- Disuguaglianze eccessive nella condizione di partenza delle famiglie portano spesso alla riproduzione di divari educativi a carico di bambine e bambini.
- Nel 2023 erano circa 1,3 milioni i bambini italiani che vivevano in condizioni di povertà assoluta.
- Le famiglie con minori in povertà assoluta in cui la persona di riferimento ricopre il ruolo di operaio o assimilato sono in aumento.
- Tra il 2017 e il 2019 si è registrato un costante aumento delle famiglie in cui i componenti in età lavorativa sono sottoccupati.
Il prossimo 20 febbraio ricorre la Giornata mondiale della giustizia sociale. Evento promosso dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema e incentivare azioni concrete a livello internazionale. La possibilità di un lavoro dignitoso e di avere accesso a livelli adeguati di welfare sono elementi fondamentali per ambire a società più eque.
Tuttavia le recenti crisi internazionali e la persistenza di forti disparità socio-economiche pongono un’ipoteca sul raggiungimento di una società più giusta. In questo contesto, l’Ilo ha sottolineato in passato quanto negli ultimi decenni l’incremento dell’economia informale e del lavoro meno protetto abbia aumentato le disuguaglianze in molte economie.
“[…] to place full and productive employment and decent work at the centre of economic and social policies” – 97° Conferenza internazionale del lavoro (28 maggio – 13 giugno 2008)
Abbiamo già evidenziato in passato come disuguaglianze eccessive nella condizione di partenza delle famiglie portino spesso alla riproduzione di divari educativi, sociali ed economici che ricadono su bambine e bambini. È tale dinamica che alimenta la cosiddetta trappola della povertà educativa. Per questo adeguati livelli di retribuzione e tutele per i lavoratori rappresentano anche una precondizione per garantire alle nuove generazioni condizioni di vita dignitose.
Da questo punto di vista purtroppo occorre sottolineare come l’Italia sia uno dei paesi europei con minore mobilità sociale, ovvero in cui risulta più difficile per chi nasce in una famiglia povera migliorare la propria condizione economica e sociale rispetto ai genitori. Un aspetto che emerge nei diversi indicatori presi in considerazione da istituzioni come Ocse e World economic forum. Tali disuguaglianze hanno un impatto anche sugli esiti educativi, rilevabili già prima dell’emergenza Covid e confermati negli anni successivi. In questo quadro non è da sottovalutare il fatto che, secondo i più recenti dati Istat, la percentuale di famiglie italiane con figli che si trovano in condizioni di povertà assoluta ha superato il 12%.
12,4% le famiglie italiane con minori a carico che nel 2023 si sono trovate in povertà assoluta.
Tendenze che peraltro coinvolgono anche quei nuclei in cui la persona di riferimento gode di un’occupazione ma i cui guadagni non sono sufficienti a garantire uno standard di vita adeguato alla propria famiglia, inclusi le necessità educative e sociali dei figli. Si tratta del cosiddetto “lavoro povero”, un fenomeno consistente anche in Italia. Altro elemento da tenere in considerazione riguarda il fatto che spesso non tutti i componenti familiari riescono a lavorare tanto quanto potrebbero. Questo ovviamente comporta una limitazione del reddito disponibile.
Le famiglie italiane in povertà assoluta
Abbiamo evidenziato in passato come la povertà sia un fenomeno multidimensionale che va oltre i soli aspetti monetari. Tuttavia il potere d’acquisto rappresenta certamente un indicatore da tenere in considerazione per analizzare le opportunità che una famiglia può offrire ai propri figli, sia in termini educativi che di inclusione sociale.
Una famiglia si trova in povertà assoluta quando non può permettersi le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile.
Secondo i più recenti dati Istat, nel 2023 erano oltre 1 milione e 295mila i minori che si trovavano a vivere in una condizione di povertà assoluta (13,8% a fronte di una media nazionale del 9,7%). Una situazione più frequente al sud (15,5%) rispetto al nord del paese (12,9%). Le famiglie in povertà assoluta con minori a carico erano quasi 748mila, con un’incidenza pari al 12,4%.
La povertà assoluta colpisce sempre di più anche le famiglie in cui la persona di riferimento è operaio o assimilato.
Confrontando le variazioni statisticamente rilevanti rispetto al 2022 si può notare come ci sia stato un significativo incremento delle famiglie con minori in povertà assoluta in cui la persona di riferimento ricopre il ruolo di operaio o assimilato. Si passa infatti da una quota del 15,6% a uno del 19,4% (+3,8 punti percentuali). Viceversa la quota è molto più contenuta, come era ragionevole aspettarsi, in quelle famiglie con bambini in cui la persona di riferimento risulta essere dirigente, quadro o impiegato. Tale dinamica evidenzia in maniera netta come in Italia ci sia un problema molto consistente che riguarda il cosiddetto “lavoro povero”. Vale a dire quella condizione per cui una persona, pur avendo un’occupazione, non riesce a raggiungere un livello di reddito sufficiente per soddisfare i bisogni essenziali, rimanendo al di sotto della soglia di povertà.
