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Pier Ferdinando Casini è particolarmente accorato, in questa conversazione su Ucraina, Europa e Trump: «Stiamo vivendo un dramma annunciato. O, come Europa, riprendiamo in mano il nostro destino o saremo del tutto irrilevanti nell’ambito del gigantesco riassetto geopolitico in corso nel mondo».
Però, presidente Casini, era difficile non sentire il suono della campana.
«L’Europa assomiglia al partito comunista polacco mentre cadeva l’Urss: siamo incerti tra un vecchio ordine che non riusciamo a mantenere e uno nuovo di cui non definiamo i contorni».
La risposta, al vertice di Monaco, è lo scorporo delle spese militari dal patto di Stabilità.
«C’è voluto lo shock Trump per arrivare a una richiesta formulata da tempo anche da parte italiana. Segnale importante, tuttavia è evidente che serve un ulteriore scatto politico di fronte alla sfida in atto: la rete protettiva delle alleanze è fortemente scossa, il ruolo delle organizzazioni multilaterali contestato, gli scambi commerciali minacciati dai dazi. È, semplicemente, in discussione l’Occidente».
Che non è solo la Nato e spese militari.
«L’Occidente è una rete di alleanze consolidate ma anche un assetto democratico. Sono gli stessi canoni delle democrazie liberali ad essere sfidati. Va bene, il multilateralismo ha mostrato dei limiti e si può anche discutere su quanto funzionino l’Oms o la Cpi. Tuttavia un mondo senza regole è un mondo dove vige la legge del più forte. Ed è quel che sta accadendo: chi vince si sente padrone».
Possiamo dire che sull’Ucraina si misura la sfida esistenziale dell’Europa?
«L’interpretazione più lucida del momento l’ha fatta Sergio Mattarella nel suo discorso a Parigi. Ha condensato il disagio di una generazione che vive quel che accade con una grande inquietudine».
Sente che la sua generazione ha perso?
«Sono i valori di una nostra vita intera ad essere messi in discussione. L’Ucraina, in questo contesto, ci mette davanti alle nostre fragilità. E anche all’inadeguatezza del nostro impegno politico».
Perché il Cremlino attacca Mattarella?
«Si attaccano gli avversari pericolosi e Mattarella è considerato tale, in quanto espressione della democrazia liberare come antitesi al neo-imperialismo, di cui vedo rigurgiti anche nella democrazia americana».
“Vassalli o protagonisti”, questo il bivio secondo Mattarella. Ma non vedo De Gasperi in giro.
«Non ce ne sono. Ma la strada è esattamente quella tracciata da lui. L’economia e la moneta non bastano. Senza un cuore politico e una conseguente accelerazione su politica estera e di difesa comuni, siamo alla mercé degli eventi. Sarebbe stata necessaria, a prescindere da Trump. Ora è urgente».
Dice JD Vance: mi preoccupa l’allontanamento dell’Europa dai suoi valori fondamentali.
«Potrei esattamente dire il contrario degli Stati Uniti d’America che ho passato una vita a difendere».
Non ha la sensazione che l’Ue chieda un posto a tavola a pranzo iniziato?
«È giusto dire che, se quel posto non ce lo guadagniamo da soli, rimarremo spettatori».
Attentati ed elezioni in Germania, che sembra il ventre molle dell’Europa, debolezza del governo francese. Questa Europa è in grado di fare uno scatto?
«Io ragiono nei termini di ottimismo della volontà e sono anche consapevole che, nella storia dell’uomo, i grandi progressi si sono determinati sulle grandi crisi. Certo, c’è un colpevole ritardo. Era chiaro sin dai tempi di Obama che prima o poi ci saremmo dovuti fare carico delle spese militari, solo che l’Europa ha applicato su scala planetaria la logica “italiana”. Ma la nottata non passa, peggiora».
Se si lascia tenere fuori dall’Ucraina, l’Europa è morta. Concorda?
«Se l’Europa resta fuori dal negoziato, non esiste più. Né dal punto di vista valoriale, rispetto a ciò che rappresenta per noi la nobile resistenza ucraina. Né dal punto di vista politico, perché viene meno il suo ruolo di deterrenza. E chi lo dice che Putin, tra qualche anno, ingolosito non ci riprovi? L’Occidente non dimentichi che il vulnus di tutta questa vicenda è stato il nostro precipitoso ritiro da Kabul: un messaggio sbagliato per tutti i tiranni del mondo».
Se l’Ucraina si trovasse a discutere con la pistola puntata alla testa perché l’Ue, si è sfilata, ci potrebbe essere una reazione imprevedibile?
«Purtroppo Zelensky è già con la pistola alla tempia. E sta reagendo secondo me in un modo intelligente e molto politico. Cerca di minimizzare gli atti di arroganza che Trump sta facendo e confida sul fatto che il sistema americano abbia ancora in sé degli anticorpi sufficienti a farlo ragionare».
L’obiettivo di Trump è chiaro: io incasso i dividenti politici, tu Europa paghi sicurezza e ricostruzione. Può essere questa leva economica il modo per rientrare al tavolo?
«Trump non può costruire una finta pace che risponde solo alle esigenze di Putin e in più pensare che sull’Europa debba gravare il costo della ricostruzione. Non esiste proprio. Se si chiede il coinvolgimento dell’Europa da questo punto di vista, dovremmo sedere al tavolo con pari dignità».
Non pensa che si dovrebbe accelerare al massimo per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue?
«Il tema sarà parte del negoziato e l’Ucraina non può ricevere un doppio no: dalla Nato e dall’Europa».
Tutto questo disvela quanto sia illusoria, a proposito di governo italiano, l’idea di essere un “ponte” con Trump?
«Siamo arrivati al punto decisivo. Cosa ci sia dal lato americano del ponte è chiaro. Il problema è quest’altro lato: se la premier, forte del suo consenso, si intesta un’iniziativa europea o si adagia nel rapporto one to one con Trump, favorendo la disgregazione dell’Ue. Non penso sia così sprovveduta da seguire la seconda strada».
Ha in casa il problema di Salvini, piuttosto ringalluzzito. Peraltro l’unico che non ha difeso Mattarella.
«Dentro la grande alleanza di Trump e Putin contro il multilateralismo, che mira a un nuovo ordine a tre poli con la Cina, sguazzano i partiti sovranisti. Apparentemente sono fan di Trump, in verità sono gli utili idioti di Putin».
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