Alla Camera il giornalista palestinese Wael Al Dahdouh: così Israele attacca l’informazione

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Ho assistito martedì pomeriggio, nella Sala Stampa della Camera dei Deputati, alla straziante testimonianza del giornalista palestinese Wael Al Dahdouh la cui famiglia (moglie, figli e nipotino di sei mesi) e i cui collaboratori sono stati sterminati dall’esercito di occupazione israeliano (ed egli stesso è sopravvissuto per miracolo), nell’ambito dell’attacco sistematico che il regime di Netanyahu ha sferrato contro la libera informazione, per impedire che siano diffuse informazioni esatte e veritiere sul genocidio in atto.

Si tratta di una strategia di stampo nazista e terrorista che costituisce evidentemente il complemento necessario, agli occhi dei genocidi, della distruzione sistematica, accompagnata dall’altrettanto sistematico sterminio degli addetti, di ogni settore e struttura della vita civile a Gaza e nel resto della Palestina, con lo scopo dichiarato di costringere all’esilio i superstiti terrorizzati e impossibilitati a condurre un’esistenza minimamente decente. Vero è che vengono sterminati anche gli operatori della sanità (si veda la testimonianza della dottoressa pubblicata su Millennium del gennaio 2025), i giuristi, gli intellettuali e la gente comune, bambini compresi, ma lo specifico zelo persecutorio nei confronti di giornalisti e operatori dell’informazione in genere costituisce un aspetto particolarmente brutale del tentativo di controllo tendenzialmente totalitario dei media che costituisce uno dei tratti più inquietanti delle nuove destre in ascesa, che hanno senza dubbio nel criminale contro l’umanità Netanyahu uno dei propri principali campioni e punti di riferimento. Non è certamente casuale che parallelamente Israele rilanci e tenti di rendere più efficace la propria propaganda, la cosiddetta Hasbara.

Questa attenzione all’informazione e ai media è del resto comprensibile nell’era attuale e nel momento in cui l’umanità intera assiste attonita e impotente al primo genocidio in diretta della storia. Ecco perché a Gaza, cone ha spiegato Wael, la professione di giornalista non è associata, come nel resto del mondo, alle polemiche e al dibattito, ma direttamente alla morte, per sé e i propri cari, come disumano prezzo da pagare al moloch genocida per non volersi arrendere e voler continuare ad ogni costo la ricerca e la diffusione della verità.

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Colpendo spietatamente i giornalisti il governo israeliano vuole impedire all’opinione pubblica dei Paesi occidentali di conoscere questa verità e di porsi conseguentemente necessarie ed inevitabili domande sul ruolo dei propri governi nel sostegno al genocidio in atto. E’ del resto sufficiente soffermarsi un attimo sull’informazione elargita dai media radiotelevisivi e dalla grande stampa (con l’eccezione del Fatto quotidiano) per comprendere agevolmente quanto sia difficile e rara la presenza di giornalisti degni di questo nome, specie nel nostro Paese.

I governi occidentali non paiono del resto voler deflettere, neppure momentaneamente e in modo parziale, dal criminale appoggio al disegno genocida. Nel Paese-guida dell’Occidente allo sbando, gli Stati Uniti, all’ipocrita e incoerente Biden è subentrato lo sconclusionato e bizzarro Trump col suo demenziale e criminale progetto di trasformare Gaza in resort balneare di lusso, eliminandone ovviamente tutta la popolazione mediante la deportazione. Quello che resta invariato è il flusso di armi micidiali verso Israele. Armi che com’è noto provengono, in ordine di importanza decrescente, da Stati Uniti, Germania, Italia e via via gli altri Stati occidentali.

La medaglia di bronzo dell’infamia che spetta al nostro Paese si spiega alla luce degli intrecci politici, economici e militari, con un ruolo importante di personaggi squalificati ma ancora provvisti di un certo potere come Salvini, che ha reso recentemente visita a Netanyahu, su cui grava il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità, per invitarlo a Roma con la speranza di poter cavalcare lo scontro sempre più aperto tra governo Meloni e Corte penale internazionale. Ma soprattutto entra in ballo Leonardo e la sua continua fornitura di beni e servizi bellici al regime genocida, nonostante le smentite, del tutto menzognere, di Crosetto e di Tajani.

Su queste complicità hanno lavorato e continuano a lavorare giornalisti degni di questo nome che fortunatamente continuano ad esistere anche in Italia. Anche sulla base del loro lavoro presenteremo, il 7 marzo prossimo, un’integrazione all’esposto-denuncia già presentato ad aprile e sul quale purtroppo fino ad oggi non abbiamo ricevuto alcun segno di vita da parte della Procura di Roma. Nella speranza, che sappiamo essere più che fondata, che all’interno della magistratura italiana emerga con sempre maggior forza la necessità di garantire il rispetto del diritto internazionale, per il quale indubbiamente il genocidio costituisce il crimine più grave, unitamente alle disposizioni costituzionali che garantiscono tale rispetto, prima fra tutte l’art. 10, primo comma, della Costituzione, secondo il quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.



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