L’accordo Ue-Mercosur non è solo agricoltura: riguarda soprattutto l’industria

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Mentre la produzione industriale crolla e Trump minaccia i dazi, il trattato di libero scambio con i paesi del Sud America darebbe un’importante spinta alla manifattura italiana. Ma il governo affida il dossier a Lollobrigida e tratta la politica commerciale come una questione agricola


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In questo periodo sono due le preoccupazioni principali dell’economia italiana: il calo, ormai da due anni consecutivi, della produzione industriale (a dicembre -7,1 per cento); e gli annunciati dazi di Donald Trump che deprimeranno ulteriormente il settore manifatturiero europeo e italiano. Di fronte a questo scenario preoccupante, c’è qualcosa che potrebbe mitigare entrambi gli effetti negativi. Si tratta dell’Accordo di libero scambio Ue-Mercosur che riduce i dazi e quindi facilita l’export italiano, soprattutto industriale, verso il Sud America proprio mentre si restringono le porte del mercato nel Nord America.

In un normale paese industriale a seguire la questione sarebbero il ministro del commercio estero (la delega è del responsabile degli Esteri, Antonio Tajani) e il ministro delle Imprese (Adolfo Urso). Invece in Italia il governo ha affidato il dossier al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, e così ha fatto anche il Parlamento. A occuparsene, infatti, non sono né la commissione Esteri né le commissioni Attività produttive e Industria.

Ma se ne occupa la commissione Agricoltura della Camera che ha avviato un’Indagine conoscitiva sulle ricadute sul sistema agroalimentare dell’accordo con il Mercosur. Finora sono state audite le principali associazioni degli agricoltori – Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri – e tutte si sono schierate nettamente contro l’approvazione dell’accordo. Se il governo seguisse questa indicazione, significherebbe l’affossamento dell’accordo trovato dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen dopo 25 anni di trattative, dato che l’Italia è l’ago della bilancia nel Consiglio europeo. Per bocciare il trattato, infatti, serve il veto di almeno quattro paesi Ue che rappresentano almeno il 35 per cento della popolazione: per ora c’è il no di Francia, Austria, Polonia e Olanda che sommano il 30 per cento della popolazione. Il governo Meloni si è espresso per il no, anche se con lo stesso ministro Lollobrigida ha fatto delle timide aperture in caso di compensazioni a favore degli agricoltori.

L’accordo con il Mercosur non piace al settore agricolo per la mancanza del principio di reciprocità sugli standard di utilizzo di fitofarmaci, sulla regolamentazione sul benessere animale, sulla tutela ambientale e sul rischio di Italian sounding. Si tratta, in generale, degli stessi argomenti che venivano usati contro il Ceta, l’accordo di libero scambio con il Canada che invece è stato molto positivo per l’Italia (+36 per cento di export nei primi anni del trattato).

È vero che alcuni specifici settori – carne, zucchero, miele, riso – possono subire dei contraccolpi, ma sono previste delle quote e dei regimi transitori e, in ogni caso, il discorso non vale per il settore agroalimentare in generale. Gli esportatori di vini e spiriti (si veda la posizione favorevole di Federvini e Unione italiana vini), oltre che di olio e altri prodotti tipici (che vedranno le loro denominazioni e indicazioni geografiche riconosciute) avrebbero vantaggi dalla riduzione dei dazi. Ma l’accordo con il Mercosur è più in generale positivo per tutto il paese: verrebbero abbattuti i dazi su più del 90 per cento dei beni esportati e si aprirebbe un mercato di 260 milioni di persone che farebbe di Ue e Mercosur la più grande zona di libero scambio del mondo con 700 milioni di consumatori (il 10 per cento della popolazione e il 25 per cento del pil mondiali).

Come indica uno studio sull’impatto dell’accordo degli economisti Anna Giunta, Silvia Nenci e Luca Salvatici (Centro Rossi-Doria), il commercio totale per l’Ue aumenterà di circa 60 miliardi di dollari, con l’Italia che contribuirà per l’11 per cento (sopra la media Ue) con incremento delle esportazioni di oltre 3 miliardi. All’export diretto, va aggiunto quello di beni intermedi italiani inglobato nell’export di altri paesi europei (si pensi solo alle automobili tedesche, che hanno componentistica italiana e che sono nel mirino di Trump). A beneficiarne sarebbero soprattutto le imprese manifatturiere e, in particolare le Pmi, dato che il trattato oltre ai dazi abbatte anche le barriere non tariffarie (procedure doganali, regolamenti tecnici, etc.).

Nello specifico nei settori in cui l’Italia ha un forte vantaggio comparato rispetto a Brasile e Argentina, come macchinari, abbigliamento, farmaceutica, siderurgia e automotive. L’Accordo con il Mercosur consentirebbe all’Europa e all’Italia anche, in questo difficile contesto geopolitico, di diversificare le catene di approvvigionamento per l’energia e i minerali critici (l’Argentina, ad esempio, sta avendo un forte sviluppo di shale gas e litio) che sono fondamentali per l’industria italiana. Inoltre, come detto, mitigherebbe i dazi di Trump.

Ma di tutto questo non si discute. La Confindustria non si espone molto e fatica a farsi sentire, i sindacati fanno prevalere le pulsioni no global ai rischi di cassa integrazione e chiusura delle fabbriche, il ministro degli Esteri e quello delle Imprese sono completamente assenti. E così un accordo commerciale strategico, per il paese e per l’Europa, viene giudicato solo con gli occhi di una parte del settore agricolo. Il declino della produzione industriale sta anche nel calo dell’importanza che ha l’industria nel guidare le decisioni della politica.

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