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Responsabilità della PA.Responsabilità della pubblica amministrazione – Concorso pubblico – Esclusione. Risarcimento danni – Per asserita erronea valutazione dei titoli posseduti – Danno patrimoniale da mancato conferimento dell’incarico e da perdita di chance, danno curriculare e danno non patrimoniale. Non provata sussistenza di un danno né del nesso di causalità.- Configurabilità della responsabilità della pubblica amministrazione – Ingiustizia del danno e lesione di interessi legittimi.


Consiglio di Stato, Sezione 7, Sentenza del 23-12-2024, n. 10324

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Settima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2400 del 2024, proposto da:

Ma. Va., rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Na., con domicilio digitale pec in registri di giustizia;

contro

Ministero dell'istruzione e del merito, già Ministero dell'istruzione, in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza bis, n. 15705/2023.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione e del merito, già Ministero dell'istruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2024;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L'appellante ha impugnato la sentenza del Tar Lazio, sezione terza bis, n. 15705 del 23 ottobre 2023, con cui è stato respinto il ricorso proposto per l'accertamento del diritto al risarcimento dei danni subiti dal dott. Ma. Va. in virtù dell'illegittima esclusione, per erronea valutazione dei titoli in suo possesso, dalla procedura selettiva bandita dal Ministero dell'istruzione con avviso prot. n. 3423 del 13 dicembre 2016 per il conferimento di due incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 presso il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, come stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica del 17 luglio 2020 e comunicato al ricorrente dal Ministero dell'istruzione in data 15 marzo 2021, e per la conseguente condanna ai sensi dell'art. 30 c.p.a. dello stesso Ministero al risarcimento dei danni nella misura indicata in ricorso.

Il Ministero appellato si è costituito solo formalmente.

Con atto depositato in data 8 dicembre 2024 l'appellante ha chiesto la decisione della causa senza discussione.

All'udienza pubblica del 10 dicembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L'appellante ha partecipato alla procedura selettiva bandita dal Ministero dell'istruzione con avviso prot. n. 3423 del 13 dicembre 2016 per il conferimento di due incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 e, non essendo risultato vincitore, ha impugnato tutti gli atti della procedura con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ricorso che è stato deciso con decreto del Presidente della Repubblica del 17 luglio 2020, adottato su parere n. 503 del 2020 (Affare n. 1855/2017) della prima sezione di questo Consiglio, recante l'annullamento di tutti gli atti, fatta eccezione per il provvedimento di indizione della procedura e con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.

L'annullamento è stato disposto in quanto nel parere della sezione prima è stata rilevata "la palese illogicità e sproporzione - vieppiù aggravata dalla mancanza di motivazione - con riguardo a tale macroscopico squilibrio dei punteggi assegnati ai sei indicatori della griglia valutativa, dovendo la Commissione esaminatrice - pur nell'ampia discrezionalità di cui gode - operare in modo non solo ragionevole e proporzionato, ma altresì coerente con il dettato normativo e con la lex specialis".

In particolare il parere ha evidenziato che, sulla base dell'articolo 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 e dell'espresso richiamo a tale norma operato nell'avviso di selezione n. 3423 del 13 dicembre 2016, la commissione esaminatrice, nella seduta del 20 dicembre 2016, aveva dapprima correttamente previsto tre fattori valutativi per la verifica della "qualificazione professionale" del candidato, giungendo tuttavia successivamente ed in modo contraddittorio ad assegnare ad uno di questi tre fattori (ovvero "il conseguimento di una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi compresa quella che conferisce gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza") un punteggio relativo talmente basso (max 5 punti per il primo indicatore concernente la formazione post universitaria e max 5 punti per il secondo indicatore riguardante le pubblicazioni) da risultare quasi irrilevante ed ininfluente nella valutazione complessiva del candidato. Il parere ha ritenuto irragionevole l'assegnazione di un punteggio massimo ad un indicatore valutativo che, pur nel formale rispetto dei criteri contenuti nell'avviso di selezione, sia talmente irrisorio da risultare sostanzialmente irrilevante nell'economia complessiva del giudizio operato sul curriculum del candidato, come è appunto avvenuto nel caso di specie con un punteggio massimo di 5 punti su 100 sia per il primo che per il secondo indicatore.

All'esito di tale pronuncia l'odierno appellante ha proposto ricorso dinanzi al Tar Lazio per ivi sentir accertare il suo diritto al risarcimento del danno patrimoniale da mancato conferimento dell'incarico e da perdita di chance, nonché del danno curriculare e del danno non patrimoniale.

3. Il Tar Lazio ha respinto il ricorso sul rilievo che il ricorrente non ha fornito adeguati elementi per dimostrare la sussistenza di un danno né del nesso di causalità tra esclusione e danno, ossia per ritenere che dall'annullamento della procedura (ovvero da una corretta valutazione dei punteggi) sarebbe derivata la spettanza del bene della vita, neanche in termini di chance, da intendersi come concreta probabilità di conseguimento del bene della vita.

