Maxi frode fiscale di oltre 365 milioni, a Brescia i tentacoli della ‘ndrangheta reggina

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Sequestro preventivo di più 8,5 milioni e una maxi frode fiscale di oltre 365 milioni nel settore del commercio delle materie plastiche. Questo il bilancio di una complessa attività del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Brescia e del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata che hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 12 indagati per aver costituito un’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione di reati tributari. Operazione diretta dalla procura distrettuale della Repubblica di Brescia.

“Siamo davanti a imprenditori – ha affermato il procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, presentando in conferenza stampa i risultati dell’inchiesta – che non sono più vittime della ‘ndrangheta ma alleati, che la cercano per frodare insieme il fisco”.

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L’indagine si è sviluppata nelle province di Brescia, Torino, Verona, Reggio Emilia, Modena, Cremona, Milano, Monza-Brianza, Mantova, Varese, Catania e Reggio Calabria, nonché in Spagna e Svizzera, con l’impiego di circa 300 militari, e col supporto dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria, del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia nell’ambito del progetto I-Can (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta), e delle forze di polizia spagnole e svizzere.

Le società e le persone coinvolte, circa 70, nel collaudato sistema di “fatture per operazioni inesistenti”, sono inoltre destinatari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, anche per equivalente, per un importo complessivo pari a oltre 8.5 milioni, quale provento delle presunte condotte delittuose investigate.

Le indagini

I provvedimenti eseguiti costituiscono l’epilogo di complesse attività di indagine, anche transnazionali, avviate a partire dal mese di giugno del 2019, che hanno riguardato l’operatività sul territorio bresciano di un’associazione per delinquere di matrice ‘ndranghetista, originaria della provincia di Reggio Calabria, egemone nella zona compresa tra i comuni di Melia di Scilla e San Roberto, al cui vertice vi era un uomo già condannato per associazione di stampo mafioso dal tribunale di Reggio Calabria.

L’attività investigativa avrebbe permesso di documentare la genesi e l’ascesa del sodalizio che, spiega la Guardia di finanza “facendo leva sulla forza di intimidazione che deriva dal vincolo associativo, avrebbe dapprima danneggiato, poi sopraffatto e infine estromesso dal giro d’affari connesso alle frodi fiscali un precedente sodalizio criminale, operativo dal 2017 nel distretto industriale del nord est”.

Per gli inquirenti l’assoggettamento di questo gruppo criminale, sarebbe stato realizzato attraverso diverse azioni delittuose, promosse e dirette dai vertici della neo-costituita consorteria mafiosa, quali: “una simulata rapina operata nei confronti di un corriere che aveva ritirato denaro contante per circa 600.000 euro – frutto della monetizzazione delle fatture per operazioni inesistenti – da soggetti cinesi dimoranti nella chinatown milanese, avvalendosi, in tale circostanza, della collaborazione di alcuni sodali intranei alla prima associazione; la sottrazione delle credenziali dei conti correnti accesi in Bulgaria ove gli introiti del disegno criminoso venivano dirottati, grazie all’ausilio di una commercialista bulgara e dei rappresentati legali delle cartiere estere; gravi condotte intimidatorie, perpetrate mediante l’ostentamento di armi da fuoco durante gli incontri con i membri del primo sodalizio, al fine di imporre agli associati di tale consorteria di trasferire l’intero “pacchetto” di società precedentemente gestite e di assoggettarsi alla neocostituita associazione di stampo mafioso”.

L’attività investigativa sviluppata, anche attraverso l’utilizzo di intercettazioni, accertamenti bancari e sequestri di denaro contante per circa 450 mila euro, destinato alle cosche reggine, avrebbe consentito di ricostruire “lo schema dell’articolata frode”.

I dettagli

L’associazione di stampo mafioso, dopo aver completamente sostituito la prima consorteria, si sarebbe avvalsa di oltre 30 società tra cartiere estere (ubicate in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Svizzera e Croazia) e filtro italiane che, nel periodo di indagine, avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti nel settore del commercio delle materie plastiche per oltre 365 milioni di euro in favore di “imprenditori compiacenti”, localizzati prevalentemente nelle province di Brescia e Mantova.

Sono attualmente in corso molteplici perquisizioni in Italia e all’estero, condotte con il supporto tecnico-operativo dello Scico, l’ausilio di moderne strumentazioni tecnologiche e tre unità cinofile antidroga e “cash dog” per la ricerca di sostanze stupefacenti e contanti, in una cornice di sicurezza garantita anche dall’impiego dei “baschi verdi”, militari con specializzazione Atpi “Anti Terrorismo – Pronto Impiego”, e di un elicottero della componente aeronavale del corpo.

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“Il provvedimento, in corso di esecuzione, – fanno sapere dalla Guardia di finanza – è stato emesso sulla scorta degli elementi probatori allo stato acquisiti, pertanto, in attesa della definitività del giudizio, sussiste la presunzione di innocenza”.



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