Umbria quartultima in Italia per nascite: il rischio di sostenibilità e qualche vantaggio

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di Maurizio Troccoli

Secondo gli ultimi dati dell’Istat l’Umbria è tra le regioni in Italia in cui si fanno meno figli. Per la precisione quartultima, seguita soltanto da Molise, Basilicata e Sardegna. In Umbria infatti si fanno 1,1 figli, mentre nel Trentino Alto Adige che ha la migliore performance se ne fanno 1,42 e in Sardegna, la peggiore, solo 1,08. Ma quali sono i rischi per un territorio a bassa natalità?

Ovviamente i numeri vanno interpretati sempre più in chiave globale tenuto conto del fatto che ci si sposta sempre più facilmente e che aumentano i flussi migratori. Particolarmente da quei paesi in cui le donne sono tendenzialmente portate a farne di più, almeno per qualche prossimo decennio, primo fra tutti l’Africa. Tuttavia è indubbio che un sistema regionale con una bassa natalità sarà costretto a spendere gran parte delle risorse in pensioni e assistenza di una popolazione sempre più anziana e quindi sempre più bisognosa di cure. Questo determinerà meno soldi per sviluppo, crescita, ricerca e sostegno all’occupazione. Insomma saranno sempre meno quelli che mettono soldi nelle casse dello stato, ovvero la popolazione che lavora, e sempre più quelli che li prendono, gli assistiti.

Tuttavia per avere un quadro più completo delle dinamiche bisogna fotografare l’andamento globale, come ha provato a fare Dataroom, di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera. Da cui emergono alcune premesse: intanto non tutti i paesi del mondo fanno meno figli. Ce ne sono diversi nei quali aumenta la natalità e continuerà ad aumentare per i prossimi 30 anni, e in altri tra questi, fino a fine secolo. Molti di questi paesi sono e saranno sempre più coinvolti in dinamiche migratorie, con l’Europa, l’Italia e anche con la piccola nostra Umbria.

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Si sappia intanto che il mondo per arrivare a un miliardo di persone ha aspettato fino al 1800. Soltanto un secolo dopo ovvero nel 1925 ha raddoppiato, arrivando a 2 miliardi, mentre in questo ultimo secolo ha quadruplicato, per arrivare a contare 8,2 miliardi di persone. Una colossale esplosione demografica le cui conseguenze sono ben evidenti sul consumo delle risorse naturali e sullo sfruttamento di ogni forma di energia. La crescita è stata accelerata dal drastico calo della mortalità infantile, dai progressi medici e scientifici e dall’aumento dell’aspettativa di vita che, a livello globale, è di 73,3 anni. Se qualcuno è impegnato alla colonizzazione del cosmo, è anche perché allertato dall’esplosione demografica. Tuttavia secondo le Nazioni Unite si cresce un po’ meno del previsto e questo soprattutto a causa del crollo del tasso di fertilità.

«Il rapporto dell’Onu – scrive Dataroom – divide il pianeta in tre gruppi, e fotografa le prospettive entro i prossimi 30 anni e a fine secolo. Nel primo gruppo ci sono 63 Paesi che hanno raggiunto il picco demografico e dove è già iniziata la fase di declino. Si trovano principalmente in Europa e in Asia, ospitano il 28% della popolazione mondiale: attesa entro il 2054 una perdita di abitanti del 14%. Fra questi c’è la Russia, che ha raggiunto il picco nel 1992 quando contava 149 milioni di abitanti e oggi, nonostante i generosi sussidi a favore della natalità offerti da Putin, ne registra 4 milioni in meno, per scendere a 135 milioni nel 2054. L’Ucraina è passata dai 51,8 milioni del 1995 ai 37 milioni di oggi, e secondo le proiezioni scenderà a 30 milioni nel 2054. Anche l’Italia è in fase discendente: dopo aver raggiunto la punta massima nel 2014 con 60,6 milioni di abitanti, in 10 anni ne ha persi un milione, e la prospettiva a 30 anni è di scendere a 50 milioni, mentre alla fine del secolo nel nostro Paese si conteranno appena 35,5 milioni di abitanti. Germania e Spagna inizieranno a calare da quest’anno, e nel 2054 la popolazione tedesca diminuirà di 7,2 milioni di persone, quella spagnola di 3,8 milioni. Fra le cause che hanno accelerato la decrescita e il crollo del tasso di fertilità ci sono un maggior benessere e il fattore culturale: un miglior accesso alla contraccezione, la donna che decide di concepire più tardi il primo figlio per avere più opportunità di istruzione e lavoro, e la necessità di contribuire al bilancio familiare».

