Immaginate una fredda serata nel febbraio del 1994 in Scandinavia. Il giorno 12 febbraio la Norvegia ha gli occhi solo per la cerimonia inaugurale dei XVII Giochi invernali a Lillehammer, comune ai tempi nella contea di Oppland (oggi Innlandet). Due motivi storici rubano l’attenzione dei locali. Il primo è lo sfasamento dai Giochi estivi con una nuova edizione a soli due anni dalla precedente ad Albertiville. Il secondo è il ritorno in Norvegia dei Cinque Cerchi dopo 42 anni dai Giochi invernali di Oslo.
La nazione che si intesta l’invenzione dello sci è incollata davanti alla tv per la diretta: un evento che prometteva di mostrare al mondo il volto migliore di un paese piccolo, ma fiero. Ma anche il Paese delle favole e degli eroi senza macchia ha le sue ombre, zone buie dove vivono i dimenticati dalla società che si tormentano per i loro demoni. Lo aveva già capito l’artista più conosciuto e celebrato della Norvegia: Edvard Munch (1863-1944).
Un ex calciatore, ladro per vocazione
In questa storia spicca la figura di Pål Enger, classe 1967: un uomo che aveva trasformato la sua vita in una serie di contrasti ispirato proprio dal grande pittore e dal suo quadro più famoso: “l’Urlo” di Munch. Da giovane promessa del calcio a ladro d’arte, da detenuto a pittore. Una vita passata brancolando nel crimine e nelle amicizie poco raccomandabili, quando il talento per lo sport e per l’arte gli indicava ben altre direzioni da prendere.
Nato a Oslo, Pål mostrò fin da giovane un talento naturale per il calcio. A soli 19 anni esordì nella prima squadra del Vålerenga, partecipando a importanti competizioni come il campionato norvegese e la Coppa UEFA. Parliamo di un club fondato nel 1913 e vincitore di 5 titoli nazionali e 4 coppe di Norvegia. Ma la carriera sportiva di Enger fu breve nonostante le sue doti tecniche. Cresciuto in un quartiere difficile iniziò presto a frequentare ambienti malavitosi prima e dopo gli allenamenti.
Infanzia tormentata, ma estro creativo
Il richiamo dell’adrenalina e del crimine erano troppo forti. Come calciatore nessuno gli portava rispetto tra i conoscenti. Come criminale era più facile farsi notare. Ma non come un comune ladro, perché il suo ego era decisamente troppo grande per un quartiere popolare e poco istruito. La sua strada portava in direzione centro: negli anni 80, Enger si distinse per una serie di furti audaci, tra cui il primo colpo in un museo d’arte nel 1988, quando rubò il dipinto “Amore e Dolore” di Munch dal Munch Museum di Oslo. In realtà l’obiettivo era “L’Urlo”, ma un disguido con il suo complice cambiò i piani.
Il furto del 12 febbraio 1994 fu un vero capolavoro di strategia e tempismo. Con l’intero Paese concentrato sulla cerimonia di apertura dei Giochi di Lillehammer, Enger colse l’occasione per mettere in atto un piano audace: entrare nella Galleria Nazionale di Oslo, aggirare i sistemi di sicurezza e portare via “L’Urlo” di Munch. Il dipinto fu poi utilizzato per chiedere un riscatto milionario. Ma il piano fallì perché la polizia norvegese con l’aiuto dell’Interpol riuscì a recuperare l’opera pochi mesi dopo. Arrestato e condannato, Enger divenne una figura leggendaria – in patria e non solo – per la sua audacia e il suo senso teatrale, tanto da guadagnarsi un posto nella storia del crimine.
Il furto non fu solo un colpo alla cultura norvegese, ma un atto che sconvolse il mondo dell’arte e trasformò Enger in una figura leggendaria. Durante la detenzione riscoprì l’arte come pittore. Tra le mura del carcere, iniziò a creare opere astratte organizzando poi una mostra personale nel 2011. Il furto non fu solo un colpo alla cultura norvegese, ma un atto che sconvolse il mondo dell’arte e trasformò Enger in una figura leggendaria. Durante la detenzione riscoprì l’arte come pittore. Tra le mura del carcere, iniziò a creare opere astratte organizzando poi una mostra personale nel 2011, una volta scarcerato.
Criminale incallito o artista del furto?
Nonostante i suoi tentativi di riabilitazione, la sua vita rimase segnata dagli eccessi e dalle ombre di un passato difficile. Una volta uscito di prigione, nel dicembre 2015 viene accusato del furto di 17 dipinti da una galleria d’arte a Oslo. Si dichiara parzialmente colpevole per la sparizione di cinque opere. Per gli altri 12 si dichiara innocente. Ma questo basta per dimostrare che la sua passione per l’arte va ancora di pari passo con quella per il furto.
Ma chi era davvero quest’uomo, capace di pianificare un crimine che sarebbe passato alla storia? Pål Enger è morto il 29 giugno 2024, all’età di 57 anni. Sulla sua vita è stato fatto anche un documentario per la tv. “L’ansia terribile e senza parole sul volto, le mani sopra le orecchie mi ricordavano come mi facesse sentire il mio patrigno violento. Pensai di non essere il solo. Per anni sono tornato a guardare il dipinto almeno due volte a settimana”, racconta Enger alle telecamere. Per molti norvegesi è un criminale, per molti altri è l’ultimo dei romantici.
La notizia del furto suscitò un ampio dibattito pubblico e molti norvegesi si sentirono offesi dal suo gesto. Enger stesso, dopo il furto, lasciò un messaggio ironico che evidenziava le falle nella sicurezza, il che aumentò ulteriormente la disapprovazione pubblica. “Quando nel 1988 sentii Juan Antonio Samaranch, presidente del Cio, annunciare la scelta di Lillehammer, decisi che sarebbe stato un buon momento per rubare Munch. Ero in arresto in quel momento e così dal carcere ordinai dei libri per diventare un esperto scassinatore di finestre”.
La sua ex squadra, il Vålerenga, lo ha ricordato così il giorno della morte: “Non era il miglior calciatore del mondo, era più bravo come ladro, per questo ha scelto la carriera di criminale”. Il senso della sfida è la calamita che Pål Enger non è mai riuscito a respingere. Anche se non è mai stata una sfida sportiva, il suo nome rimarrà per sempre legato alla storia dei Giochi olimpici.
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