Se l’amministrazione Trump confermasse la promessa di porre dazi sulle importazioni dall’Unione europea l’Italia sarebbe tra i paesi più colpiti insieme alla Germania. E secondo la stima del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, potrebbe portare alla contrazione della nostra economia fino a mezzo punto percentuale. “Queste stime si basano sull’ipotesi di un innalzamento dei dazi statunitensi al 60% nei confronti della Cina e al 20% nei confronti degli altri paesi. Se invece dazi si limitassero alle misure contenute nei primi provvedimenti presidenziali nei confronti di Canada, Messico e Cina, l’impatto sarebbe più contenuto: sull’area euro sarebbe pressoché nullo” ha detto Panetta.
“I dazi potrebbero generare pressioni al rialzo legate a un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Effetti che verrebbero compensati da un rallentamento dell’economia globale e dal dirottamento verso i mercati europei delle merci cinesi colpite da dazi elevati” spiega Panetta. Insomma, l’effetto netto dei dazi sull’inflazione potrebbe essere contenuto, se non leggermente negativo.
Le guerre commerciali danneggiano la crescita, anche nei Paesi che le avviano. È possibile che l’amministrazione statunitense stia utilizzando gli annunci sui dazi come leva negoziale per ridefinire i rapporti economici e politici con altre aree del mondo”.
Fabio Panetta
Ma che scenari ci attendono quindi? Secondo il governatore all’Europa serve una “convinta risposta comune” alla sfida commerciale che arriva dagli Usa, memere che l’attuale affanno dell’economia “non è un destino ineluttabile” spiega Panetta che evidenzia come la debolezza degli investimenti a fronte degli elevati tassi di risparmio è il sintomo del malessere europeo.
Tre gli obiettivi: innovazione, decarbonizzazione e autonomia strategica. “Per raggiungerli e per costruire un’economia capace di crescere e competere saranno necessarie risorse ingenti, superiori a quelle del bilancio comunitario. Occorreranno investimenti comuni, nell’ambito di un patto europeo per la produttività, finanziati anche con l’emissione regolare di titoli da parte della Ue” chiosa Panetta.
L’attacco di Draghi alla burocrazia europea
Le riflessioni del governatore della Banca d’Italia arrivano all’indomani della pubblicazione di un editoriale dell’ex presidente della Banca Centrale Europea ed ex primo ministro dell’Italia, Mario Draghi, che dalle pagine del Financial Times ammonisce l’Unione Europea. “L’Europa ha imposto con successo dazi su se stessa” afferma Draghi che sollecita un uso più proattivo delle politiche fiscali e un abbattimento delle barriere interne per favorire l’innovazione e ridurre la dipendenza dalle esportazioni.
“È necessario un cambiamento radicale”, scrive. “Un uso più proattivo della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, contribuirebbe a ridurre i surplus commerciali e invierebbe un forte segnale alle aziende affinché investano di più in ricerca e sviluppo”, afferma Draghi, esortando “un cambiamento fondamentale di mentalità”.
“La diffusione della regolamentazione è stata progettata per proteggere i cittadini dai nuovi rischi tecnologici. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione. Ma è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale”
Mario Draghi sul Financial Times
L’analisi di Draghi segnala come le “ultime settimane hanno fornito un duro promemoria delle vulnerabilità dell’Europa. L’eurozona è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna”. Draghi vede nella dipendenza dell’economia Ue dalla domanda estera la debolezza comunitaria, spiegando come la sola prospettiva dei dazi di Trump getta ulteriore incertezza sulla crescita europea.
Draghi chiede un cambiamento radicale
“Due fattori principali hanno condotto l’Europa in questa situazione difficile, ma potrebbero anche farla uscire di nuovo se fosse disposta ad affrontare un cambiamento radicale” dice Draghi. “Il primo è l’incapacità di lunga data dell’Ue di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi”, “molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli Stati Uniti potrebbero imporre”. Secondo l’Fmi, nota, “le barriere interne dell’Europa equivalgano a una tariffa del 45 percento per la produzione e del 110 percento per i servizi”. C’è poi il freno alla crescita delle aziende tecnologiche per effetto della regolamentazione. “Nel complesso – afferma poi l’ex premier -, l’Europa ha di fatto aumentato le tariffe doganali all’interno dei suoi confini e rafforzato la regolamentazione in un settore che rappresenta circa il 70% del Pil dell’UE”.
Secondo Draghi l’incapacità dell’Europa di ridurre le barriere interne ha favorito anche un’elevata apertura commerciale. Mentre le restrizioni interne sono rimaste alte, è il paradosso, quelle esterne si sono ridotte con la globalizzazione.
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