Nel 2023 sono aumentate le famiglie con figli in condizione di povertà assoluta
Incidenza della povertà assoluta tra le famiglie italiane con minori per condizione e posizione professionale della persona di riferimento (2022-2023)
DA SAPERE
Una persona si trova in povertà assoluta quando vive in una famiglia che non può permettersi l’insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali per mantenere uno standard di vita minimamente accettabile. I dati presentati fanno riferimento alla nuova revisione metodologica sulla misurazione della povertà assoluta, avviata da Istat tra 2021 e 2023. Con “persona di riferimento” si intende il membro della famiglia che viene preso come punto di riferimento per classificare e analizzare le condizioni economiche del nucleo familiare. Tra gli “indipendenti” non sono conteggiati i liberi professionisti e gli imprenditori a causa della scarsa numerosità del campione. Le definizioni di persona occupata o in cerca di occupazione seguono la classificazione dell’Ilo. Tra le categorie raffigurate nel grafico, Istat considera come variazioni statisticamente rilevanti tra 2022 e 2023 solamente quelle riguardanti le famiglie in cui la persona di riferimento è operaio o assimilato o indipendente. Per maggiori informazioni consultare il prospetto 8 a questo link.
FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Istat
(pubblicati: giovedì 17 Ottobre 2024)
In questo quadro si deve aggiungere anche l’incremento dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie all’aumentare del numero di figli a carico. Parliamo in questo caso di coppie con figli. Nel 2023 erano il 6,6% in presenza di un minore. Dato che saliva all’11,6% nel caso di due figli e al 18,8% con 3 o più figli.
Famiglie e lavoro
Abbiamo appena visto come non sempre le famiglie con figli a carico riescano a sfuggire dalla trappola della povertà, anche quando la persona di riferimento ha un’occupazione. Tuttavia si deve sempre ricordare come in Italia ci sia un tema legato alla difficoltà per molte persone di trovare un impiego.
I dati raccolti da Istat indicano come molte famiglie risultino sottoccupate rispetto al loro effettivo potenziale. Parliamo di quelle che vengono definite “famiglie a bassa intensità lavorativa”, ovvero nuclei in cui le persone che sarebbero in grado di lavorare – al netto dei componenti che studiano – lo hanno fatto per meno del 20% del loro effettivo potenziale.
A livello territoriale il fenomeno, ricostruibile fino a prima dell’emergenza Covid e solo per i comuni oltre 5000 abitanti grazie ai dataset di Istat, mostra un aumento dal 44,1% del 2017 al 48,4% del 2019 nei territori considerati. In questi comuni, la quota di famiglie anagrafiche in condizione di bassa intensità lavorativa è cresciuta di oltre 4 punti.
+4,3 l’incremento, in punti percentuali, delle famiglie a bassa intensità lavorativa dal 2017 al 2019.
Con la sola eccezione della Liguria (52,4%) sono le regioni meridionali a far registrare la più alta incidenza di famiglie a bassa intensità lavorativa. La quota più alta è quella della Sicilia con il 58%. Seguono Calabria (57,5%), Campania (53,1%) Puglia (52,9%), Molise (51,4%) e Sardegna (50,8%). Da notare però che anche nel centro-nord si registra un’incidenza superiore al 40% nei comuni con oltre 5.000 abitanti. In Trentino-Alto Adige ad esempio, dove troviamo la quota più bassa, parliamo comunque del 41,2%.
Questi livelli possono essere spiegati da un lato con la bassa occupazione femminile che caratterizza il nostro paese in ambito europeo, specialmente per le donne con figli; dall’altro con la presenza del lavoro sommerso che, come noto, è molto alta nel nostro paese.
Catania è la città con più famiglie colpite da bassa intensità lavorativa
Percentuale di famiglie anagrafiche con intensità lavorativa inferiore al 20% del proprio potenziale (2019)
DA SAPERE
L’indicatore è calcolato come percentuale delle famiglie anagrafiche in cui si rileva un’intensità lavorativa inferiore al 20% del proprio potenziale. I dati sono disponibili solo per i comuni con più di 5mila abitanti.
FONTE: Elaborazione Openpolis – Con i Bambini su dati Istat (A misura di comune)
(ultimo aggiornamento: venerdì 8 Marzo 2024)
A livello di comuni capoluogo, le 3 città in cui si registra la percentuale più alta di famiglie a bassa intensità lavorativa si trovano tutte in Sicilia. Si tratta di Catania (60,6%), Palermo (58,6%) e Trapani (58,5%). Il primo capoluogo non siciliano è la pugliese Taranto (58,6%). Le percentuali più basse si trovano invece a Prato (40,2%), Reggio Emilia (42,3%) e Trento (43,9%).
L’articolo è disponibile anche su conibambini.openpolis.it
L’Osservatorio #Conibambini, realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, fornisce dati e contenuti sul fenomeno in Italia nella modalità di data journalism, in formato aperto e sistematizzati, per stimolare un’informazione basata sui dati. L’obiettivo è promuovere un dibattito informato sulla condizione dei minori in Italia, a partire dalle opportunità educative, culturali e sociali offerte, ed aiutare il decisore attraverso l’elaborazione di analisi e approfondimenti originali.
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