Forse è pure una questione di cortesia.
Quando insieme a Maurizio Masone, del Centro Pasolini, ho inviato una richiesta di incontro al sindaco di Agrigento e al presidente della Fondazione “Capitale della Cultura”, quanto meno mi sarei aspettato una risposta, anche di diniego.
Quella richiesta seguiva a due incontri ai quali ha partecipato una buona parte della società civile della città, con esponenti della cultura, del sindacato, dell’economia, del turismo, delle organizzazioni cattoliche. Si ragionò in quelle occasioni di errori e ritardi colpevoli nella organizzazione dell’evento ma si manifestò prevalentemente la volontà di contribuire a salvare il salvabile, di evitare il fallimento della iniziativa, di dare risposte anche parziali alle aspettative e speranze suscitate dalla scelta del governo nel marzo 2023.
Per raggiungere questo obiettivo si è deciso di costituire un osservatorio permanente e di dar vita ad un confronto tra chi ha la responsabilità di organizzare “Capitale della cultura” e la città, “dissequestrando” una scelta di grandissimo rilievo ridotta a un oggetto di scontro tra fazioni politiche e finita in mano ad un gruppo che mostra di non avere consapevolezza di ciò che avrebbe potuto e dovuto essere “Capitale italiana della cultura” per Agrigento, per il suo territorio e per l’intera Sicilia.
Volevamo e vorremmo interrompere il silenzio, evitare che si prosegua con annunci intermittenti, spesso vacui e contraddittori e che si renda concreto, per il poco tempo che resta, il rapporto con i cittadini e con le strutture organizzate e si indichi definitivamente ciò che in modo realistico può essere attuato da qui alla fine dell’anno.
Tentando di interloquire con l’amministrazione comunale e con la Fondazione, volevamo e vorremmo far sapere di non essere dalla parte dei detrattori della città e del suo territorio, ché semmai lo sono coloro che vanificano le opportunità che essi avrebbero potuto avere.
Alla prima richiesta d’incontro ne è seguita un’altra e al silenzio iniziale si aggiunge ancora silenzio.
Non mi sento offeso – non posso certo pretendere dalla presidente della Fondazione, che dichiara di non conoscere Agrigento, di sapere qualcosa della storia, del prestigio e dell’autorevolezza che mi riguardano – mi sarà consentita questa affermazione al limite della presunzione.
Mettevo nel conto un qualche imbarazzo del sindaco che dal marzo del 2023 non ha mai ritenuto di coinvolgermi o semplicemente di chiedermi un’opinione, malgrado, fino a poco più di un mese addietro, fossi a capo di una delle più importanti istituzioni culturali con sede anche ad Agrigento. Un comportamento, questo, condiviso con il direttore della Fondazione, che peraltro, devo ricordarlo, è anche il titolare del progetto che dovrà realizzare per Gibellina capitale dell’arte contemporanea. Fino a poco tempo fa eravamo, per così dire, nella stessa barca, e avremmo dovuto remare nella medesima direzione. Ma tant’è.
Sono sorpreso e sdegnato del rifiuto, fino ad oggi almeno, da parte dei miei possibili interlocutori, di cogliere l’offerta di una parte considerevole della città. E questa non è una questione di cortesia, ma di scarsa o nulla sensibilità, di nessuna propensione al dialogo che avrebbe dovuto essere cercato fin dall’inizio.
E se invece non fosse solo mancanza di cortesia? Se la ragione vera del silenzio fosse l’assenza di argomentazioni per un qualunque dialogo, l’inesistenza di un residuo progetto che vada al di là del folklore scontato del mandorlo in fiore, i cui costi previsti, peraltro, se dovessero essere confermati, sarebbero a dir poco scandalosi? O il carnevale di Sciacca, entrambi eventi che si ripetono da decenni e che a chiunque risulterebbe difficile connotare come propri e caratterizzanti di “Capitale italiana della cultura”?
Sarebbe davvero amaro dover prendere atto di queste motivazioni per il rifiuto del dialogo. Vorrebbe dire che restano davvero pochissimi margini per fare qualcosa di significativo. E tuttavia, animato, insieme con gli altri, da un ottimismo probabilmente ingiustificato, voglio ancora sperare di poter instaurare un confronto con la presidente della Fondazione e con l’amministrazione comunale. Se un fallimento malauguratamente dovesse esserci, lederebbe certo gli interessi di Agrigento e della Sicilia e sarebbe chiaramente intestato, coinvolgendo la responsabilità della Regione, che pure ha mostrato di cogliere i rischi della deriva che ad Agrigento si è da tempo profilata, cercando di attenuarli con provvedimenti di vero e proprio commissariamento e di una natura tale da accentuare il carattere politico della gestione, ignorandone gli aspetti culturali.
Queste scelte finora comunque non hanno dato alcun esito e naturalmente hanno spostato molte responsabilità proprio a livello regionale.
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Calogero Pumilia è stato il direttore della Fondazione Orestiadi
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