G.L. Gatta, Cass. su 314 bis c.p. | Sistema Penale

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Cass. Sez. VI, 23.10.2024 (dep. 4.2.2025), n. 4520, Felicita, Pres. Fidelbo, Rel. D’Arcangelo

1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Sesta Sezione della Corte di cassazione si pronuncia per la prima volta sulla nuova fattispecie di cui all’art. 314 bis c.p. (“Indebita destinazione di denaro o beni mobili”), introdotta in sede di conversione del d.l. n. 92/2024, poco prima dell’abrogazione dell’art. 323 c.p., ad opera della l. n. 114/2024 (c.d. legge Nordio). La sentenza fornisce alcune rilevanti coordinate ermeneutiche, anche con riferimento ai rapporti con altre figure di reato – il peculato e l’abolito abuso d’ufficio – e ai relativi profili di diritto intertemporale. Ricordiamo che l’art. 314 bis c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni “fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto”.

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Per quanto riguarda le imputazioni rilevanti in questa sede, i fatti oggetto del giudizio, commessi prima dell’introduzione dell’art. 314 bis c.p., sono stati contestati e poi qualificati nella sentenza impugnata a titolo di peculato. Chiamato a rispondere di tale reato è il presidente di una federazione sportiva legata al CONI, la cui qualifica pubblicistica, in relazione ai fatti di cui si tratta, viene confermata dalla Cassazione.

Nell’impugnare la sentenza di condanna, il ricorrente sosteneva la tesi dell’intervenuta parziale abolitio criminis del peculato, per effetto dell’introduzione della nuova incriminazione di cui all’art. 314 bis c.p. (evidentemente irretroattiva): prospettava in altri termini l’estromissione dalla sfera del peculato (art. 314 c.p.) dei fatti distrattivi del tipo di quelli contestati nel caso di specie.

 

2. La tesi del ricorrente è stata ritenuta priva di fondamento, con una motivazione articolata e persuasiva (cfr. pp. 20 e ss. della sentenza).

Anzitutto, la Cassazione ribadisce autorevolmente quel che anche in questa Rivista abbiamo sostenuto, illo tempore, a proposito della ratio dell’introduzione del nuovo delitto ex art. 314 bis c.p.: suo malgrado il Governo, nell’abolire l’abuso d’ufficio, è stato costretto a colmare uno dei tanti conseguenti vuoti di tutela penale perché, in rapporto all’abuso distrattivo d’ufficio – cioè alle condotte di distrazione di beni, lesive di interessi finanziari dell’UE –, è previsto un obbligo espresso di incriminazione dalla c.d. Direttiva PIF (Direttiva UE 2017/1371, art. 4 § 3). Non a caso, ricordiamo che nell’art. 322 bis c.p. il riferimento all’art. 323 c.p. – inserito in attuazione della Direttiva PIF alla fine del 2022 dal Governo Draghi – è stato ora sostituito con quello all’art. 314 bis c.p. Non si tratta però solo di essere compliant al diritto dell’Unione: la Cassazione ricorda infatti un passaggio della relazione ministeriale di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92/2024 nel quale si fa riferimento, con prospettiva tutta domestica, alla necessità di chiarire il destino delle condotte distrattive non comportanti appropriazione. Ciò in quanto è risaputo che la giurisprudenza inquadrava tali condotte, ormai da tempo, nell’abuso d’ufficio (c.d. distrattivo). In particolare, come ribadisce la sentenza annotata, l’uso di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integrava l’abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione fosse avvenuto in violazione di regole contabili, sebbene fosse stato funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti. Per contro, integrava (ed integra) il più grave reato di peculato la condotta distrattiva per appropriazione, realizzata cioè “per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali”.   

 

3. Quid iuris dopo l’abrogazione dell’art. 323 c.p. e a fronte della contestuale introduzione dell’art. 314 bis c.p. che, con le parole della Sesta Sezione, dà vita a una fattispecie dalla “struttura ibrida, in quanto mutua gli elementi costitutivi in parte dal peculato e in parte dall’ormai abrogati abuso d’ufficio”? La risposta della S.C. è chiara, netta, e può essere così compendiata: il legislatore, “consapevole del diritto vivente”, che inquadra(va) le distrazioni appropriative (i.e. le condotte propriamente appropriative) nel peculato e le condotte distrattive (non appropriative) nell’abuso d’ufficio, ha mantenuto “inalterato l’ambito applicativo del peculato”, con il quale la nuova incriminazione “non interferisce”, ed è intervenuta solo sulle condotte di abuso distrattivo inquadrandole senza soluzione di continuità nella nuova fattispecie di cui all’art. 314 bis c.p., impedendo così che si verificasse, in rapporto a quelle condotte, una abolitio criminis per effetto dell’abrogazione dell’art. 323 c.p.

