Luciano Sorgato – ORDINE DI PADOVA
L’art. 18 del Decreto legislativo approvato il 3 dicembre 2024 dal Consiglio dei Ministri rubricato “Modifiche alla disciplina della liquidazione”, apporta delle significative novità in tema di liquidazione delle imprese e delle società, procedendo a sostituire integralmente l’attuale art. 182 Tuir. La novità principale è senz’altro l’inversione della provvisorietà dei periodi intermedi della liquidazione con la definitività dei medesimi. Su tale principale tratto distintivo vengono poi innestate altre modifiche che non si rivelano però del tutto coerenti sia con l’ulteriore ed invariata disciplina del Tuir che in raccordo con l’art. 182 regolamenta il regime fiscale dei redditi di liquidazione (art. 17, comma 1, lett. g) e f) del Tuir e sia con le complessive prescrizioni introdotte nella nuova versione testuale dell’art. 182 del Tuir.
Gli aspetti disciplinari innovativi della liquidazione
Il confronto tra le due versioni letterali ante e post riforma dell’art 182, comma 2 Tuir può agevolare la comprensione degli aspetti che innoveranno la disciplina della liquidazione:
- Art. 182, comma 2, 2° e 3° periodo, Tuir ante riforma: “Se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito relativo alla residua frazione di tale esercizio e a ciascun successivo esercizio intermedio è determinato in via provvisoria in base al rispettivo bilancio, ovvero a norma dell’art. 66 se ne ricorrono i presupposti, salvo conguaglio in base al bilancio finale. Se la liquidazione di protrae per più esercizi, compreso quello in cui ha avuto inizio, nonché in caso di omessa presentazione del bilancio finale, i redditi così determinati anche se già tassati separatamente a norma degli artt. 17 e 21 Tuir si considerano definitivi e concorrono a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei familiari partecipanti all’impresa o dei soci. Se la liquidazione si chiude in perdita si applicano le disposizioni di cui all’art. 8”;
- Art. 182 comma 2, Tuir post riforma:” Se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito compreso tra l’inizio e la chiusura della liquidazione è determinato in base al bilancio finale che deve essere redatto anche nei casi di cui all’art 66. Se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito relativo alla residua frazione di tale esercizio e a ciascun successivo esercizio intermedio, al netto delle perdite degli esercizi precedenti compresi nella liquidazione concorre a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei familiari partecipanti all’impresa o dei soci. Se la liquidazione di protrae per non più di tre esercizi, compreso quello in cui ha avuto inizio:
a) l’impresa o la società può rideterminare il reddito dell’ultimo di tali esercizi e progressivamente quello degli esercizi precedenti, computando a riduzione di ciascuno di essi le perdite residue fino a concorrenza dei relativi importi,
b) l’imprenditore, i collaboratori familiari o i soci possono chiedere la tassazione separata del reddito a norma degli artt. 17 e 21. Se la liquidazione si chiude in perdita si applicano le disposizioni dell’art. 8 del Tuir”.
Sullo sfondo di tale diversa versione letterale del comma 2 dell’art 182, ante e post riforma, rimane, del tutto invariato nel suo contenuto disciplinare, l’art. 17, comma 1, lett. l, Tuir che raccorda il regime fiscale della tassazione separata (rinunciabile per il solo tramite della specifica opzione da rappresentare nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la percezione ai sensi del successivo comma 3°) ai redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e l’inizio della liquidazione è superiore a cinque anni (per le imprese individuali provvede la lett. g in ordine ai redditi conseguiti in dipendenza della liquidazione di imprese commerciali esercitate da più di cinque anni).
La prima peculiarità disciplinare da analizzare riguarda la definitività/provvisorietà dei risultati fiscali da raccordare ai periodi d’imposta intermedi nel caso la liquidazione venga ultimata in un segmento di tempo non eccedente tre esercizi (incluso quello in cui essa viene intrapresa). Dal confronto dei due dati normativi (ante e post riforma) emerge che si transita da una provvisorietà vincolante ad una provvisorietà facoltativa. I riferimenti letterali “determinato in via provvisoria, salvo conguaglio in base al bilancio finale (versione letterale ante riforma)” e può rideterminare il reddito dell’ultimo di tali esercizi e progressivamente quello degli esercizi precedenti (testo letterale post riforma) appaiono in tal senso inequivoci. Tale avvicendamento disciplinare appare non solo opportuno, ma persino necessario allo scopo di razionalizzare la struttura impositiva della liquidazione con la ratio dell’IRPEF, le cui dinamiche fiscali s’intersecano con un indice annuo di capacità contributiva (in caso di raccordi temporali più ampi il regime disciplinare ordinario viene aggiustato con la previsione della tassazione separata). In altri termini, l’accumulo dei redditi frazionali dei tre periodi d’imposta, sottoposti ad un’unitaria tassazione progressiva (salvo il regime fiscale della tassazione separata, possibile, però, al solo riscontro dei presupposti delle indicate lett. g) e l) dell’art.17 Tuir, è nella condizione di determinare un’evidente distorsione impositiva, in quanto il raccordo dell’IRPEF con una scansione di plurime manifestazioni reddituali, viene attualmente a determinare, in virtù della progressione delle aliquote in unione con la stratificazione degli scaglioni, un’incisione fiscale più onerosa di quella che si determina nel caso in cui la liquidazione si prolunghi oltre il convenzionale unitario periodo d’imposta di tre esercizi. Un esempio rende agevole la comprensione dell’esposta incongruenza impositiva. Si ipotizzi un complessivo periodo liquidatorio di tre esercizi con redditi intermedi rispettivamente di 10, 30 e 20. In tale caso, in mancanza del presupposto per la fruizione del regime della tassazione separata, il carico impositivo liquidato su un reddito unitario di 60, in luogo delle singole incisioni fiscali su 10, 30 e 20 viene a determinarsi, in virtù delle note prerogative dell’IRPEF, in una misura più onerosa di quella che si genererebbe in caso di ulteriore prolungamento della liquidazione, sovvertendo un regime fiscale pensato come agevolativo (in tal senso orienta la previsione del regime fiscale della tassazione separata nel caso la liquidazione non si protragga oltre tre esercizi) in un regime impositivo più oneroso. Ma è soprattutto l’eterogeneità della ratio impositiva dell’IRPEF, fiscalmente strutturata per incidere redditi personali di un solo periodo d’imposta ordinariamente coincidente con l’anno solare, che l’attuale regime fiscale della liquidazione manifesta la maggiore inconciliabilità con le dinamiche impositive sottese all’obbligazione tributaria delle persone fisiche e ai coordinamenti costituzionali che la presidiano. Una manifestazione d’imposta non raccordata alle specifiche prerogative del tributo, per la Corte Costituzionale urta con il costituzionale principio della ragionevolezza e tale antitesi in primis è ripudiata dall’art. 3 della Costituzione.
