A pensarla male, sembra quasi che uno sceneggiatore occulto abbia voluto alimentare questo caos in vista dei prossimi tre weekend dove tra Juventus-Inter e Napoli-Inter, non tralasciando nemmeno Milan-Lazio, si misurerà, valuterà e vivisezionerà anche il tempo di un semplice respiro. Ma siccome per dirla alla Flaiano, «la situazione è grave ma non è seria» bisogna rifugiarsi come al solito nell’errore. Grave, appunto, reiterato e alcune volte inconcepibile ma pur sempre semplice errore umano. Quanto accaduto nell’ultimo week-end, dal primo match Como-Juventus (mani di Gatti non sanzionato) all’ultima partita Inter-Fiorentina (il cross dal quale nasce l’angolo dell’1-0 fuori di una trentina di centimetri più il braccio di Darmian, contestato da Inzaghi al fischio finale «questo non è rigore mai, mai, mai») è soltanto la punta di un iceberg di un mal di pancia che a turno colpisce tutti. Poi, come al solito, fanno più rumore le partite dove sono impegnate le big del nostro torneo, con milioni di tifosi al seguito che si fronteggiano sui social ricordando l’episodio a sfavore e dimenticando quello che magari ha permesso alla propria squadra di vincere la settimana precedente. Il problema è che dove ti giri, c’è qualcuno che protesta: soltanto nell’ultimo turno, a Venezia Di Francesco si lamenta per il braccio non sanzionato di Mancini su tiro di Yeboah, a Empoli, Ibra è infuriato per il secondo giallo a Tomori preceduto però dal fuorigioco di Colombo. Senza dimenticare quanto accaduto a Torino, dove è scoppiato il caos per il rigore nel finale non sanzionato a favore dei granata per l’evidente fallo di Sabelli su Sanabria con il carico da undici dell’assistente Petrelli rivelato da Open Var su Dazn, che non solo non valuta come punibile il contatto ma addirittura consiglia di guardarne uno precedente di qualche secondo tra Adams e Matturro (inesistente) che verrebbe in soccorso del povero arbitro Feliciani, salvando di conseguenza il Var Di Paolo. Apriti cielo. Come la rigiri, c’è da mettersi le mani nei capelli. Perché è un crescendo boleriano che non lascia presagire nulla di buono in vista del rush finale. Tutti, ormai, sono sul piede di guerra.
I problemi sono sostanzialmente tre: la qualità non eccelsa dei nostri arbitri, la rigidità del protocollo Var e la mancanza di uniformità nei giudizi. Perché ci si potrà anche scandalizzare che ai tempi della tecnologia una palla uscita di trenta centimetri non possa non esser vista. Ma se il protocollo prevede che la tecnologia non può approfondire quanto accaduto nell’azione precedente perché già terminata (e soprattutto perché si tratta di un’altra Attacking Possession Phase che si è chiusa con una situazione di gara che il Var non può analizzare) si ritorna al punto di partenza. Verdone in Gallo Cedrone, se la sarebbe cavata con il classico «Ma sto Var, allora, ce serve o non ce serve?». Ci permettiamo di asserire che serve eccome, al di là dei giudizi di alcuni protagonisti come Gasperini che non più tardi di una decina di giorni fa ha sentenziato come il calcio fosse meglio senza la tecnologia. Il problema, come al solito, è l’utilizzo che se ne fa. Perché in stagione non si possono valutare in modo diverso il mani di Lucumì in Bologna-Roma, di Darmian in Inter-Fiorentina, di Mancini in Venezia-Roma, di Gatti in Como-Juve, di Koussounou in Cagliari-Atalanta, di Lazzari in Lazio-Monza (e ci fermiamo qui…) adducendo spiegazioni singolari del tipo «l’unica cosa che contende è lo spazio»: serve uniformità. E tra l’altro da sola non basta.
MODIFICHE IN VISTA
Perché casi come quello di Bastoni aprono nuovi scenari che portano inevitabilmente ad una modifica del protocollo. In tal senso bisogna attendersi più di qualcosa dall’Ifab, l’organo che decide le regole del gioco, pronto a riunirsi il 1 marzo. Proprio l’Italia si farà portavoce d’introdurre alle quattro fattispecie già analizzate (gol-non gol, scambio d’identità, espulsione diretta e calcio di rigore) anche la valutazione sulla seconda ammonizione (leggi Tomori) e sui corner (Bastoni docet). Correttivi utili per provare a diminuire sempre di più la percentuale di errore. Chissà poi se un giorno riusciremo ad arrivare al Var a chiamata, come propone l’ex arbitro Pieri. Una, due call a gara per squadra, come accade ormai nel tennis, nel volley e nel basket. «Si snatura il gioco», si obietterà. Perché così, vi sembra naturale?
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