Nel confronto globale, il dato italiano appare superiore alla media, dove il 74% delle organizzazioni mondiali riferisce difficoltà a trovare personale. Restringendo l’analisi all’Europa, la condizione italiana risulta decisamente migliore di quella della Germania – dove il talent shortage raggiunge l’86%, valore più alto al mondo – e in linea con Paesi paragonabili come Francia e Regno Unito, entrambi al 76%. Nel continente spicca il dato della Polonia (59%), tra i Paesi al mondo con le minori difficoltà di reperimento.
“Lo sviluppo tecnologico, l’introduzione di nuove tecnologie come l’IA e la transizione ecologica stanno favorendo un rapido cambiamento del mondo del lavoro. Per ricoprire posizioni nuove o profondamente trasformate serve un rinnovato bagaglio di competenze in costante aggiornamento. Come emerge dal nostro report, allo stato attuale questo ha portato a un distacco tra le richieste delle aziende e le competenze in possesso dei candidati – afferma Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia –. Emerge quindi con forza l’importanza della formazione e dell’upskilling e reskilling delle competenze. Rimane fondamentale la sinergia tra istituzioni, aziende, scuola e università. Nel breve periodo le aziende hanno la possibilità di aggiornare le competenze di collaboratori e candidati con una formazione mirata e concentrata anche grazie ad Academy come quelle di Manpower ed Experis. Più a lungo termine, gli studi predittivi ci aiutano a individuare le competenze che saranno richieste nei prossimi anni, su cui costruire programmi di formazione di medio periodo – come gli ITS – e impostare gli indirizzi formativi di scuola e università”.
A livello di settore, in Italia la questione è sentita soprattutto dalle organizzazioni del settore “Trasporti, logistica e automotive” (l’84% afferma di avere difficoltà di reperire talenti, +10% rispetto a media globale), da quello “Sanità e life sciences” (83%, +6% media mondo) e “Industria e materiali” (82%, +9%). Il talent shortage è poi segnalato dal 77% del settore “Beni di consumo e servizi”, dal 75% del settore “IT” e “Finanza e immobiliare”, dal 71% di “Energia e utilities” e dal 70% delle “Telecomunicazioni”. La tematica è marcata in particolare nelle imprese di dimensioni medie (50-249 persone) e medio-grandi (250-999), rispettivamente con valori dell’82% e del 79%, mentre è meno sentita in quelle grandi (1000-4999) col 70% e grandissime (oltre 5000 persone) con il 74%.
Le competenze più difficili da trovare si confermano essere quelle informatiche, come indica un datore di lavoro su quattro (24%). Quasi uno su cinque segnala la mancanza di skill nell’amministrazione (18%), mentre per il 17% c’è richiesta di competenze relative alla manifattura, alla logistica, al front-office e alla relazione coi consumatori.
Tra le strategie su cui i datori di lavoro puntano per risolvere la carenza di talenti, quella a cui si affidano più aziende è l’upskilling e reskilling del personale già in azienda, come afferma il 22% delle organizzazioni intervistate. È ritenuto molto importante anche offrire maggiore flessibilità su luoghi e tempi di lavoro (dal 17%) e aumentare i salari (16%). Il 15% delle imprese intende puntare su nuovi talenti esterni e la stessa percentuale agisce con un incremento del personale temporaneo. Per il 14% la soluzione può venire da un aumento dell’automazione e dell’uso di IA, mentre solo il 9% pensa di poter ridurre le competenze richieste ai candidati.
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