Il governo ha tagliato il Fondo per la povertà educativa che serviva a finanziare decine di progetti di sostegno dei bambini e delle loro famiglie. Azioni non estemporanee ma valutate e certificate anche dall’Invalsi. Così si mette a rischio un patrimonio costruito nel tempo
Il mancato finanziamento del Fondo per la Povertà educativa è stato motivo di sorpresa e preoccupazione da parte di operatori e esperti che hanno, da più parti, apprezzato un’azione diffusa e rigorosamente vagliata, fondata sulla sussidiarietà pubblico/privato e che oggi raggiunge 600 mila minori in situazione difficile attivando centinaia di comunità educanti sempre più capaci di dare continuità a queste azioni nelle troppe aree di crisi educativa – come ha osservato il Presidente dell’impresa sociale «Con i Bambini» Marco Rossi Doria.
Sono state, infatti, sottolineate le ragioni che motivano una prospettiva lunga rispetto agli interventi volti a fronteggiare la povertà educativa. «Nelle periferie sociali ed educative del nostro Paese, c’è bisogno di alzare lo sguardo, di mettere in atto piani strategici che trasformino le condizioni di vita e di crescita delle nuove generazioni…» ha scritto, per esempio, Daniela Fatarella Direttrice generale di Save the Children – ed è proprio sulla necessità di «alzare lo sguardo» che vorrei orientare l’attenzione rispetto a questo tipo di interventi.
In questa prospettiva, è stato richiamato il perdurante inverno demografico che richiederebbe una cura ancora maggiore per bambini/e e adolescenti che rappresentano il futuro di questo Paese, se davvero non si vuole rinunciare ad uno sviluppo più equilibrato e più giusto, anche nelle zone in cui è più vivo il contrasto delle diverse diseguaglianze.
Gli interventi sono volti al riequilibrio, allo svolgimento di attività compensative che, sin dai più piccoli, mirano a sostenere una crescita più armonica senza rinunce alla soddisfazione di bisogni fondamentali: giocare, disporre di situazioni di cura in ambienti «salvi», di adulti competenti in grado di arginare gli stress di cui coloro che vivono condizioni difficili sono portatori, anche inconsapevolmente. Per gli adolescenti poi, si tratta di competenze esperte in grado di fronteggiare i diversi comportamenti che richiedono ascolto, piena comprensione, ma anche contenimento, in un equilibrio difficile e sempre precario.
Gli esiti di questi interventi, se si vuole «alzare lo sguardo», come si diceva sopra, hanno bisogno di essere attentamente valutati proprio per esaminare la loro possibilità di rientrare in una strategia come modelli a cui ispirarsi per altri interventi o anche per evidenziare i limiti che hanno incontrato e di cui tenere conto in successive progettazioni.
Proprio la valutazione dei numerosissimi progetti è l’aspetto, a mio avviso, più interessante. La valutazione infatti, ha dovuto prendere in carico le molteplici diversità e mettere in campo i dispositivi disciplinari che si adeguassero meglio a quelle specificità; come direbbero gli anglossasoni una valutazione «taylored», su misura, che ha richiesto anche la collaborazione tra esperti disciplinari diversi.
Proprio in riferimento a questo ultimo aspetto, vorrei riportare l’esperienza vissuta durante la mia presidenza all’Invalsi; l’istituto infatti è stato richiesto di condurre la valutazione di un progetto «0-6» finanziato dall’impresa sociale «Con i Bambini». Si è messo a punto un disegno di ricerca valutativa che prevedeva due diversi tipi di raccolta di dati, quantitativi per consentire una successiva elaborazione statistica, e qualitativi per approfondire i significati che quella elaborazione proponeva.
Anche molti altri progetti hanno condotto valutazioni prendendo in carico la specificità di progetti che rivolgendosi a soggetti in crescita in contesti sociali complessi, hanno dovuto mettere a punto modalità di elaborazione che fossero adeguate a quelle complessità.
In epoca di valutazione di progetti – completati o in fase di realizzazione – finanziati dal Pnrr questo insieme di valutazioni, di cui si è dato conto in un incontro seminariale a Novembre 2024 nella sede di Con i Bambini e si presenterà anche nel prossimo Aprile, come ha detto il Presidente Rossi Doria, costituisce «un bene comune» per il nostro Paese in quanto fonte di ispirazione per le modalità innovative che sono state messe a punto in questa occasione.
Si tratta di un aspetto di per sé importantissimo perché nel nostro Paese non c’è una tradizione di valutazioni di questo tipo che è invece presente e radicata, ad esempio, nei Paesi anglosassoni; in tal senso si tratta di un patrimonio da curare e articolare ulteriormente.
Un altro elemento su cui vorrei richiamare l’attenzione riguarda la necessaria continuità che deve caratterizzare gli interventi per fronteggiare la Povertà educativa. In assenza di una simile continuità, quando cioè non si individua la possibilità di progettare azioni che si inseriscano nella scia di quanto già realizzato, si ingenerano diversi effetti negativi. La delusione, in primo luogo, di chi ha avuto supporti indispensabili per continuare a crescere nutrendo speranze di realizzazioni future; in secondo luogo, la dispersione di competenze professionali in grado di far fronte a situazioni complesse e talora drammatiche, poiché l’assenza di continuità si traduce per gli operatori nella necessità di individuare condizioni di lavoro meno precarie. Se si considera infine, che l’assenza di sedimentazione di pratiche educative in grado di orientare e sostenere le speranze delle persone in crescita è proprio ciò che il mancato finanziamento produce, si evidenzierà pure l’impossibilità di una prospettiva strategica che ne è il presupposto fondamentale.
Rossi Doria assicura che dispone di finanziamenti «per domani», vale a dire che i progetti proposti e quelli in fase di realizzazione potranno ricevere il finanziamento richiesto in seguito alla loro approvazione; fa piacere saperlo, ma al Paese serve una strategia di intervento e «
*Professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Presidente dell’Invalsi dal 2014 al 2021
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