roma, toccano con mano sfogliando i diari della prigionia e i database con le schede personali dei militari internati», aggiunge Orlanducci.

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«Fondare biblioteche – ha sottolineato nel giorno dell’inaugurazione Ugo Zampetti, attuale segretario generale del Quirinale, figlio di Enrico – è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, purtroppo, potrebbe ancora tornare». Una frase del 1951 di Memorie di Adriano della scrittrice Marguerite Yourcenar. «Poche parole, attualissime, per definire il significato di questo luogo che raccoglie ben 30mila volumi e rappresenta un importante arricchimento culturale all’interno degli spazi del centro studi, documentazione e ricerca dell’Anrp – sottolinea Rosina Zucco, direttrice del Museo Vite di Imi. – Qui i ragazzi ascoltano il racconto dei 650mila militari italiani deportati nei lager nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per essersi rifiutati di collaborare con i tedeschi. Tra fame, stenti, lavori forzati ed esecuzioni sommarie, 50mila di loro persero la vita».

Una storia di coraggio che da quest’anno sarà celebrata con una giornata nazionale dedicata ogni 20 settembre. «Dopo la liberazione, Vittorio Emanuele Giuntella diventò direttore della biblioteca del Senato e docente di storia dell’età dell’Illuminismo all’Università di Roma “La Sapienza”, dedicando la sua vita a testimoniare la drammatica prigionia e il coraggio di dire no al fascismo di fronte alle promesse di cibo e al rimpatrio immediato», dice Luciano Zani, storico e vicepresidente dell’Anrp. Enrico Zampetti, nato nel 1921 a Lecce nei Marsi, fu il successore di Giuntella alla direzione della biblioteca del Senato, producendo numerose opere documentarie e saggi storici. Due cattolici, Giuntella e Zampetti, che si erano conosciuti prima della guerra nella Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci). «Durante il conflitto mondiale hanno combattuto entrambi da ufficiali di complemento – continua Zani –, Giuntella dal febbraio del 1941 come tenente degli alpini della Divisione Julia in Albania e in Slovenia, Zampetti prima alla scuola allievi sottoufficiali dei bersaglieri di Pola, poi a Corfù come sottotenente dei bersaglieri della Divisione Acqui, con i quali fu protagonista di una strenua resistenza armata ai nazisti. Entrambi furono catturati a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 e deportati nei lager del Terzo Reich, prima a Deblin, poi a Wietzendorf». Ritrovarsi in prigionia fu per loro una festa, ebbe modo di scrivere Giuntella circa la sua esperienza di Imi: «Una storia che a me è stata raccontata nelle passeggiate di ritorno da scuola a casa mentre tenevo per mano mio nonno», ha ricordato il nipote Tommaso Giuntella nel giorno d’apertura ufficiale della biblioteca. «Le nuove generazioni presenti e future possono imparare tanto dalla diaristica – aggiunge Orlanducci – i giovani possono agire adattandosi ai cambiamenti del loro tempo rispettando sempre i diritti e i valori conquistati e affermati nel corso della storia. La diaristica dà voce all’esperienza diretta dei protagonisti attraverso la quale storici e giornalisti negli ultimi venti anni hanno potuto ricostruire il contributo fondamentale degli Imi alla Resistenza, ridefinendo e dando sostanza a concetti come patria, democrazia, libertà, riscatto, scelta, presa di coscienza. Questa biblioteca è un luogo speciale dove esercitare il dovere doloroso della memoria, di una vicenda tragica ed eroica di migliaia di militari italiani che furono catturati dai tedeschi perché si rifiutarono di collaborare con il nazi-fascismo»



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