È stato così che le operatrici hanno scoperto che l’immobile che le ospita è inagibile e che le attività devono essere trasferite altrove. Un problema non da poco per una struttura che deve rispettare requisiti stabiliti dalla legge. «
Ci contattano puntualmente ogni 25 novembre e ogni 8 marzo», ma «tutto diventa sterile e viene smascherato come operazione di immagine se a un certo punto non esistiamo più»Venerdì 7 febbraio il centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza è rimasto improvvisamente senza corrente elettrica. «Le operatrici stavano svolgendo il loro turno in accoglienza, quando se n’è andata via la luce», racconta Chiara Gravina, avvocata civilista del centro antiviolenza cosentino. Si sono quindi subito mobilitate per provare a «capire a cosa fosse dovuto questo distacco della luce», e dopo aver comunicato sui profili social del Cav quello che stava succedendo, «dalla Regione hanno mandato un tecnico che ci ha riallacciato la corrente elettrica».
L’immobile che da dodici anni ospita il Cav Roberta Lanzino è di proprietà della Regione Calabria, e sarebbe destinato a lavori di ristrutturazione, ma le operatrici non avrebbero ricevuto nessun preavviso: nei mesi precedenti, spiega Gravina, «abbiamo saputo per vie informali che gli uffici di fronte la nostra sede, che sono sempre di proprietà della Regione Calabria, sarebbero stati trasferiti altrove perché l’intero immobile sarebbe stato oggetto di ristrutturazione».
Perciò le operatrici si sarebbero presentate di persona nei vari uffici e avrebbero mandato delle Pec alla Regione per capire se anche lo stabile del Cav sarebbe stato coinvolto nei lavori: «Nessuno ci ha risposto», ha detto però Gravina. Sempre per via informale, le operatrici hanno saputo poi che «l’intero stabile è inagibile, ma di tutto ciò a noi nessuno ha dato comunicazione formale».
Ed è questo il punto centrale della rabbia e dell’indignazione delle operatrici del Cav di Cosenza: «La Regione Calabria sa benissimo che lì ci siamo noi, che svolgiamo la nostra attività in quei locali da tanti anni, e il fatto che non ci sia arrivata alcuna comunicazione è molto grave», ha commentato Gravina.
Non è solo una questione di forma, ma di complessità del ruolo svolto dal centro. Sapere con un certo anticipo di un eventuale trasferimento è infatti necessario per un centro antiviolenza, la cui sede deve rispondere a una serie di requisiti stabiliti dalla normativa, come il rispetto della privacy delle donne accolte e l’accessibilità e prossimità sul territorio: questo vuol dire che la ricerca della struttura giusta può richiedere tempo.
Secondo Gravina, la mancanza di comunicazione non è stata un’azione intenzionale, né sarebbe stata dettata da «una volontà politica di abbandonarci, ma c’è comunque stata una grave dimenticanza che li espone a una situazione di imbarazzo». Dal Cav hanno definito l’intervento della Regione «una decisione irresponsabile che mette a rischio un servizio importante per la nostra comunità».
Il centro Roberta Lanzino
Il centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza svolge infatti un ruolo fondamentale tanto sul territorio quanto a livello nazionale. Intitolato alla diciannovenne calabrese che nel 1988 è stata violentata e uccisa, il Cav cosentino nel tempo ha accolto più di 6mila donne, è collegato al numero nazionale gratuito antiviolenza e stalking 1522, collabora con il Centro di Women’s Studies dell’Università della Calabria e contribuisce agli studi sulle questioni di genere attraverso dati e analisi. Soprattutto, dice Gravina, svolge «un’azione di sensibilizzazione sul territorio attraverso politiche di informazione e formazione contro le discriminazioni».
E questo, sostiene l’avvocata, «le istituzioni lo sanno», conoscono bene il lavoro svolto dal centro. «Ci contattano puntualmente ogni 25 novembre e ogni 8 marzo per partecipare a convegni, oppure all’indomani di un efferato femminicidio»; e poi ci sono «le panchine rosse da inaugurare, le manifestazioni e le campagne con le immagini delle donne con l’occhio nero: tutto diventa sterile e viene smascherato come operazione di immagine più che di contenuto, se poi nel momento in cui abbiamo realmente bisogno di supporto nella lotta e nel sostegno alle donne vittime di violenza ti sottrai e non esistiamo più». Il riferimento è anche all’amministrazione comunale cosentina che, a eccezione della partecipazione di un’assessora a un’assemblea, non avrebbe dimostrato supporto: «Anche da questo punto di vista, siamo rimaste molto deluse», afferma Gravina.
Grande sostegno invece è arrivato dalle associazioni, dalla cittadinanza e anche dall’Università della Calabria, il cui rettore, il professor Nicola Leone, ha messo a disposizione degli spazi per far sì che il centro possa continuare a lavorare. Al momento, infatti, il Cav ha dovuto sospendere o rallentare le attività, perché la corrente elettrica non è stabile e la sede è priva di riscaldamento, mentre stanno «facendo i salti mortali» per proseguire almeno con l’accoglienza. Mercoledì 12 c’è stata un’assemblea aperta con associazioni e società civile, e nei prossimi giorni le operatrici del CAV incontreranno il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, a cui chiederanno supporto logistico nella ricerca di una nuova sede adeguata e idonea.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link