 

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3.1. L’art. 314 bis non è per la S.C. una sorta di ‘peculato minor’, destinato ad assorbire una parte delle sottofattispecie del ‘peculato maior’: nessuna derubricazione possibile, quindi, e nessuna successione di leggi penali nel tempo tra gli artt. 314 e 314 bis c.p., con applicazione delle più favorevoli pene comminate dalla nuova e meno grave figura di reato. Decisiva è infatti per la S.C. la clausola di riserva con la quale si apre l’art. 314 bis c.p. (“fuori dai casi previsti dall’art. 314 c.p.”): con essa “il legislatore ha inteso escludere un’incidenza della nuova fattispecie sull’ambito applicativo dell’art. 314 c.p., per come interpretato dal diritto vivente”. La clausola di riserva si spiega proprio in ragione del fatto che, secondo il diritto vivente, alcune distrazioni (quelle più gravi, per appropriazione) rientrano nel peculato. Ecco allora, con le parole della S.C., che “la tipicità della fattispecie dell’art. 314 bis c.p. si staglia una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie di peculato di cui all’art. 314 c.p.”. In altri termini, la nuova fattispecie “interviene solo sulle condotte di abuso distrattivo”, fino a ieri riconducibili all’art. 323 c.p. Per evitare equivoci, il legislatore non ha riproposto il lemma “distrae”, già presente nell’art. 314 c.p. prima della riforma del 1990 e che richiama anche le condotta di distrazione per appropriazione, inquadrate dal diritto vivente nel peculato, ma ha usato la locuzione “destina ad uso diverso”. In forza della clausola di riserva, questa locuzione “implica pur sempre l’immanenza di una finalità pubblica, che, per quanto differente da quella prevista dal legislatore, deve pur sempre essere presente”.

 

3.2. In conclusione. Nessuna interferenza tra art. 314 e art. 314 bis c.p. e, pertanto nessuna successione di leggi e applicazione dell’art. 2 c.p. (né del secondo né del quarto comma). Successione di leggi penali e continuità normativa, invece, tra art. 323 c.p. e art. 314 bis c.p., limitatamente all’abuso distrattivo: fuori gioco l’art. 2, co. 2 c.p. (nessuna abolitio criminis e, pertanto, impossibilità di invocare la revoca delle condanne passate in giudicato), si applica l’art. 2, co. 4 c.p., con rideterminazione della pena secondo la disciplina più favorevole prevista dall’art. 314 bis c.p. La S.C. ha infatti annullato con rinvio la sentenza impugnata, ai fini della rideterminazione della pena.

Attenzione, però. La S.C., con un opportuno obiter dictum, sottolinea come, in rapporto all’abuso d’ufficio distrattivo, l’abrogazione dell’art. 323 c.p. ha comportato invece una abolitio criminis con riferimento, da un lato, (a) alle condotte che abbiano ad oggetto beni immobili – non contemplati nell’art. 314 bis c.p., che si riferisce a denaro e cose mobili –; dall’altro lato, (b) in relazione alle condotte che non abbiano comportato violazione di specifiche disposizioni di legge e di disposizioni che lasciano residuare margini di discrezionalità del pubblico agente. A ben vedere, peraltro, quest’ultima abolitio criminis era però già stata determinata dalla riforma dell’abuso d’ufficio, realizzata nel 2020 prima della sua soppressione, nel 2024.

E’ appena il caso di sottolineare, come da noi sostenuto in altra sede, che questi esiti di abolitio criminis evidenziano il contrasto della riforma di cui alla l. n. 114/2024 con la Direttiva PIF, che non esclude dall’obbligo di incriminazione ivi previsto le condotte predette. Eventuali questioni di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 11 e 117, co.1 Cost., potranno essere sollevate – si noti – solo nei procedimenti in cui vengano in rilievo condotte offensive di interessi finanziari dell’UE.

 

3.3. Va segnalato, infine, che i principi affermati dalla Sezione Sesta sono destinati a produrre effetti anche rispetto al traffico di influenze illecite, come riformato dalla stessa l. n. 114/2024. Se è vero che la mediazione illecita è oggi solo quella diretta a indurre l’agente pubblico a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio “costituente reato”; e se è pertanto vero che la mediazione volta (come per lo più avviene) a far commettere un abuso d’ufficio non integra più il delitto di cui all’art. 346 bis c.p., è però vero che, con l’avallo della sentenza annotata, continua ad essere penalmente rilevante come traffico di influenze la mediazione diretta a far commettere un abuso distrattivo, oggi inquadrabile, senza soluzione di continuità, nell’art. 314 bis c.p.

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Esattamente in questo senso, citando anche la sentenza della Sezione Sesta qui annotata, si è pronunciata pochi giorni dopo la Prima Sezione della Cassazione nel confermare il rigetto dell’istanza di revoca di una sentenza definitiva di condanna a carico dell’ex Sindaco di Roma Gianni Alemanno (cfr. Cass. Sez. I, 10.1.2025 (dep. 7.2.2025), n. 5041, Alemanno, Pres. De Marzo, Rel. Fiordalisi). Rimandiamo, in proposito, alla sentenza pubblicata su questa Rivista.

 

 

 



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