Alice Weidel: dietro lo stile borghese, le parole d’ordine dell’estrema destra tedesca

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di Mara Gergolet

Ha portato da AfD dal 12 a oltre il 20% e si candida a governare nel 2029. Esponente di quell’élite globale che non concede ad altri quanto ritiene normale per sé: due figli con una compagna di origini srilankesi, risiede con la famiglia in Svizzera. Opportunista, arrogante, egocentrica per alcuni. Focalizzata e rigorosa per chi vede in lei la prima«alternativa per la Germania»

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«Eve lo prometto: quando saremo al potere, abbatteremo tutte queste pale eoliche. Giù, giù, giù con questi mulini a vento della vergogna!»
Quando Alice Weidel accompagna le parole con decisi gesti delle braccia per mostrare come raderà al suolo e manderà kaputt i trentamila mulini che forniscono un terzo dell’energia alla Germania, si alza un boato nel palazzetto di Riesa e si manifesta la sua ultima metamorfosi. 

A destra, verso l’estremo, lontano dal centro: è la promessa che fa al partito, la saldatura con l’ala radicale. Che l’acclama «Alice für Deutschland, Alice für Deutschland», un suono indistinguibile nella folla eccitata dall’«Alles für Deutschland» che è vietato pronunciare — era la parola d’ordine delle SA hitleriane, dirlo può costare un processo. Lo sanno e per questo lo urlano, questo gioco di parole, soddisfatti dell’escamotage che ridicolizza la legge, lo scandiscono con trasporto, mentre Alice Weidel viene incoronata candidata cancelliera. 




















































Mira davvero a guidare la Germania: ma non ora, nel 2029.
Che sia lesbica, che abbia due figli con un’immigrata srilankese, che viva in Svizzera, che in breve contraddica tre tabù dell’estrema destraquello migratorio, quello nazionalista, quello della famiglia tradizionale — non è forse solo una deviazione tollerata, ma il segreto del suo successo, del fascino che esercita su taluni. Rende imperscrutabile e irraggiungibile la sua figura, mostrando una via di fuga con la sua vita alla radicalità delle sue ricette: se vale per lei, poter sgarrare, perché per gli altri no? Più che sé stessa offre un’icona — il tailleur blu su camicia o un collo alto, i capelli biondi raccolti, il filo di perle, il portamento austero da “regina” —, agile e spalmabile su TikTok. Delle sue maschere è difficile dire quale indossi: in un partito iper-tradizionale, lei abita nel mondo artefatto, ultramoderno in cui si muove Elon Musk. Dunque, chi è Alice Weidel?

Le audiocassette cinesi 

Nessun politico nasconde così il suo privato e si concede così poco. La bambina Alice Weidel cresce a Harsewinkel, vicino a Gütersloh, dove si è rifugiato dopo la guerra il nonno paterno. Vestfalia orientale, terre conservatrici: a 80 chilometri da qui è nato anche il promesso cancelliere Friedrich Merz. Il padre vende mobili per ufficio, sono benestanti, la mamma con tre figli sta a casa, in famiglia la chiamano «Lille». Qui contano la scuola, i boschi, il nuoto, il tennis. E la domenica, il padre legge la Frankfurter Allgemeine Zeitung ai figli, che devono commentare gli articoli: è la sua prima educazione politica.

«È molto intelligente», diranno i professori, ma chiusa. «Capace di essere estremamente esigente e dura con sé stessa e con gli altri, e allo stesso tempo molto vulnerabile», la ricorda un’ex compagna. A 14 anni si mette a studiare il mandarino con le audiocassette e lo impara. Sarà la chiave dei suoi anni successivi. Farà studi economici: Bayreuth, uno scambio alla St. Gill di Montreal, poi in quegli anni Novanta post caduta del Muro, globalizzati, in cui il mondo si espande senza confini, ottiene stage e lavoro in Giappone, Singapore e soprattutto in Cina.

