Romania, Iohannis si è dimesso, è l’ora di Georgescu

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Il presidente uscente della Romania, Klaus Iohannis, si è dimesso lunedì, anticipando una mossa di impeachment da parte dei partiti di opposizione liberali e di destra. Il suo mandato era scaduto a dicembre, ma la Corte Suprema gli aveva concesso di restare in carica fino a nuove elezioni dopo aver annullato il voto a causa di possibili interferenze russe. Il primo turno delle nuove presidenziali sarà il 4 maggio, con un ballottaggio il 18 maggio se nessun candidato supererà il 50 per cento dei voti. Iohannis era in carica dal 2014 e non si era ricandiderà: ha già esaurito il limite di due mandati.

Il primo turno delle presidenziali, svoltosi lo scorso novembre, era stato vinto a sorpresa da Calin Georgescu, candidato di estrema destra non affiliato a nessun partito, con il 23% dei voti. Georgescu aveva superato sia Elena Lasconi dell’Unione Salva Romania (centro-destra liberale) che l’attuale Primo Ministro Marcel Ciolacu del Partito Social Democratico, entrambi al 19%. Nessun candidato aveva ottenuto la maggioranza assoluta, quindi Georgescu – precedentemente legato all’Alleanza per l’Unione dei Rumeni (Aur, attiva anche nella vicina Moldavia) – avrebbe dovuto affrontare Lasconi al ballottaggio l’8 dicembre scorso.

Tradizione e TikTok

Georgescu sfida gli stereotipi sul populismo di destra: ex membro del partito nazionalista Unità dei Rumeni (AUR), è un filo-russo che ha elogiato il presidente russo Vladimir Putin come “un uomo che ama il suo Paese” e ha detto che il futuro della Romania risiede nella “saggezza russa”. Ma è anche un ex consulente delle Nazioni Unite con 17 anni di esperienza nel campo delle scorie radioattive presso le più importanti istituzioni internazionali. Ha condannato come “vergogna della diplomazia” l’installazione da parte della Nato di uno scudo antimissile balistico nella località rumena di Deveselu, e questo è un elemento di rottura rispetto alla tradizione filo-atlantica rigida della Romania degli ultimi decenni. Peraltro, il presidente della Romania è il comandante in capo delle forze armate e presiede il Consiglio Supremo di Difesa Nazionale.

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Combinando tradizionalismo nella cultura e un uso efficace di TikTok, Georgescu è andato forte parlando di temi solitamente trascurati dai candidati presidenziali, i cui poteri in Romania sono relativamente limitati negli affari interni, concentrandosi sul malcontento per la crisi economica, la perdita di potere d’acquisto e la dipendenza dalle importazioni, temi sentiti lontano dalla capitale Bucarest. Il 6 dicembre, cioè due giorni prima del ballottaggio tra Georgescu e Lasconi, la Corte costituzionale della Romania aveva annullato le elezioni dopo che c’erano state numerose segnalazioni di possibili interferenze russe nelle elezioni e che l’intelligence romena aveva reso pubblici alcuni documenti secondo cui la campagna elettorale era stata oggetto di “azioni russe ibride e aggressive”.

Il ruolo della Ue

I partiti di estrema destra, che in Romania hanno adesso più di un terzo dei seggi, avevano presentato due mozioni di sfiducia contro Iohannis nelle ultime settimane, cioè per sfiduciare e destituire Iohannis. Quando si è capito che avrebbero votato a favore del terzo tentativo di impeachment anche alcuni deputati europeisti della maggioranza che sostiene l’attuale governo, Iohannidis ha gettato la spugna. Anticipando la mozione, si è dimesso e il suo posto è stato preso ad interim dal presidente del Senato Ilie Bolojan.

Thierry Breton, ex commissario europeo francese, ha rivelato in un’intervista settimane fa che l’Ue ha avuto un ruolo importante nell’annullamento delle elezioni in Romania. Breton ha anche affermato che l’UE è pronta a fare lo stesso in Germania se necessario, sostenendo una strategia di contrasto all’estrema destra che include limitazioni alla libertà di informazione. Durante il suo mandato, Breton ha promosso leggi come il Digital Services Act (DSA), che impone a grandi piattaforme online di controllare i fatti e filtrare le fake news, e ha sostenuto iniziative come lo “scudo della democrazia” di Ursula von der Leyen per prevenire interferenze esterne. Queste misure, secondo l’economista Wolfgang Munchau, mirano a soffocare non solo l’estrema destra ma tutto il dibattito democratico limitando l’accesso all’informazione, riflettendo una forte torsione autoritaria. L’UE, spaventata dalla crescita dei partiti populisti, sembra voler proteggere il sistema democratico con un approccio sempre più restrittivo. La Romania sembra essere un primo banco di prova.

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