Richiesta una limitazione dell’utilizzo dei contratti a termine

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La disciplina del contratto a termine potrebbe nuovamente cambiare, ma questa volta per mano dei cittadini.
Infatti, la Corte Costituzionale, lo scorso 7 febbraio, con sentenza n. 14/2025, ha giudicato ammissibile un referendum abrogativo volto ad incidere su tale normativa.

In sostanza, la richiesta referendaria, con l’abrogazione di determinate parti degli artt. 19 e 21 del DLgs. 81/2015 da un lato, mira ad ottenere la riespansione dell’obbligo della causale giustificativa anche per i contratti di lavoro di durata inferiore ai 12 mesi e, dall’altro, è finalizzata a escludere il potere delle parti di individuare, a fondamento della stipulazione di tali contratti, giustificazioni diverse da quelle indicate dalla legge o dai contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi.

La Consulta, con la pronuncia in commento, ha avuto modo di esporre gli interventi legislativi che, nel corso del tempo, hanno interessato la disciplina del contratto a termine.
Tale riepilogo mostra un succedersi nel tempo di norme aventi finalità non sempre coerenti con quello che è stato e che, di fatto, è il principio fondamentale in materia, consacrato nell’art. 19 del DLgs. 81/2015, di eccezionalità del contratto di lavoro a termine rispetto al rapporto a tempo indeterminato che, invece, costituisce la regola.

Tra gli interventi che hanno maggiormente segnato la normativa in esame, va senz’altro posto l’accento sul DLgs. 368/2001, per mezzo del quale si è affermata la necessità, al fine di apporre legittimamente un termine alla durata del contratto di lavoro, di indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; la durata del termine non poteva comunque eccedere i 36 mesi.

Tuttavia, nel primo decennio degli anni 2000, si è aperta la strada a una “liberalizzazione” dei rapporti a termine, escludendo la necessità di indicare la causale per la stipula di contratti a tempo determinato entro i 12 mesi, con l’art. 1 comma 9 lett. b) della L. 92/2012, termine poi esteso a 36 mesi, sebbene nel rispetto di specifiche soglie percentuali (art. 23 del DLgs. 81/2015).
Gli interventi in materia non sono però cessati.

Il legislatore, infatti, con il c.d. decreto “Dignità”, ha tentato di limitare il ricorso al rapporto a termine, reintroducendo la previsione dell’obbligo di indicare le specifiche esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero le esigenze di sostituzione di altri lavoratori, nonché le eventuali esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria, idonee a giustificare la stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a 12, ma inferiore a 24 mesi (così l’art. 19 del DLgs. 81/2015, come modificato dall’art. 1 del DL 12 luglio 2018 n. 87).

È intervenuto, poi, il DL 48/2023, c.d. DL “Lavoro”, che, ferma restando la regola generale della acausalità per i primi 12 mesi, ha limitato la possibilità di stipulare un contratto a termine per un periodo superiore a 12 mesi – ma entro il limite di 24 mesi – a:
– i casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del DLgs. 81/2015;
– in assenza delle previsioni di cui al punto precedente, nei contratti collettivi applicati in azienda e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva individuate dalle parti (tale termine è stato, da ultimo, prorogato dal DL 202/2024 c.d. “Milleproroghe”, il cui Ddl. di conversione ha ottenuto ieri il via libera dal Senato e passa ora all’esame della Camera);
– in sostituzione di altri lavoratori.

Ebbene, in questo contesto interviene la richiesta referendaria, con il chiaro intento di limitare l’utilizzo del contratto a termine; con la finalità di circoscrivere, cioè, le ipotesi eccezionali cui, ad oggi, le parti del rapporto di lavoro possono ricorrere.

Ciò, attraverso l’abrogazione della previsione circa la possibilità di stipulare un contratto di lavoro della durata di 12 mesi senza l’indicazione di alcuna causa giustificativa, ovvero di stipularlo per un periodo superiore a 12 mesi, ma inferiore a 24, in presenza di esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in assenza delle previsioni della contrattazione collettiva.

In tal modo, secondo i promotori della richiesta referendaria, si giungerebbe a riallacciare il rapporto a termine alla funzione cui lo stesso dovrebbe assolvere, ossia garantire la soddisfazione di esigenze temporanee dell’impresa, restituendo, al contempo, alla contrattazione collettiva il compito di controllare il rispetto del corretto impiego di tale tipologia contrattuale da parte delle imprese, anche al fine di ridurre la precarietà dei rapporti di lavoro.



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