Primo caso di suicidio medicalmente assistito in Regione. Fontana:«Noi non abbiamo fatto altro che trovare delle linee di condotta»
Il primo suicidio medicalmente assistito in Lombardia alimenta di nuovo i dissidi tra Fratelli d’Italia e l’assessore Guido Bertolaso, con il partito che si sente «scavalcato» e il titolare del Welfare che ritiene di aver solo «seguito il dettato della Consulta». A gennaio una milanese di 50 anni, da 30 malata di sclerosi multipla progressiva, si è autosomministrata il farmaco letale fornitogli dall’ospedale Asst Fatebenefratelli-Sacco. Ad accompagnare Serena — nome di fantasia — nella procedura stabilita dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019, l’associazione Luca Coscioni e in particolare Mario Riccio, medico che seguì anche Piergiorgio Welby. «La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito — le ultime parole della paziente—. Quando però cominci a sentire la sofferenza oltre a quella fisica ma dentro l’anima, capisci che anche la tua anima deve essere rispettata con la dignità che merita».
Serena ha avuto il via libera dalla stessa Regione che solo tre mesi fa ha bocciato il progetto di legge promosso dalla Coscioni per regolamentare tempi e modi dell’iter. Un cambio di posizione? No, secondo il governatore leghista Attilio Fontana, che più volte ha richiamato la libertà di coscienza sul tema. «L’autorizzazione l’ha data la Corte costituzionale. Noi non abbiamo fatto altro che trovare delle linee di condotta che verranno estese a tutta la Regione». E ribadisce l’opportunità di una legge nazionale. Sembra rispondere alle sue parole il «sondaggio» lanciato dal leader leghista e vicepremier Matteo Salvini, che sui social chiede agli utenti se ritengono giusto che il Parlamento si esprima sulla questione. Nei commenti, i «sì» abbondano.
L’assessore al Welfare, Guido Bertolaso, pur in piena sintonia con Fontana si smarca dal dibattito politico che, dice a TgCom24, «non riguarda la componente tecnica». Un ruolo chiave nella vicenda di Serena, secondo Bertolaso, l’ha giocato il comitato tecnico capeggiato da Giovanni Canzio, presidente emerito della Corte di Cassazione, «dove vi erano alcuni scienziati che hanno indicato le sequenze operative». Tra gli esperti, l’immunologo Alberto Mantovani e Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e rianimazione al San Raffaele, che si lascia andare ad una chiosa: «Io e tutti i miei allievi lavoriamo ogni giorno per prolungare la vita».
L’iter così stabilito «rappresenterà un punto di riferimento se si dovessero ripetere casi del genere — conclude l’assessore —. Anche senza una decisione di giunta e una legge regionale, il rispetto del dettame costituzionale può essere eseguito. La magistratura di Milano ha approvato il percorso».
All’attacco dell’assessore va Fdi. Il consigliere Matteo Forte annuncia un’interrogazione, mentre l’assessore alla Sicurezza Romano La Russa rimarca: «Riteniamo che sia necessaria una legge nazionale. Non posso condividere, pur riconoscendone la legittimità, la posizione dell’assessorato al Welfare che sembrerebbe scavalcare Parlamento, giunta ed eventuale legge regionale, né si può immaginare di demandare tale decisione al comitato etico». Nominato, peraltro, senza condivisione con il resto della giunta e nelle stesse settimane in cui si discuteva il pdl sul fine vita. Fdi, ancora una volta, segna le distanze da Bertolaso e riafferma il proprio peso a Palazzo Lombardia.
Sul caso intervengono anche le opposizioni. Secondo il capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino «L’annuncio da parte di Fratelli d’Italia di una interrogazione nei confronti dell’assessore Bertolaso evidenzia l’incredibile situazione nella quale rispetto al suicidio assistito si trova una giunta che, non avendo il coraggio di assumersi la responsabilità di una legge regionale, è intervenuta, nascondendo poi la mano. Invitiamo la maggioranza a un sussulto di dignità. Siamo di fronte ad una questione drammatica e delicata. Votino subito con noi una proposta di legge regionale al Parlamento, un atto con cui si spinga formalmente il Parlamento a intervenire. Una legge nazionale è indispensabile». Per il capogruppo M5s Nicola Di Marco «se la maggioranza non si ritiene all’altezza di trattare un tema del genere, magari perché si trova più a suo agio a discutere del pdl sulle fanfare o sulla lingua lombarda, intervenga direttamente il presidente Fontana».
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