Rifila una bordata al suo partito («al Nord prendiamo legnate ovunque»), assicura di non voler tornare alla carriera da manager (ma guai a indicarlo come possibile “federatore” del centrosinistra). E soprattutto, non chiude all’ipotesi di candidarsi a governare la Lombardia alle prossime Regionali: «Se posso dare il mio contributo…». E’ un fiume in piena, Beppe Sala. Il sindaco di Milano, da molti indicato come il possibile futuro aggregatore di un contenitore centrista alleato del Pd – mentre tra i cattolici del partito c’è chi guarda a lui come ipotetico contraltare moderato alla linea di sinistra della segretaria Elly Schlein -, sembra lanciare un messaggio al Nazareno. Che suona più o meno così: non c’è bisogno di tirarmi per la giacchetta, sul mio futuro dopo palazzo Marino deciderò io. E – c’è da scommetterci – sarà un futuro politico.
«Legnate»
Il primo cittadino di Milano interviene ad Amici e Nemici su Radio 24. E fa il punto su una serie di questioni che lo vedono protagonista. Lanciando pure qualche stoccata ai vertici del Pd sulle sfide dei prossimi mesi. «Delle Regioni sopra gli Appennini – avverte Sala – la sinistra non ne conquista una da tempo. Da qui arriva il mio dibattito con la mia parte politica: noi non riusciamo a parlare al nord e prendiamo legnate ovunque, facciamo fatica a parlare ad un ceto produttivo». Un alert che sembra rivolto in particolare al Veneto, che andrà al voto in autunno. E dove i dem partono da un grande distacco. Ma nel mirino c’è anche la sua regione. «Non illudiamoci che anche in Lombardia se arriva il grande interprete di un nuovo momento si vince – osserva il sindaco di Milano -, non si cambia il modo con cui ci si raffronta con il nord e il ceto produttivo. C’è molto da fare, noi continuiamo a perdere e questo non va bene. Il candidato – sottoolinea – deve essere qualcuno che può parlare un linguaggio diverso».
Un civico, forse. O magari, chissà, lo stesso Sala, che concluderà l’esperienza da primo cittadino nel 2026. Prenderebbe in considerazione una corsa al Pirellone? «Io prenderei in considerazione anche tutto», risponde, «potendo dare il mio contributo. Rimane il fatto che, non voglio dire, ma mancano due anni» alla fine del mandato. Del resto, aggiunge, «io nella vita ho fatto le cose senza chiedere un favore a nessuno ma dicendo: io ci sono e vediamo cosa posso fare. Il punto è cosa vuole essere la sinistra nel futuro e cosa vuole essere il Pd».
Il messaggio, insomma, sembra rivolto più al Nazareno. Che dovrebbe fare presto, è il suggerimento, mettendosi a lavorare fin da subito sul difficile capitolo delle alleanze. «Io federatore? Non ci può essere uno che metta tutti intorno al tavolo: deve essere il Partito democratico ad avviare il discorso», spiega. «Se il Pd non lo fa diventa complesso». Poi ricorda le difficoltà «dell’amico Enrico Letta: la distanza tra il Movimento 5 Stelle e Renzi è siderale». E «questa cosa va affrontata e non all’ultimo momento», conclude.
Futuro in politica
Anche se non nei panni del federatore, Sala non pare voler tornare al suo passato da manager. Il futuro? «Io mi vedo spero di più nella politica», risponde. «Credo di avere provato a dare tanto a questa città, tutti si dimenticano i cinque anni di Expo ma sono stati cinque anni in trincea. Quindi cinque anni, più 11 da sindaco, sono 16 anni e spero a quel punto di avere pagato il mio debito verso Milano. Un debito che io mi sentivo». Se potesse correre di nuovo per palazzo Marino non avrebbe dubbi, ma sul terzo mandato (altro fronte su cui non lesina stoccate al Pd) ammette di aver perso le speranze: «Sul terzo mandato ormai me la sono messa un po’ via, anche se credo che sia giusta come battaglia perché siamo l’unico Paese europeo dove c’è un limite. I due partiti più grandi in Italia, FdI e il Pd, sono entrambi contrari, è la paura che qualcuno abbia troppo potere. Secondo me è qualcosa di sbagliato ma non ne parlerò più».
Infine un passaggio sul salva-Milano, ancora fermo al Senato per dubbi dei senatori del Pd. Ed ecco che arriva un altra stoccata: «Ho visto un documento di Anci del primo marzo 2024: un anno, povero Paese. Non ho mai visto un momento di debolezza così della politica. W!ello che noi chiediamo al Parlamento è una interpretazione – insiste Sala – Ce la diano, se non lo faranno vedremo cosa fare. Un anno di tempo, dove vogliamo andare? Esprimiamoci, qui non si decide nulla». Chissà se Elly Schlein avrà recepito il messaggio.
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