La Cina, intanto in soli 3 anni ha perso 6 milioni di abitanti e nei prossimi 30 anni ne perderà 204 milioni. Il Giappone dagli attuali 124 milioni, nel 2054 arriverà a 102 milioni.

«Nel secondo gruppo – ancora Dataroom – ci sono 48 Paesi con il 10% della popolazione mondiale che raggiungeranno il picco demografico nei prossimi 30 anni, con una crescita complessiva del 5,3%. Tra questi il Brasile che oggi conta 211 milioni di abitanti e raggiungerà i 215 milioni nel 2054, l’Iran che passerà dagli attuali 91 milioni a 102, la Turchia da 87 a 90 milioni, e il Vietnam da 100 a 110 milioni. Per tutti poi inizierà un lento, ma inesorabile calo». 

C’è poi il terzo gruppo, che stravolge il dato complessivo per due ragioni, è già quello che contiene il più alto numero di abitanti del paese e nei prossimi 30 anni crescerà del 38%. L’ area che crescerà di più sarà l’Africa Subsahariana che triplicherà la sua popolazione passando da 1,2 a 3,3 miliardi a fine secolo. Gli Stati Uniti nonostante il basso tasso di fertilità 1,6 figli per donna, continueranno a crescere per via della forte migrazione e a fine secolo, secondo le Nazioni Unite, avranno 86 milioni in più di abitanti arrivando a 421 milioni. Senza migranti, perderebbero il 36% della popolazione. Elemento questo che fa riflettere sull’importanza di politiche migratorie intelligenti. L’India con 1,45 miliardi di abitanti è il paese oggi più popoloso al mondo, nel 2060 arriverà a 1,7 miliardi ma poi inizierà a scendere, arrivando a fine secolo ai numeri di oggi.

Il record della popolazione mondiale ci sarà nel 2080 con 10,3 miliardi di persone che, a fine secolo diventeranno 10,2, ovvero l’inizio del calo. L’andamento sarà quindi con una crescita che continua ma a misure sempre minori fino a stabilizzarsi per poi iniziare a scendere.

Il picco precoce, secondo le Nazioni Unite, è un segnale di speranza, prevalentemente per evitare il sovrappopolamento in un contesto globale di crisi climatica e ambientale. La politica giocherà un ruolo fondamentale nel riuscire a trovare il giusto equilibrio nel favorire le nascite che saranno coloro che troveranno i soldi per finanziare chi oggi li aiuterebbe a venire al mondo con politiche di aiuti e incentivi alle famiglie e apertura alle migrazioni attraverso iniziative di integrazione finalizzate all’occupazione e alla scolarizzazione. Nel frattempo attenzione massima a difendere il pianeta dal sovrappopolamento e quindi dall’estremo consumo di risorse, attraverso politiche ambientali. Queste dinamiche sono tuttavia interessate da una grande quota di imprevedibilità intanto per la natura stessa dello scenario ampio, poi dalle politiche delle diverse aree geografiche e dalle dinamiche migratorie. Un paese con un tasso di fertilità di 2,1 figli significa che avrà maggiore possibilità di ricambio della forza lavoro e maggiore sostenibilità rispetto a un paese con 1,21, come in Italia. Va precisato inoltre che non sempre meno popolazione può tradursi in meno impatto ecologico e quindi freno al cambiamento climatico. Su questo dato infatti influisce il tasso di benessere che tendenzialmente aumenta i consumi. L’auspicio – dice Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica a Dataroom – è che aumenti la consapevolezza».

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