Pil, crescita nel 2025 a +0,7% ma il Sud torna a rallentare e pesa l’incognita dazi

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Nel 2025 il Pil crescerà dello 0,7% per poi salire allo 0,9% nel 2026, ma resta l’incognita legata alle politiche commerciali di Trump, in particolare all’impatto dei dazi. Dopo la forte espansione degli anni passati, il rallentamento dei consumi frena la crescita del Mezzogiorno, permettendo al Nord di riconquistare la leadership economica. È quanto emerge dallo studio Svimez Ref Ricerche “Dove vanno le regioni italiane. Le previsioni regionali 2024-2026”.

Stando al report, l’economia italiana ha seguito le dinamiche dei principali Paesi europei, con alcune differenze dovute all’orientamento della politica di bilancio. Fino al 2023, infatti, l’approccio è stato più espansivo, sostenuto da misure straordinarie di sostegno, mentre dal 2024 si è adottata una linea più restrittiva, in contrasto con gli interventi eccezionali del periodo 2020-2023.

I motivi del calo

Il rallentamento della crescita è influenzato da fattori comuni a tutta l’area euro, tra cui il ripristino dal 2024 dei vincoli del Patto di Stabilità, la recessione industriale causata dal calo della domanda di beni durevoli, la crisi di settori strategici come l’automotive, la debolezza del commercio internazionale e l’aumento dei costi energetici.

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A pesare, però, sono anche dinamiche specifiche del contesto italiano: la necessità di ridurre il deficit pubblico concentrata nel biennio 2024-2025, l’elevata incidenza del settore automotive sull’economia nazionale e la forte dipendenza dalla domanda estera, con un legame particolarmente stretto con l’industria tedesca. Ma queste previsioni non tengono conto della grande incognita legata a Trump, ovvero l’eventuale inasprimento dei dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, un fattore che potrebbe incidere ulteriormente sul quadro economico.

Le regioni in crescita

Nel 2025, secondo lo studio Svimez-Ref, il Veneto dovrebbe registrare una crescita dell’1,2%, seguito dalla Lombardia (+1,1%) e dall’Emilia-Romagna (+1%). Queste regioni, grazie a una struttura economica più solida, riescono a compensare la debolezza dell’export con la tenuta della domanda interna. Al contrario, mostrano performance più deboli l’Umbria (+0,2%), la Liguria (+0,4%), la Puglia e il Molise (+0,5%). Queste regioni, pur essendo meno esposte al rallentamento del commercio estero, dispongono di minori fattori di crescita endogena.

A livello macroeconomico, le previsioni indicano  dal 2025 la fine del biennio di crescita sostenuta (2023-2024) sperimentato dal Sud. Il divario tra Nord e Sud dovrebbe infatti rimanere più contenuto rispetto al periodo pre-Covid: nel 2025 il Centro-Nord crescerebbe dello 0,8% contro il +0,5% del Mezzogiorno, mentre nel 2026 le due aree si attesterebbero rispettivamente a +1% e +0,7%, proseguendo una dinamica di sviluppo relativamente allineata, simile a quella osservata nella ripresa post-pandemica.

Perché il Sud rallenta

“Gran parte dell’inversione nel differenziale di crescita del Pil che dovrebbe avvenire nel 2025 tra le due ripartizioni, con il Centro-Nord che sopravanza il Sud, è attribuibile alla spesa delle famiglie”, spiega nel report. Il motivo è un maggiore potere d’acquisto, favorito da politiche fiscali a sostegno dei redditi da lavoro dipendente, più diffusi nelle regioni del Centro-Nord. Un ruolo chiave è inoltre giocato dall’indebolimento delle misure di supporto alle famiglie, dall’intervento sul cuneo fiscale e dalla riforma dell’Irpef, che hanno contribuito a ridefinire l’impatto della politica economica sui diversi territori.

Il presidente di Svimez, Adriano Giannola, avverte: “Si riapre il divario tra Nord e Sud e anche la ripresa del Nord, trainata dall’export, rischia di essere minata dall’incognita Trump. Per il Meridione, la strada da seguire resta quella di una maggiore integrazione con il Mediterraneo”.

Le sfide future? Pnrr e politica industriale

“Dopo un 2024 in cui il Sud è cresciuto, per il secondo anno consecutivo, più del Nord, il rallentamento dell’economia insieme all’avvio di un percorso restrittivo di politica fiscale europeo rischiano di indebolire gli importanti segnali di ripresa dell’economia meridionale – spiega il direttore della Svimez Luca Bianchi – Accelerare l’attuazione del Pnrr, da cui dipende il 60% della crescita, e sostenere con politiche industriali attive le imprese innovative sono le chiavi per non rassegnarsi al ritorno alla normalità di un Paese a due velocità”.

Per Fedele De Novellis di Ref Ricerche: “La crisi europea è una crisi dell’industria europea. Ha necessariamente impatti territoriali differenziati, e in Italia colpisce maggiormente le regioni manifatturiere del Nord. Tuttavia, la resilienza del Mezzogiorno deve molto al contesto di politiche più favorevoli. L’avvio della fase di consolidamento fiscale secondo la traiettoria indicata nel Piano Struttural di Bilancio di Medio Termine sottrae spazi alle politiche di bilancio. Anche la ripresa dell’occupazione potrebbe arrestarsi a breve”.

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