In tutto ci vivrà cinque anni, scriverà anche un dottorato sul sistema pensionistico cinese. Sarà una folgorazione. Alla Zeit ha spiegato: «La nostra immagine dell’uomo si forma sulla Bibbia, dove tutti gli uomini sono fatti a somiglianza di Dio e quindi uguali». In Cina, invece, il rispetto uno se lo deve guadagnare: «È una cultura dura, molto materialistica», e lei dai cinesi ha imparato questo: chi vuole avere successo, deve lavorare più degli altri, rispettare la gerarchia ed essere duro. Ne ha fatto il suo motto. Da consulente aiuta lo sbarco di diverse aziende tedesche in Cina. Ottiene una borsa di studio della Konrad Adenauer Stiftung, la fondazione della Cdu. Ma quando capisce che avere addosso il brand di “esperto di Cina” può essere uno svantaggio per la carriera, a trent’anni circa fa le valigie e se ne va. Destinazione Francoforte.

La lettera di Francoforte

Arriva il famoso impiego alla Goldman Sachs, ma cambia lavoro spesso. Il suo capo ad Allianz e alla Goldman, l’americano Jim Dilworth, ha detto che «se fosse rimasta, aveva tutte le caratteristiche per andare avanti». Ma la finanza, forse, non la rendeva felice. Fonda una sua società di consulenza. Sono gli anni della crisi dell’euro, lei è contraria al salvataggio della Grecia, si iscrive all’AfD appena nata, come farà anche suo padre. «Una scelta che mi stupì», ha ricordato l’ex capo Dilworth al Financial Times. «La cosa più radicale allora nelle sue opinioni era lo scetticismo verso l’euro». Le chiese perché, lei gli rispose che per fare lo stesso percorso nella Cdu «ci vorrebbero vent’anni». «Fondamentalmente», conclude Dilworth, «è per questo che ha scelto l’AfD: molto opportunismo».

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Si è sempre detto che Alice Weidel fosse approdata ad Alternative für Deutschland sulla scia dei professori anti-euro. Quell’intellighentia economica intransigente, iperconservatrice, che avversava Mario Draghi. E non invece dal suo ramo popolare, populista, più sguaiato ed estremo, con nostalgie rivoluzionarie e del nazismo. In parte è vero. Ma quando nel 2017, già rising star del partito, è stata pubblicata un’email di Alice Weidel che un suo vecchio amico ha inoltrato alla Welt — e che ha cercato con diffide di bloccare, invano — è emerso un altro profilo, ben più cospiratorio.
Ecco quel che scriveva: «Il motivo per cui siamo sommersi da popoli culturalmente estranei, come arabi, sinti e rom, ecc., è la distruzione sistematica della società borghese, in quanto possibile contrappeso, da parte dei nemici della Costituzione dai quali siamo governati».

E ancora: «Questi maiali non sono altro che marionette delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale e hanno il compito di tenere il popolo tedesco sotto controllo, inducendo guerre civili molecolari nelle aree urbane attraverso l’invasione degli stranieri». Firmato: «Lille», il suo soprannome da bambina.

La principessa di ghiaccio

Da allora ha preso in mano il partito. In 34 mesi alla guida, accanto a Tino Chrupalla ma di fatto leader incontrastata, l’ha portato dal 12% a oltre il 20%. È la prima ad arrivare, l’ultima ad andarsene dall’ufficio che guarda la cupola del Reichstag, dove l’assiste la fidata Marie-Thérèse Kaiser, condannata in appello per aver definito gli afghani «stupratori di gruppo».
Non tutti nel partito la amano. E se i sostenitori la definiscono focalizzata, dotata di humor (nero), rigorosa e molto determinata, un’inchiesta della Dpa ha fatto emergere anche i malumori. 
Sarebbe chiamata «principessa di ghiaccio» (Eisprinzessin), definita «un’arrogante», «egocentrica» che vuole stare in superficie come l’olio, e «un’opportunista della peggior specie».
Ma il controllo è saldo. Ha assunto posizioni estreme come lo slogan «remigrazione», è filo-Putin e anti-americana («non saremo schiavi dell’America»), si è dotata di una serie di gag che ripete in tv, ha individuato in Friedrich Merz, che accusa di copiarla sui migranti, il suo avversario e in Elon Musk il suo protettore. E al mega-capitalista anti-Stato la lega non solo la comunanza d’interessi, ma lo stesso disprezzo per il «socialismo», la stessa idea alla Javier Milei di tagliare tutti i sussidi possibili ai poveri (o agli «scrocconi») per sostituirli con un brutale libero mercato. Idee aliene per molti leader delle destre europee, ma non inusuali tra chi ha frequentato i bassi ranghi di Goldman Sachs.

