il “ruolo guida” delle superpotenze

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Il comportamento di Donald Trump non ha sorpreso nessuno. I governi europei forse si aspettavano una maggiore preparazione del terreno diplomatico. Volodymyr Zelensky probabilmente non si aspettava un’accelerazione di questo tipo.

Ma nessuno può dirsi davvero stupito del fatto che il presidente repubblicano abbia scelto di telefonare a Vladimir Putin e intavolare direttamente con lui un dialogo sull’Ucraina. E con il capo del Cremlino, non è la prima volta che Trump ha mostrato una certa affinità o anche solo il desiderio di parlare senza le “sovrastrutture” dell’Alleanza atlantica. Una diplomazia personale, muscolare, commerciale. E se questo dialogo può piacere a Trump come solleticare le idee di Putin, a Pechino si chiedono come inserirsi in questa delicata partita.

Trump vuole coinvolgere la Cina, e lo ha ribadito anche ieri e in questi giorni immaginando un vertice trilaterale tra superpotenze. Ma l’obiettivo di Xi Jinping è anche quello di capire come capitalizzare questa nuova stagione trumpiana, soprattutto in vista di una potenziale distensione tra Mosca e Washington. Questo scenario, per Xi, non è certo il migliore possibile. L’asse con la Russia è un pilastro strategico, utile anche a soddisfare il proprio fabbisogno energetico. La Cina non può fare a meno di gas, petrolio e stabilità a nord. E Putin, dal canto suo, sa che con le sanzioni occidentali non può fare a meno del suo vicino asiatico, che è un cliente ormai sempre più ingombrante. Una questione che negli apparati russi piace sempre meno. La sinergia tra le due superpotenze è dunque ancora indispensabile, anche solo come matrimonio di convenienza. Ma adesso che Putin e Trump parlano e il tycoon vuole coinvolgere anche Xi (“Credo che possa aiutarci a porre fine a questa guerra tra Ucraina e Russia” ha affermato Trump in conferenza stampa con il primo ministro indiano Narendra Modi), la Cina deve capire come agire.

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Pechino, agli inizi del conflitto in Ucraina, ha voluto giocare un ruolo da mediatore. Xi si era anche lanciato in un piano di pace che aveva presentato ai leader europei come possibile via d’uscita rispetto a un conflitto logorante come quello scatenato tre anni fa da Putin. Ma nel tempo, quel piano di pace si è rivelato incapace di portare dei veri frutti, anche perché non ha mai preso piede nelle cancellerie occidentali. Ora, Xi, potrebbe però tentare di riproporsi come ponte non solo tra Putin e Trump (idea paventata dal Wall Street Journal nei giorni scorsi) ma anche come possibile protagonista di una mediazione con Kiev e con l’Europa. Un tentativo di mostrarsi come superpotenza in grado di avere un ruolo quasi stabilizzatore, magari anche usando le sue leve per frenare le ambizioni di un Kim Jong-un rafforzato dall’alleanza con Mosca. E il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, nel suo intervento alla Conferenza di Monaco ha dato alcune indicazioni.

Pechino si considera “un fattore di certezza e una forza costruttiva” in un’epoca in cui “il mondo multipolare è diventato una realtà” ha detto Wang. Il ministro ha poi invocato il “ruolo guida” che devono avere le superpotenze nel far rispettare l’ordine internazionale e la carta delle Nazioni Unite. Wang ha poi anche aperto all’Unione europea, sostenendo che “la crisi ucraina si svolge in territorio europeo e l’Europa dovrebbe svolgere un ruolo importante nell’affrontare le cause della crisi”. E non vanno sottovalutate anche le critiche di Pechino a diverse mosse americane delle ultime settimane. Sul Global Times, tabloid internazionale del Partito, è stato pubblicato un editoriale in cui sono fortemente criticate le scelte di Trump sui dazi, perché “danneggerebbe l’ordine economico e commerciale globale”.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, a una domanda sulla scelta di Trump di fornire caccia F-35 all’India, ha avvertito di non “usare la Cina come capro espiatorio, né tantomeno sfruttare l’occasione per fomentare politiche di blocco e scontri tra alleanze”. E alla proposta del presidente Usa di ridurre la spesa militare da parte di Washington, Mosca e Pechino, lo stesso Guo Jiakun ha risposto che “se gli Stati Uniti promuovono la politica ‘America First’, dovrebbero dare l’esempio anche in materia di riduzione della spesa militare”. Lanciando così la palla nel campo di The Donald. Da Monaco, Wang ha ribadito che la Cina non cerca lo scontro, ma il dialogo. Ma adesso per Pechino può aprirsi anche un’altra sfida: quella di riproporsi come superpotenza diplomatica dopo anni in cui il Covid, l’asse con Putin e la politica di Biden avevano in qualche modo frenato le ambizioni globali di Xi.





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