nel Lazio è stallo totale

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Si vedranno giovedì, da copione si stringeranno la mano. Ma a mercoledì la pace non è per niente fatta fra Francesco Rocca, il presidente della regione Lazio, e Matteo Salvini, capo della Lega. Siederanno insieme in un’iniziativa sul decreto Salva casa.

Il guaio è che i piani casa, per la destra del Lazio, sono due. Il Carroccio de’ noantri è imbufalito perché l’assessore al Bilancio, Giancarlo Righini, ha presentato una sua legge sulla casa, infischiandosi del fatto che la materia è di competenza del collega leghista Pasquale Ciacciarelli. Apriti cielo, anzi apriti crisi: il sospetto è che proprio la delega all’Urbanistica stia per essere sfilata al detentore.

Per questo la Lega ha convocato un vertice con Salvini. Che ha incitato i suoi alla guerriglia e preteso un chiarimento politico con Rocca, se no via dalla giunta: del resto dopo la pubblicazione delle chat dei dirigenti FdI in cui viene definito «bimbominkia» (nel migliore dei casi), Salvini ha diramato a tutte le regioni in cui la destra governa di «fargli vedere i sorci verdi».

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A FdI, si intende. Un’impennata di toni rimbombata al Consiglio federale del partito, dove un leader nerissimo e incline ad attaccare briga con tutti ha comunicato le nuove richieste della Lega al governo. E che il Congresso nazionale slitta a aprile.

La sfuriata a Fedriga

Quanto a Rocca, poco impressionato dalla minaccia di crisi, aveva risposto «me ne farò una ragione». Poi, però, dall’alto gli è arrivata la preghiera di essere più conciliante. Così, all’ora di pranzo, il presidente è stato invitato a palazzo Chigi per discutere della sua proposta di assumere i medici di base. Presenti la premier, Antonio Tajani, i ministri Orazio Schillaci e Giancarlo Giorgetti, e Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle regioni. E Salvini. I presenti riferiscono del gelo fra lui e Rocca. Il leghista era furibondo. Al punto da fare una sfuriata all’incolpevole Fedriga che si era dichiarato possibilista con l’idea di Rocca: «La Lega è contraria, punto». Nulla di fatto, dunque. Meloni irritatissima.

Rocca e Salvini si rivedranno, dunque. Ma l’umore del vicepremier non sembra migliorato, almeno non lo era quando, dopo la riunione di palazzo Chigi, è andato all’assemblea federale del suo partito, alla Camera. Lì se l’è presa con il capogruppo Massimiliano Romeo.

Nel Lazio Rocca non avrebbe intenzione di concedere niente alla Lega: qui i salviniani sono in caduta libera di consensi, dei tre consiglieri eletti, ne è rimasto uno, anzi una (Laura Cartaginese), gli altri due sono passati a Forza Italia. L’uomo forte di Salvini in regione, Claudio Durigon, «pensa solo ai suoi», viene raccontato. Sottosegretario al Lavoro ed ex sindacalista dell’Ugl, per anni riferimento della destra sindacale, la sua stella è in declino anche nel governo: per le questioni del lavoro la premier ormai parla solo con Luigi Sbarra, ex segretario della Cisl.

Il ginepraio della giunta laziale è indistricabile. Alla picchiata leghista è corrisposta la lievitazione forzista, nel cui gruppo sono approdati due fuggitivi del Carroccio e due transfughi M5s (due ex duri e puri eletti in quota Virginia Raggi, «come si cambia per non morire», hanno cantato le opposizioni in aula al momento del passaggio): morale, il gruppo è più che raddoppiato. Ma gli assessori restano due per la Lega, con un consigliere, e due per FI, ma con sette consiglieri. Quest’estate i berlusconiani hanno chiesto «un riequilibrio» e bloccato di fatto la giunta.

Ma mesi di sciopero bianco non hanno portato a nulla. Figuriamoci cosa può ottenere la Lega, con il suo unico voto in Consiglio, nemmeno determinante. Rocca continua a nominare dirigenti per fatti propri. Con la benedizione di Arianna Meloni, domina di FdI nel Lazio. E così intende andare avanti, anche dopo l’inchiesta che ha travolto la Asl Roma 6, dove fra gli indagati per presunta corruzione c’è Matteo Orciuoli, consigliere FdI ad Albano.

La regione in stallo

In tutto questo la regione «è in stallo, dall’inizio della legislatura», raccontano sconfortati dalle opposizioni: non si riesce a incardinare un provvedimento, sono state votate mozioni e ordini del giorno relativi alla legge di bilancio approvata da mesi, il lavoro dell’aula è impantanato, commissioni idem. I conflitti non aiutano.

Neanche quelli interni, meno evidenti ma non meno invalidanti. Circola che Rocca vorrebbe lasciare la regione per il parlamento, quando sarà. In FdI è già aperta la guerra per la successione. Righini si sente il candidato naturale, anche se è vicino a Francesco Lollobrigida, ex compagno di Arianna Meloni e astro discendente del firmamento FdI. Lo stile è lo stesso di Rocca, «accentratore e arrogante», dicono i leghisti preparando le barricate.

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Non è l’unico aspirante. Tesse la sua tela, ma con più discrezione, anche Antonello Aurigemma, presidente del Consiglio ed esperto navigatore. Ex capogruppo forzista, è stato vicino a Tajani ma soprattutto è lontano dallo stile ex Msi del collega. Ed è più coalizionista, che in questa fase è la mitica dote della destra, che però in questa fase sembra essersi persa, sulla strada del governo.

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