«A NOI LA BIBBIA HA INSEGNATO CHE SIAMO TUTTI UGUALI. IN CINA HO IMPARATO CHE CHI HA SUCCESSO LAVORA PIU’ DEGLI ALTRI»

Intermezzo svizzero 

Quando non lavora, Alice Weidel prende l’aereo per Zurigo e si dirige verso Einsiedeln e oltre, sull’altra sponda del Sihlsee, fino a Willerzell. Mille abitanti che la domenica vanno a messa, vista sulle Alpi. È qui, dove un unico inviato inglese del Sunday Times pare aver suonato alla porta dei vicini, che si trova il suo santuario protetto. Qui raggiunge Sarah Brossard, producer srilankese con cui si è legata in unione civile 15 anni fa, e i loro figli, due maschi di 9 e di 12 anni. Sarah, adottata da una famiglia di pastori evangelici, è una producer di documentari, «molto, molto liberal», come Alice disse all’Economist.
Leggenda vuole anche che si debba a una sfuriata di Sarah la sua discesa in politica: «Smettila di annoiare tutti con le tue tirate» le disse «e fai piuttosto qualcosa tu».
Come può, quindi, Weidel stare a suo agio in un partito che definisce la famiglia «formata da padre, madre e figli»? Lei sostiene che quella formulazione le sta bene. E l’essere lesbica? Un membro di AfD ha spiegato che «Weidel lo è biologicamente, ma non è queer», qualsiasi cosa voglia dire: anche questo le sta bene.
Sono le sacrosante crepe nell’armatura, che la rendono umana. Se solo il discorso fosse puramente privato. Invece, la rendono anche versatile, estendono il suo appeal a un pubblico giovane e ampio che l’AfD “vecchia” non raggiungerebbe mai, la innalzano a idolo e esponente di quell’élite globale, ammirata, che non concede ad altri quanto ritiene normale per sé.

Il segreto di famiglia

L’ultimo tassello della biografia non ufficiale di Weidel, che l’accomuna apparentemente ad altri politici tedeschi anche d’orientamento diverso, l’ha scritto un’inchiesta della Welt, uscita a novembre. Il nonno paterno Hans, fuggito da Leobschütz (Glubczyce) in Alta Slesia — ora Polonia —, è stato un alto giudice militare hitleriano sfuggito ai processi del dopoguerra. Non solo: Hans Weidel, avvocato, ha aderito al partito nazionalsocialista (NSDAP) nel 1930, alle SS nel 1932, prima della presa di potere di Hitler, fino a diventarne un punto di riferimento cittadino. Quando Hitler ha invaso la Polonia, si è offerto volontario per fare il giudice militare, fino a raggiungere i rami più alti di quell’“amministrazione” a cui Himmler, da ultimo, ordinò di emettere solo due sentenze — assoluzione o fucilazione — e che condannò a morte 50.000 persone.
Nonno Hans Weidel, dopo la guerra, riparò a Gütersloh, dove Alice è cresciuta. Dopo lo scoop della Welt, lei ha detto che in famiglia non se ne sapeva nulla, che con il nonno i rapporti erano pessimi. Eppure, tante frasi che Weidel ha pronunciato negli anni — l’ossessione della proprietà (persa dal nonno), il sentirsi «vittima», perfino l’educazione che le ha dato il padre — a ritroso, si possono diversamente interpretare, legate come forse sono ai segreti di famiglia.
Che scocciatura, dice lei, chi vuol parlare ancora di questo e ancora di Hitler, quando c’è un mondo nuovo da conquistare.

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