“Solidarietà e fratellanza, costruiamo ponti che ci avvicinino sempre più”. La lettera del Papa ai vescovi americani

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All’inizio della sua autobiografia di recente pubblicazione, “Spera”, papa Francesco spiega di conoscere molto bene la condizione del “migrante”: parte infatti in “Spera” dal viaggio che portò i suoi familiari, che decisero di emigrare; dal Piemonte dove vivevano in Argentina. Questo lo sappiamo tutti, non tutti, io almeno non non lo sapevo, eravamo al corrente che ci fu un loro ritardo nel suo essere in vita. Infatti i suoi parenti il giorno in cui dovevano imbarcarsi per Buenos Aires giunsero con un leggero ritardo al porto e persero la nave sulla quale dovevano imbarcarsi, avendo già comprato il biglietto. Era la Mafalda, la più grande della marina del tempo, che però fece naufragio: un disastro. Poi si imbarcarono sulla Giulio Cesare, e giunsero nella capitale argentina. Ricorda che solo per l’Argentina si imbarcarono in 200mila nel quadriennio precedente il 1929. Il conto si fa molto più ampio considerando tutte le destinazioni americane. Ma l’episodio della Mafalda non fu isolato. Francesco nella sua biografia ricorda molti naufragi, in particolare quello della Remo, sulla quale esplose il colera visto che erano stati venduti il doppio di biglietti rispetto ai posti disponibili: “i morti furono buttati in mare”, scrive. E  tutto questo che qui si riassume succintamente ci dimostra che il dramma dei migranti lo conosce meglio di noi, anche perché ricorda i fatti di allora, per quel che sa e probabilmente per quel che gli fu raccontato, forse anche in famiglia. Infatti non trascura le ben cinquecento vittime italiane del naufragio di un’altra nave, la Sirio. Se il suo primo viaggio apostolico è stato a Lampedusa è dovuto anche a questo vissuto.

Così non sorprende che la lettera che ha inviato ai vescovi americani sul tema delle migrazioni e dei migranti cominci così:   “Il cammino dalla schiavitù alla libertà compiuto dal Popolo d’Israele, così come narrato nel libro dell’Esodo, ci invita a guardare alla realtà del nostro tempo, così chiaramente segnata dal fenomeno della migrazione, come a un momento decisivo nella storia per riaffermare non soltanto la nostra fede in un Dio che è sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato, ma anche nella dignità infinita e trascendente di ogni persona umana”. E procede così: “Queste parole con cui esordisco non sono un costrutto artificiale. Anche un rapido esame della dottrina sociale della Chiesa mostra con enfasi che Gesù Cristo è il vero Emanuele (cfr. Mt 1, 23); ha vissuto anche lui la difficile esperienza di essere cacciato dalla propria terra a causa di un pericolo imminente per la sua vita e l’esperienza di rifugiarsi in una società e una cultura estranee alla sua. Il Figlio di Dio, nel farsi uomo, ha scelto anche di vivere il dramma dell’immigrazione. Mi piace ricordare, tra le altre cose, le parole con cui Papa Pio XII ha iniziato la sua Costituzione apostolica sulla cura dei migranti, che è considerata la “Magna Carta” del pensiero della Chiesa sulla migrazione: «La Famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe, emigranti in Egitto e ivi rifugiati per sottrarsi alle ire di un re empio, sono il modello, l’esempio e la consolazione degli emigranti e dei pellegrini di ogni tempo e di ogni Paese, di tutti i profughi di ogni condizione che, spinti dalla persecuzione o dal bisogno, sono costretti a lasciare la loro patria, l’amata famiglia e i cari amici e recarsi in terra straniera».

A chi avesse simpatie pre-conciliari queste parole dell’ultimo papa che ha preceduto il Concilio non saranno ignote. Chi avesse attenzione particolare per quel cattolicesimo saprà piuttosto per certo che questa citazione è tratta dalla Costituzione Apostolica Exsul Familia, scritta da papa Pio XII nel 1952 e da lui firmata il primo agosto di quell’anno. Lo sapranno anche molti altri, se non tutti, ma chi avesse predilezioni per la Chiesa vissuta prima del Concilio lo saprà per certo.

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Certo, come Pio XII, anche Francesco non taglia i problemi, i nodi della storia, con l’accetta, e infatti aggiunge: “Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. Al tempo stesso, bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo. Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi”.

Quindi il papa si sofferma sullo specifico della sua fede, l’amore cristiano: “ I cristiani sanno molto bene che è solo affermando la dignità infinita di tutti che la nostra identità di persone e di comunità giunge a maturazione. L’amore cristiano non è un’espansione concentrica di interessi che poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi. In altre parole: la persona umana non è un mero individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico! La persona umana è un soggetto dotato di dignità che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, specialmente con i più poveri, un po’ alla volta può maturare nella sua identità e vocazione. Il vero ordo amoris che occorre promuovere è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del “Buon Samaritano” (cfr. Lc 10, 25-37), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni”.

Rimarchevole è anche quanto soggiunge: “ Riconosco i vostri preziosi sforzi, cari fratelli vescovi degli Stati Uniti, mentre lavorate a stretto contatto con migranti e rifugiati, proclamando Gesù Cristo e promuovendo diritti umani fondamentali. Dio vi ricompenserà abbondantemente per tutto ciò che fate a protezione e difesa di quanti sono considerati meno preziosi, meno importanti o meno umani! Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica, come anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a non cedere a narrative che discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati. Con carità e chiarezza siamo chiamati a vivere in solidarietà e fratellanza, a costruire ponti che ci avvicinino sempre più, a evitare muri di ignominia e a imparare a dare la nostra vita così come l’ha data Gesù Cristo per la salvezza di tutti.”


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