Avverso detta pronuncia è insorto l'appellante chiedendone la riforma per errores in iudicando riferiti a due motivi, sostanzialmente riproduttivi dei motivi formulati in primo grado, riguardanti il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e il mancato esame dell'entità dei danni.

4. L'appello è infondato.

La sentenza va confermata nella parte in cui ha ritenuto non provata la sussistenza del danno e del nesso di causalità tra esclusione e presunto danno.

Per la giurisprudenza consolidata "il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della Pubblica Amministrazione" (Cons. Stato, sez. III, 3 giugno 2022, n. 4536; cfr., altresì, sez. V, 2 maggio 2023, n. 4453; 27 maggio 2022, n. 4279; 19 agosto 2019, n. 5737; 23 marzo 2018, n. 1859).

Infatti "per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico" (Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534).

Per quanto riguarda la prova del danno subito, in relazione al petitum risarcitorio e, più in generale, in materia di diritti soggettivi non trova applicazione il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che rende sufficiente che il privato fornisca un mero "principio di prova"; al riguardo la giurisprudenza ha precisato che l'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo è retta dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., con il corollario che grava sul ricorrente l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento della responsabilità dell'amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c.: in particolare, è a carico del presunto danneggiato l'onere della prova degli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 486).

Nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento: quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato, la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 15 novembre 2023, n. 9796).

Così declinati i principi, va rilevato che è sfornita di prova la tesi dell'appellante, che costituisce l'architrave del ricorso, secondo cui, se la griglia di valutazione avesse previsto punteggi non irragionevoli, egli si sarebbe certamente classificato al primo posto e, quindi, avrebbe ottenuto l'incarico.

L'appellante si sofferma sulla comparazione fra il suo curriculum e quello di una delle due candidate risultate vincitrici, ponendo in luce che, come avvenuto in altra procedura selettiva alla quale entrambi hanno partecipato (e nella quale detta candidata si è classificata in posizione non utile), qualora i punteggi fissati per i criteri di valutazione fossero stati corretti, egli sarebbe risultato vincitore.

Osserva il Collegio che, fermo restando che non sono comparabili gli esiti di procedure diverse, tale impostazione avrebbe avuto la valenza di un principio di prova se alla procedura in questione avessero preso parte soltanto le due vincitrici e l'appellante: invero, su una platea di concorrenti così ridotta le probabilità (non anche la certezza) che l'appellante potesse conseguire l'utilità sperata sarebbero state più elevate.

Tuttavia alla procedura per cui è causa hanno partecipato ben 97 candidati, dei quali 23 sono stati esclusi poiché privi dei requisiti, ditalché la selezione comparativa è avvenuta fra 74 contendenti.

Da ciò deriva innanzitutto la precisazione che l'appellante non è stato illegittimamente "escluso", come affermato negli atti del giudizio.

Egli è infatti rimasto fra i candidati valutati (come si evince dalla sua scheda di valutazione) ma è stato verosimilmente penalizzato nella valutazione del curriculum, dal momento che, relativamente ad alcuni criteri, non gli sono stati attribuiti i punteggi che (in ipotesi e ferma restando la discrezionalità della commissione) avrebbe potuto ottenere sia per dottorati di ricerca e master (indicatore 1) sia per le pubblicazioni (indicatore 2).

A tale ultimo proposito va osservato che l'appellante, rispetto alle candidate risultate vincitrici, ha comunque ottenuto punteggi più bassi su tutti gli altri indicatori (3, 5 e 6), fatta eccezione per l'indicatore 4 in cui tutti tre hanno conseguito il massimo.

Dai dati innanzi riportati emerge, dunque, diversamente da quanto opina l'appellante, che non è affatto certo (ed è anzi altamente improbabile, come meglio spiegato oltre) che, con punteggi meno irragionevoli agli indicatori 1 e 2, egli sarebbe prevalso sulle altre due e, segnatamente, su una delle due.

Quanto precede esclude pertanto la sicura spettanza del bene della vita.

Quanto alla perdita della chance di risultare vincitore, va osservato che l'appellante non ha dimostrato che, con un maggiore punteggio ai criteri in discussione, avrebbe avuto chance di vittoria: sicché, stante la elevata differenza di punteggio con le due vincitrici (47 contro 75), può concludersi che lo stesso non avesse concrete possibilità di classificarsi in posizione utile.

Inoltre va richiamato il dato innanzi riportato, ossia che alla procedura hanno partecipato 97 candidati e ne sono rimasti in valutazione ben 74, sicché, anche per tale ragione, la chance deve ritenersi pressoché assente non essendo provato che l'appellante avesse maggiori probabilità degli altri concorrenti di essere scelto, tenuto conto che, anche ipotizzando un maggiore punteggio per i fattori oggetto dell'annullamento in sede di ricorso straordinario, non è realistico ritenere che il ricorrente avrebbe potuto colmare e superare i quasi 30 punti di divario con i vincitori.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento ad una procedura di conferimento di un incarico dirigenziale, "il risarcimento del danno da c.d. perdita di "chance" non segue automaticamente a una procedura concorsuale illegittima ma va individuato nella sussistenza di elevate probabilità di esito vittorioso della selezione, la cui prova, anche presuntiva, non può essere integrata dall'esistenza di probabilità tutte pari tra i vari concorrenti alla selezione di conseguire il risultato atteso, occorrendo che si dimostri il nesso di causalità tra l'inadempimento datoriale e il suddetto danno in termini prossimi alla certezza" (Cass. civ., sez. lav., 23 settembre 2024, n. 25442).

