Il processo-incubo a Mario Landolfi

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Cosa collega il leader dei radicali Marco Pannella, il campione del ciclismo Marco Pantani, lo scrittore ceco Franz Kafka, l’ex pornostar Cicciolina, il pm anticamorra Raffaele Cantone, il presentatore televisivo Enzo Tortora e la gestione dei rifiuti sul litorale Domizio, provincia di Caserta?

Apparentemente niente. Eppure c’è un filo che il giornalista napoletano Luca Maurelli dipana lentamente nel suo ultimo libro, “Anatomia di un’ingiustizia”, Guida Editori. Un filo che tutto unisce e tutto ingarbuglia attorno alla figura di un politico di Mondragone, Mario Landolfi, divenuto prima parlamentare, poi presidente della Commissione di Vigilanza Rai, poi Ministro delle Comunicazioni nel Governo Berlusconi.

Una carriera politica brillante, tutta nelle file del centrodestra, anzi, per la precisione, della destra: prima col Movimento Sociale, poi in Alleanza Nazionale, nel solco tracciato dal padre, monarchico e mussoliniano. Una carriera però che va a sbattere improvvisamente in un’indagine inizialmente di poco conto, che nel tempo si accresce e si aggrava, fino a costruire per Mario Landolfi la pesantissima accusa di aver agevolato un’organizzazione mafiosa imperante nel suo territorio, il clan La Torre.

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Comincia così un procedimento giudiziario che è un vero calvario, durato la “bellezza”, si fa per dire, di quasi vent’anni. Sì, perché questa storia comincia nel 2004 e termina solo nel 2023. Nel mezzo c’è di tutto: indagini, pentiti che appaiono anni dopo la formulazione delle accuse, ritrattazioni, misteriose “premonizioni”, processi paralleli ad un altro politico locale salito alla ribalda nazionale, Nicola Cosentino, di Forza Italia, interpretazioni sorprendenti di giudici che quando stanno per emettere la sentenza di primo grado fermano tutto e chiedono di risentire un collaboratore di giustizia.

Il quale però non dirà niente di nuovo contro Mario Landolfi, al contrario, in qualche modo ammette di non ricordare affatto che il politico di Alleanza Nazionale fosse informato dei fatti. E allora quegli stessi giudici che avevano reputato indispensabile un chiarimento del pentito, davanti al pentito che non chiarisce, vanno a ripescare una vecchia dichiarazione resa in altro procedimento molti anni prima (e di cui disponevano già quando hanno deciso che le dichiarazioni di quel pentito non erano ancora sufficienti e hanno perciò chiesto di risentirlo), una frase di appena otto parole: «Credo che ne avessi parlato anche con Landolfi».

Credo. Forse. Ne avrebbe parlato. Su questa base, prima beffa, Landolfi verrà condannato in primo e secondo grado. Non per camorra, però. L’aggravante del famigerato articolo 7 (l’aver agevolato un’organizzazione mafiosa) cade del tutto. Resta una condannina a due anni, pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario, che è una seconda beffa. Condannato per un episodio di corruzione. Avrebbe indotto un consigliere comunale di Mondragone a dimettersi per mantenere in vita un giunta mista (centristi del Ppi e centrodestra) attraverso un complesso gioco di subentri sugli scranni del consiglio comunale.

Al consigliere comunale sarebbe andato in premio l’assunzione della moglie nel Consorzio Rifiuti Eco4, che gestiva la raccolta dell’immondizia sul Litorale Domizio. Ma c’è un’altra beffa in questa storia. La condanna non sarebbe mai potuta arrivare dopo tanti anni, troppi anche per la “giustizia” italiana. I reati erano tutti prescritti da anni. Ma l’imputato Mario Landolfi ha rinunziato alla prescrizione: un innocente chiede di essere assolto con formula piena da ogni sospetto, non di uscire dal processo avvalendosi della prescrizione.

E invece. Tante beffe in questa storia, beffe che non fanno ridere ma che sono invece sottese, nel racconto di Luca Maurelli, da un senso di angoscia crescente. Non a caso ogni capitolo è puntellato di citazioni dal romanzo più buio e claustrofobico di Kafka, “Il processo”. Ma l’angoscia non riguarda solo i protagonisti di questa triste e grave vicenda, Mario Landolfi, i suoi familiari, i suoi avvocati difensori. L’angoscia qui prende il lettore, ogni lettore, perché si percepisce che è una vicenda che potrebbe accadere ad ognuno di noi. Almeno nel Mezzogiorno d’Italia.

Come ricorda infatti Alessandro Barbano nella prefazione al libro di Maurelli, nel Meridione vige una legislazione penale a se stante, in parte creata dalla giurisprudenza, quindi dai giudici, e da loro gestita: la legislazione dell’antimafia. La legislazione del pregiudizio e del sospetto, in cui a un presunto innocente (almeno per la Costituzione) possono essere requisiti tutti i beni, salvo poi magari finire assolto all’esito di un processo interminabile.

Una legislazione e un giurisdizione che su ogni vicenda, qui al Sud, allunga inevitabile l’ombra oscura di camorra, mafia o ‘ndrangheta, ombra che c’è anche quando non c’è. Che esiste a prescindere. Che grava su ognuno di noi, cittadini, amministratori, imprenditori, liberi professionisti, per il solo fatto di essere nati e cresciuti in questa terra bellissima e sfortunata. È quello che sembrerebbe essere accaduto anche a Mario Landolfi.

Alla fine assolto dopo quasi vent’anni da qualsiasi accusa di camorra, e però condannato comunque a una piccola pena. Come dire che quasi vent’anni di inquisizione e processi andavano comunque giustificati in qualche modo. Ma attenzione: parafrasando Hemingway, non chiedere a chi sta accadendo adesso, a Mario Landolfi oppure ad altri più anonimi cittadini, perché la legislazione dell’Antimafia sta accadendo anche a te. Proprio ora. E quando si finisce la lettura angosciante di questo bellissimo libro, si chiudono le pagine e il primo pensiero che affiora è: occorre riformare qualcosa. Subito.

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