Sanremo: se da festival di canzoni diventa gara di pinkwashing

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Negli ultimi anni artisti e ospiti hanno usato Sanremo in un luogo per parlare di temi sociali come la violenza sulle donne. Ma il rischio è che un argomento così importante si trasformi in una bandierina. Ecco perché

Negli ultimi anni il festival di Sanremo si è assunto il difficile compito di trascendere la sua natura di semplice competizione musicale, per quanto storica e importante per il nostro Paese, per trasformarsi in un contenitore che racchiude lo spirito del tempo. Il palcoscenico dell’Ariston diventa per una settimana il luogo privilegiato dove “lanciare messaggi” di qualsiasi natura e sul quale ogni gesto, ogni scelta musicale e persino ogni scelta di abbigliamento deve nascondere, o al contrario gridare, un altro intento, possibilmente dall’alto valore sociale. Negli ultimi anni il tema più gettonato è stato un argomento senz’altro di grandissima attualità, la violenza maschile contro le donne, rendendo Sanremo una sorta di ricorrenza intermedia tra il 25 novembre e l’8 marzo. Ma spesso, in questa grande ansia di lanciare messaggi, il risultato è che a destinazione arrivi ben poco o, ancora peggio, che temi importanti come quello della violenza di genere ne escano banalizzati se non proprio strumentalizzati. Il tema, quindi, è se più che un festival di canzoni, Sanremo non stia diventando una gara di pinkwashing.

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Il palcoscenico dell’Ariston diventa per una settimana il luogo privilegiato dove “lanciare messaggi” di qualsiasi natura

Il caso Bella stronza

Quest’anno le polemiche si sono concentrate prima sulla partecipazione di Tony Effe, già protagonista di uno scontro mediatico e politico per l’invito al concerto di Capodanno a Roma, considerato inopportuno per i testi sessisti del rapper; poi su quella di Fedez, che nella serata dei duetti canterà con Marco Masini Bella stronza, una canzone dal testo molto problematico (“Mi verrebbe di strapparti / Quei vestiti da puttana / E tenerti a gambe aperte / Finché viene domattina / Ma di questo nostro amore / Così tenero e pulito / Non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza”), una scelta quantomeno particolare visto che da mesi non si fa altro che parlare di maschilismo nella musica italiana. Il conduttore del festival e direttore artistico Carlo Conti aveva detto in un’intervista televisiva che i due cantanti ne avrebbero cambiato le parole, ma poi Masini e Fedez hanno smentito via social, precisando che sono state solo aggiunte alcune strofe con l’intento di cambiare il senso della canzone.

La lunga tradizione sessista della musica italiana

C’è da aspettarsi che la “versione 2.0 di Bella stronza” prenderà le distanze dal testo originale, visto anche che l’ultima cosa di cui ha bisogno Fedez in questo momento è rafforzare l’idea che sia un maschilista. Ma il problema del sessismo della musica non è cominciato con Sanremo 2025, anzi. Canzoni passate alla storia e ormai considerate classici del repertorio italiano hanno testi marcati da sessismo più o meno esplicito, molto spesso benevolo, senza distinzioni tra musica pop e musica d’autore. A un ascolto più attento, La canzone del sole di Lucio Battisti risulta una canzone che condanna la libertà sessuale di una giovane donna. Ma anche Quello che le donne non dicono, cantata da Fiorella Mannoia e scritta da Enrico Ruggeri, un brano considerato una celebrazione del carattere delle donne e gettonatissima l’8 marzo, ha in realtà un testo pieno di stereotipi che si conclude con l’immagine di una donna che, per quanto maltrattata, dice sempre “sì” (e non è un caso se Mannoia ora quando la canta dal vivo la finisce con un bel “NO”).

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Come scrive Riccardo Burgazzi in Il maschilismo orecchiabile. Mezzo secolo di sessismo nella musica leggera italiana (Prospero Editore) non bisogna però confondere le cause con gli effetti: non sono le canzoni a rendere la società sessista, ma il contrario. Spesso la tentazione è pensare che i testi sessisti causino la violenza o il perpetuarsi della cultura patriarcale, quando in realtà ne sono causati. La soluzione proposta è però quasi sempre la censura di questi testi: il concerto di Tony Effe a Capodanno è stato annullato, mentre nel caso Masini-Fedez si sono moltiplicati gli appelli alla Rai per cancellare l’esibizione. Ma la musica non ha nessuna funzione pedagogica: può raccontare il presente, può lanciare messaggi politici, può semplicemente suscitare emozioni, ma non è compito degli artisti educare il proprio pubblico. Che il testo di Bella stronza sia sessista non dovrebbero insegnarcelo Marco Masini o Fedez.

Non bisogna però confondere le cause con gli effetti: non sono le canzoni a rendere la società sessista, ma il contrario

Ed è per questo che l’idea di un Sanremo “epurato”, in cui un testo chiaramente misogino verrà presumibilmente ribaltato per lanciare il fatidico messaggio, stride così tanto. Non perché il palco dell’Ariston non possa anche portare contenuti politici, ma perché c’è una differenza profonda tra impegno e washing (o, meglio, pinkwashing). Perché anche se nessuno strapperà più a nessuno vestiti da puttana, nella “settimana santa” sanremese continueremo a sentire canzoni scritte e prodotte nella maggior parte dei casi da uomini per un’industria in cui al vertice ci sono quasi solo uomini. Sentiremo parlare di violenza di genere in maniera inadeguata e raffazzonata, in un segmento strizzato tra una canzone italo disco e la pubblicità sul turismo in Liguria, per poi passare al prossimo tema sociale. E poi, incoronato il vincitore o la vincitrice, tutto tornerà come prima: il rispetto per le donne, tema che per una settimana sembra al centro delle priorità del nostro Paese, ricomincerà a scivolare in fondo alla classifica. E di Sanremo ci rimarranno impressi solo i meme.

La musica non ha nessuna funzione pedagogica: può raccontare il presente, può lanciare messaggi politici, può semplicemente suscitare emozioni, ma non è compito degli artisti educare il proprio pubblico



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