“Gli arresti messi a segno a Palermo confermano quanto le nuove mafie si siano evolute e tra queste ora sappiamo esserci anche Cosa Nostra, che, di fatto, dopo la morte di Matteo Messina Denaro, ha iniziato la propria metamorfosi verso il sistema mercatistico, verso le nuove tecnologie e verso l’intensificazione dei traffici di stupefacenti, che consentono maggior potere non solo economico ma anche militare”.
Professore, l’imponente operazione che ha impegnato oltre mille carabinieri può certificare il tentativo di ricostituire Cosa Nostra riportandola al predominio del passato?
Cento ottantuno arrestati tra vecchi e nuovi boss rappresentano sicuramente un duro colpo a Cosa Nostra ma non significano per nulla sconfitta. Si è vinta una battaglia mentre la guerra è tuttora in corso e mi pare sia anche difficile da vincere. Sicuramente la mafia siciliana non ha più il ruolo di supremazia che aveva in passato, però non credo per niente si sia ridotta a un ruolo marginale. Sta invece ritessendo tutti i rapporti che aveva in precedenza con la ‘ndrangheta, e come altre mafie, è riuscita a infiltrarsi anche al Nord, mantenendo in parte la sua matrice transnazionale. I nuovi boss di Cosa Nostra hanno ancora le potenzialità per tornare a quelli che un tempo furono i momenti di maggiore incidenza criminale.
Perché al momento questa mafia è così difficile da sconfiggere?
Parlano i fatti. Cosa Nostra si sta riorganizzando ammodernandosi e adeguandosi alle nuove tecnologie mentre ad esempio nella Procura della Repubblica di Palermo c’è una carenza di ben quattordici magistrati e di altre risorse umane ed economiche necessarie per contrapporsi alle continue metamorfosi mafiose. Siamo di fronte a mafie fluide e trasparenti con strutture nuove le cui articolazioni rimangono difficilmente analizzabili da chi le combatte o ne sta all’esterno.
Lei che idea si è fatta di Cosa Nostra attuale?
Da studioso posso dire che siamo ancora di fronte ad un’organizzazione criminale viva e capace di incutere paura e ottenere rispetto. La droga resta ancora al centro dei propri affari e questo le consente di potenziarsi sia economicamente sia militarmente. Sono stato proprio in questi giorni a Palermo per ragioni di studio e mi è sembrato come se la lotta alla mafia in Sicilia per ora si sia fermata all’arresto di Messina Denaro. Di mafia si parla sempre di meno e gli strumenti di lotta contro di essa mi sembrano sempre più spuntati.
A quali strumenti di lotta si riferisce in particolare?
Le faccio un esempio su tutti. Il 41 bis è stato man mano svuotato della sua efficacia e questo ha determinato nuovamente lo strapotere della criminalità organizzata all’interno delle carceri. Le attuali sezioni di massima sicurezza consentono ai mafiosi di comunicare all’esterno con estrema facilità tornando a impartire ordini e organizzare la propria cosca. Il sistema dell’alta sicurezza va riportato alle sue origini, non occorre inasprirlo.
Dal maxi-blitz di Palermo è emerso che i clan si sono avvalsi delle nuove tecnologie. Questa evoluzione deve preoccuparci?
Direi proprio di sì. Non si riesce più a tenere testa a queste trasformazioni poiché i metodi d’indagine tradizionali e la mancanza di uomini e mezzi fanno si che le nuove mafie abbiano sempre più spesso la meglio sullo Stato. I nuovi boss comunicano con telefonini di ultima generazione non intercettabili, riciclano e investono i loro immensi capitali nei mercati virtuali. Queste non sono le mafie del futuro, sono già attuali e operative da almeno un decennio. Sono in grado di trarre profitti da qualsiasi ambito di crisi, da una guerra come da una pandemia o dalle grandi opere pubbliche. Come ci ha insegnato Giovanni Falcone, dove c’è denaro, loro non mancano mai.
Da questa vasta operazione è emersa un’alleanza tra ‘ndrangheta e Cosa nostra come se lo spiega?
Ciò che li ha uniti e continuerà a unirli è sicuramente la reciproca convenienza e gli ingenti guadagni economici. Cosa Nostra, com’è emerso dalle indagini stesse, ha utilizzato le “competenze tecnologiche” della mafia calabrese e quelle necessarie per riuscire a schermare i cellulari e renderli non intercettabili, mentre la ‘ndrangheta ha già utilizzato e utilizzerà ancora le rotte atlantiche e mediterranee che vanno dall’Africa verso la Sicilia per il traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Da studioso di internazionale, secondo lei contro queste mafie quali mezzi di contrasto bisogna potenziare?
Comincerei con il sottrarre i giovani alla mafia. Poi potenzierei la legislazione sui collaboratori di giustizia. Farei funzionare al meglio tutto il sistema delle confische dei beni di origine mafiosa. Naturalmente a tutto questo dovranno aggiungersi serie politiche sociali e culturali. Le sfide che ci attendono dovranno riguardare l’armonizzazione delle legislazioni antimafia e le buone pratiche per affrontare la criminalità organizzata transnazionale in modo complessivo. Si dovrà rafforzare il coordinamento tra le istituzioni nazionali e quelle europee. L’uso delle moderne tecnologie di intercettazione sarà indispensabile.
In conclusione, secondo lei assisteremo alla ricostituzione di Cosa Nostra modello “Totò Riina”?
Credo che la ricostituzione di Cosa Nostra del periodo-stragista non sia più possibile perché alla mafia non conviene essere visibile come fu in quel momento storico. Oggi la mafia cerca invisibilità e quindi il ritorno al passato non le garantirebbe questa esigenza. La fase stragista non tornerà ma ci sarà una nuova Cosa Nostra e dovremo ancora scoprire come sarà. C’è ancora tanta strada da fare, soprattutto nel campo della lotta alle mafie transnazionali, mentre bisogna affinare gli strumenti di contrasto nel cyberspazio. Sono tutti settori che vedono in questo momento l’Italia e l’Europa ancora in affanno.
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.
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