A un anno dalla morte di Navalny, Putin divide e batte ancora l’opposizione

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È passato un anno dalla morte di Alexeij Anatolevic Navalny, l’unico oppositore che Putin abbia veramente avuto negli ultimi 15 anni, soprattutto a partire dal 2015, quando sei colpi di pistola, esplosi a poche decine di metri dal Cremlino, si portarono via Boris Nemtsov, promessa della politica liberale russa, assassinato da un commando di ceceni, sicuramente su commissione. Gli inquirenti non hanno mai chiarito chi fosse il mandante, forse perché era fin troppo chiaro. Navalny, invece, ufficialmente è morto il 16 febbraio 2024 per “cause naturali” nella colonia penale Ik3 di Charp oltre il circolo polare artico. Ma il suo decesso porta la firma di Vladimir Putin, per il quale quel blogger diventato poi un politico rappresentava una seria minaccia, soprattutto a causa delle sue inchieste con le quali aveva portato alla luce la corruzione ai danni del popolo russo e il sistema para mafioso su cui si reggono gli equilibri al Cremlino. A un anno, domani, dalla scomparsa del dissidente, tutto quello che rimane di lui è una tomba ancora coperta di fiori e un’opposizione spaccata, dove frammentazione e personalismi rappresentano la vittoria più grande per il presidente Putin.

Il numero uno del Cremlino ha utilizzato il conflitto in Ucraina anche per fare un repulisti dei suoi nemici, come dei suoi amici. Nel giugno 2023 è toccato a Evgenij Prigozhin, l’ex chef personale del presidente che, a furia di contratti nel capo della ristorazione, era riuscito a dare vita a una milizia militare, la celebre Wagner, in grado di controllare il territorio in Africa e in Siria. Poi è scoppiata la guerra in Ucraina, i mercenari dell’ex cuoco si sono rivelati fondamentali sul campo e lo “zar” ha capito che il suo amico stava diventando troppo ingombrante. La “marcia su Mosca”, nel giugno 2023, per Putin ha rappresentato la dimostrazione che l’ex amico era diventato un po’ troppo ingombrante. Le condanne di Navalny dalla colonia penale a 200 chilometri da Mosca dove era rinchiuso hanno creato nella mente del presidente un combinato disposto di cause per cui andavano eliminati entrambi. Il 23 agosto, due mesi dopo l’azione plateale che aveva ridicolizzato il Cremlino agli occhi del mondo, Prigozhin è morto in un incidente aereo che lascia più dubbi che certezze, anche per l’ingenuità dell’ex chef che è salito sul velivolo con tutto lo stato maggiore della Wagner. La decapitazione di tutti gli organi dirigenti della milizia paramilitare ha reso ancora più facile per il Cremlino il compito metterci le mani sopra e inglobarli nelle Forze armate russe, in un momento nevralgico della guerra contro Kiev. Mosca ha pagato questa scelta con l’indebolimento delle sue posizioni in Siria.

Rimaneva Navalny e qui la questione era molto più complicata. Più noto all’estero che in patria, nonostante la propaganda il dissidente numero uno era riuscito a ritagliarsi un ruolo grazie alle sue inchieste. Il video sul lussuoso palazzo che Putin ha fatto costruire sulla costa russa del Mar Nero è stato visto oltre 100 milioni di volte ed è stato pubblicato quando Navalny si trovava già in prigione, condannato a 19 anni con l’accusa di estremismo. La sua incarcerazione aveva provocato manifestazioni di massa in tutto il Paese. Nel 2020, il blogger era sopravvissuto per miracolo a un tentativo di avvelenamento con il Novicok, un agente nervino. Riuscì a sopravvivere solo perché, su pressione diretta di Angela Merkel su Putin, Navalny fu trasportato d’urgenza in Germania.

Ma la sua sorte era segnata ed era solo questione di tempo. Sapeva che, se fosse tornato in patria, sarebbe stato rinchiuso in un carcere dove sarebbe morto. Oggi di Navalny resta solo una tomba ancora coperta da fiori, frutto del costante omaggio dei moscoviti. Una forma di resistenza silenziosa, dove però la speranza si è spenta.

La Fondazione anti corruzione di Navalny è stata dichiarata un’organizzazione estremista ed è stata chiusa. Tre dei suoi cinque avvocati sono stati condannati al carcere due settimane fa. La maggior parte dei fedelissimi del dissidente, fra cui anche la moglie Yulia, sono all’estero, da dove stanno cercando di organizzare un movimento di opposizione a Putin. Ma, a parte la volontà, manca tutto il resto, a iniziare dalla compattezza. Da una parte c’è la vedova di Navalny, con i suoi collaboratori più stretti e Ilya Yashin e Vladimir Kara Murza, i due intellettuali prigionieri per anni nelle carceri russe, rilasciati insieme con il giornalista Evan Gershkovich nell’agosto 2024. Dall’altra, c’è Garry Kasparov, campione del mondo di scacchi e dissidente di fama internazionale e Mikhail Khodorkovsky, l’ex oligarca mandato in carcere e poi liberato dallo stesso Putin. Non sono riusciti a compattarsi nemmeno per la manifestazione organizzata a Berlino lo scorso 17 novembre. Sono divisi e quasi in competizione con Kasparov che non ha mai accettato le posizioni nazionaliste del primo Navalny e che proprio di recente ha accusato il suo ex cerchio magico di non avere una posizione chiara sull’Ucraina.

Ma c’è disagio anche nella base dell’ex movimento che accusa la vedova del dissidente e il suo gruppo di fare opposizione solo tramite i social network. Se sempre tramite Instagram, la famiglia del blogger che ha fatto tremare il Cremlino ha lanciato un concorso per realizzare una nuova lapide funeraria che ne ricordi le battaglie. Le stesse che, a 12 mesi dalla sua morte, sembrano essere state combattute invano.

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