La richiamata pronuncia precisa che, a fronte di una domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, il giudice è chiamato ad effettuare una valutazione che si svolge su due diversi piani in quanto occorre innanzitutto che, sulla base di elementi offerti, venga ritenuta sussistente una concreta e non meramente ipotetica probabilità dell'esito positivo della selezione e solo qualora detto accertamento si concluda in termini positivi vi potrà essere spazio per la valutazione equitativa del danno, da effettuare in relazione al canone probabilistico riferito al risultato utile perseguito (cfr. Cass., sez. lav., ord. 10 novembre 2107, n. 26694).

Rispetto alla prova del nesso causale tra comportamento illegittimo e danno risarcibile per perdita di chance, parte della giurisprudenza è attestata su parametri valutativi che richiedono l'apprezzamento del probabile trasformarsi della chance in reale conseguimento del beneficio in termini di "elevata probabilità, prossima alla certezza" (così, testualmente, Cass. 9 maggio 2018, n. 11165; conf. 12 maggio 2017, n. 11906; 30 settembre 2016, n. 19604; 11 maggio 2010, n. 11353; 19 febbraio 2009, n. 4052) o quanto meno un grado di probabilità almeno pari al 50 per cento (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2015, n. 3249; Cons. Stato, sez. IV, n. 3757/2017).

Altra giurisprudenza ha, invece, più condivisibilmente affermato che il richiamo alla 'elevata probabilità ' (ad es., almeno pari al 50 %) di realizzazione, quale condizione affinché la chance acquisti rilevanza giuridica, è fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della chance alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato), mentre la risarcibilità della perdita di chance è stata elaborata al fine di “traslare” sul versante delle situazioni soggettive e, quindi, del danno ingiusto, un problema di causalità incerta non per accertare l'esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il valore economico della stessa, in sede di liquidazione del quantum risarcibile (Cons. Stato, sez. VI, n. 6268/2021).

Non vi è, quindi, una percentuale di probabilità da dover essere superata e allo stesso tempo non si possono risarcire mere possibilità di successo, statisticamente del tutto non significative.

E' chiaro che una cosa è la determinazione di un nesso causale tra un comportamento e un danno certo (nel qual caso, in ambito civilistico, vale appunto la c.d. regola del "più probabile che non": Cass., s.u., 11 gennaio 2008, n. 576) e altro è stabilire i criteri di valutazione della rilevanza di un pregiudizio che, pur essendo cagionato anch'esso dal comportamento altrui, è addirittura incerto nella sua reale verificazione in senso giuridico (ovverosia quale perdita di un'utilità alla quale si avesse diritto), quale è il danno da perdita di chance.

È stato infatti affermato da parte della giurisprudenza amministrativa che "L'ingiustizia del danno che fonda la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla sopra menzionata dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall'illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest'ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario. Secondo un orientamento risalente di questa Adunanza plenaria, mai posto in discussione, il risarcimento è quindi escluso quando l'interesse legittimo riceva tutela idonea con l'accoglimento dell'azione di annullamento, ma quest'ultimo sia determinato da una illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13; § § 3.3 - 3.5)" (Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7).

Osserva il Collegio che la fattispecie per cui è causa è riconducibile all'ipotesi considerata dall'Adunanza plenaria, per cui va escluso il risarcimento, in quanto l'interesse legittimo leso ha ricevuto tutela idonea con l'annullamento determinato da una illegittimità da cui non è derivato l'accertamento della fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante.

La circostanza (menzionata dall'appellante) che, nel caso di specie, l'annullamento sia intervenuto a distanza di quattro anni dal provvedimento di individuazione dei destinatari degli incarichi dirigenziali del 30 dicembre 2016 - dunque oltre la scadenza dei tre anni di incarico previsti dalla suddetta procedura - sicché non residuavano più spazi per una possibile rideterminazione dell'amministrazione nel senso della riedizione della procedura come ricavabile dall'inciso "fatti salvi gli ulteriori provvedimenti di competenza dell'Amministrazione scolastica", non rileva ai fini della risarcibilità (in astratto possibile anche in assenza di riesercizio del potere nei limiti della chance).

Ciò che in concreto preclude il risarcimento nel caso di specie è l'assoluta mancanza della prova della probabilità di verificazione dell'evento favorevole al ricorrente, non potendo essere risarcite - come già detto - mere possibilità di successo, statisticamente del tutto non significative.

Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con diversa motivazione.

5. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della costituzione solo formale dell'amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024, con l'intervento dei magistrati:

Roberto Chieppa - Presidente

Massimiliano Noccelli - Consigliere

Angela Rotondano - Consigliere

Raffaello Sestini - Consigliere

Laura Marzano - Consigliere, Estensore





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