Parlamento a rilento? La strigliata di Palazzo Chigi (e le nuove regole per i ministeri)

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È una vera impresa far perdere la calma a Luca Ciriani. Il “mite” ministro ai Rapporti con il Parlamento, friuliano doc, veterano di Fratelli d’Italia noto per troncare e sopire dove altri battono i pugni, sbottano, è un mediatore nato. Ma la misura venerdì era davvero colma. Ed è toccato a lui farsi portavoce di una preoccupazione che parte dall’alto a Palazzo Chigi, su su fino alla premier Giorgia Meloni. Il Parlamento ultimamente lavora a rilento. Le opposizioni montano barricate, si ingegnano ogni giorno per ostruire al meglio l’attività del governo.

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È il loro lavoro, come non manca di ricordare con il sorriso in privato la presidente del Consiglio, lei che su quei banchi ha passato più di un decennio. La notizia è che, ultimamente, l’ostruzionismo riesce, funziona. Di chi è la colpa? In parte dei ministeri o meglio di chi, dentro all’amministrazione, dovrebbe oliare i canali con le aule, servire un assist alle battaglie politiche del centrodestra. E invece non sempre lo fa.

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LE NUOVE REGOLE

A loro, i “tecnici”, si è rivolto con toni composti ma assai perentori Ciriani venerdì pomeriggio, con un severo discorso in pre-Cdm. Il cui senso è: ora basta. Pareri che arrivano in ritardo o non arrivano mai. Cambi last minute, richieste oltre il termine. E i capigruppo, i presidenti di Commissione che restano appesi, faticano a tenere le truppe come la sempreverde tentazione – a destra e sinistra – di approfittarsi del caos per infilare un emendamento in zona Cesarini, riaccendere appetiti e personalissime ambizioni.

Ora basta, ha detto in sostanza Ciriani venerdì. D’intesa con Alfredo Mantovano, sottosegretario a Palazzo Chigi, l’ultimo sguardo su tutti i dossier che contano e sono cari alla premier, di cui ha la massima fiducia. Un malcontento che sarà messo nero su bianco. Una circolare. O comunque una comunicazione scritta, a cui già lavorano i tecnici della presidenza del Consiglio, sarà spedita agli uffici legislativi dei ministeri con la richiesta di allinearsi ai tempi e le procedure del Parlamento. Evitando di servire su un piatto d’argento occasioni ghiottissime per i rivali alla Camera e al Senato.

L’ultimo casus belli? Il Milleproroghe. Cioè il decreto “omnibus” – sì, uno di quei decreti che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha chiesto più volte di asciugare, per evitare l’effetto bazar, e invece di governo in governo puntualmente si ingrossano – che dopo lunga gestazione ha avuto luce verde la scorsa settimana a Palazzo Madama. Dallo stop alle multe contro i no-vax alla parziale riapertura per la Rottamazione quater. E ancora, i permessi per fare il bagnino, i taser ai vigili urbani, gli estintori e i piani anti-incendio per alberghi e B&B. Menù ricchissimo, al solito.

Ma un piccolo incubo per chi deve fare il tramite tra i ministri e le commissioni, smistare emendamenti, sedare proteste e mal di pancia, anche dentro la maggioranza. Come Ciriani, appunto, che ora annuncia nuove regole per evitare incidenti. Con il milleproroghe il rischio si è corso. Ci è voluta una maratona di quindici ore, mercoledì, per arrivare a dama in Commissione bilancio. Dall’alba si è fatta quasi mezzanotte, in attesa, o meglio in preghiera di pareri dei ministeri sugli emendamenti che hanno fatto capolino solo a tardissima sera. «Dobbiamo coordinarci meglio, soprattutto sugli emendamenti governativi» il senso della strigliata del ministro friulano tre giorni fa, anche perché le opposizioni «sono sempre pronte» a spedire la palla in tribuna. Ora una circolare – o almeno una lettera ai ministeri – farà ordine. E il dicastero di Ciriani si impegnerà a garantire una procedura snella, senza intoppi, per le norme che più premono al centrodestra di governo.

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È un cruccio anche per Meloni, si diceva, l’attività (e l’efficienza) delle aule parlamentari. Ormai al giro di boa della legislatura, in un round di riunioni con i consiglieri e i capigruppo la premier ha chiesto di concentrarsi sull’agenda politica da calare a terra. A partire dalle riforme.

Su alcune c’è una frenata politica, per il momento. È il caso del premierato che Meloni ha messo tra le priorità del 2025 nelle nuove linee guida ma probabilmente vedrà la luce solo a fine legislatura. E se l’autonomia bandiera della Lega è incappata sui paletti della Consulta, corre veloce la separazione delle carriere di giudici e pm. Priorità assoluta per la premier decisa a mandare in porto la riforma della Giustizia sognata un tempo da Berlusconi. Uno spiraglio forse si potrà anche aprire per qualche ritocco, se la magistratura verrà in pace al vertice Anm-governo previsto il 5 marzo. Poi il Parlamento dirà la sua. E su questa partita non saranno più ammessi ritardi e distrazioni.

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