Indagine del nuovo testo normativo
Il nuovo testo normativo razionalizza la rappresentata questione costituzionale, commutando il vincolo della provvisorietà liquidatoria degli esercizi della liquidazione in una facoltà opzionale rimessa ad un giudizio di convenienza fiscale, consentendo all’impresa o alla società la rideterminazione del reddito dell’ultimo di tali esercizi e progressivamente quello degli esercizi precedenti, computando a riduzione di ciascuno di essi le perdite residue fino a concorrenza dei relativi importi. In altri termini, il nuovo elaborato normativo dapprima prevede un regime fiscale definitivo per i redditi di liquidazione conseguiti in ognuno dei periodi d’imposta segnati dalla liquidazione e poi a posteriori consente l’opzione della loro conversione in calcoli liquidatori provvisori, ammettendo la retroattività fiscale delle perdite residue, non utilizzate per mancanza di capienza del reddito dell’ultimo periodo d’imposta.
Un esempio rende più agevole la comprensione dell’esposta dinamica legislativa.
A tale proposito si può ipotizzare una sequenza di risultati liquidatori del seguente segno:
1° esercizio di liquidazione reddito 40
2° esercizio di liquidazione reddito 60
3° esercizio di liquidazione perdita 90
In tale caso la perdita dell’ultimo esercizio della liquidazione potrebbe, in considerazione dei vincoli che ne disciplinano il riporto, non rendersi più fruibile in successive operazioni di nettizzazione algebrica con redditi futuri, per cui appare senz’altro fiscalmente conveniente procedere alla rideterminazione dei redditi degli esercizi anteriori: 2 (con addirittura azzeramento di ogni sua rilevanza fiscale) e 1 (con residuo saldo algebrico tassabile di 10 (40 – perdita residua di 30)).
In tal caso la vincolante e non logica provvisorietà fiscale prevista dal testo ante riforma, viene sostituita con una facoltà opzionale che non potrà che coordinarsi con un giudizio di convenienza fiscale.
L’opzione, nel caso di società di persone, viene riservata alla società e non ai singoli soci, per l’esigenza di non dar seguito ad opzioni impositive diverse che apparirebbero poco conciliabili con la dinamica impositiva della trasparenza, raccordata ai redditi di liquidazione, in virtù anche della loro specifica e omogenea composizione qualitativa. In ogni caso, trattandosi di società di persone, che fondano il governo decisionale sul riscontro dell’unanimità dei consensi, non è possibile che si registri la sopraffazione del volere di un socio a vantaggio di maggioranze, nonostante, si torna a sottolineare, la scelta oggettivamente coordinata ad un regime fiscale più favorevole per tutti i soci, precluderà giudizi valutativi difformi nell’ambito della compagine sociale.
La riportata lettera legislativa di cui alla lett. a) del nuovo art. 182, comma 2, dispone la rideterminazione dei redditi del complessivo periodo della liquidazione secondo una progressione temporale che opera temporalmente a ritroso (la società può rideterminare il reddito dell’ultimo di tali esercizi e progressivamente quello degli esercizi precedenti) ed insita in tale previsione, nonché nello specifico significato semantico di “rideterminare”, appare intravedersi una dinamica dichiarativa di sostituzione delle pregresse dichiarazioni dei redditi ad opera della medesima società. I soci a loro volta dovranno uniformarsi alla rideterminazione dei redditi intermedi della liquidazione, raccordando il relativo quantum ai nuovi ammontari nettizzati delle perdite secondo l’esempio sopra esposto.
La deducibilità fiscale delle perdite dei periodi intermedi della liquidazione
In ordine alla controversa questione relativa alla tempestiva deducibilità o al differimento alla chiusura della liquidazione delle perdite dei periodi d’imposta intermedi, la previsione che raccorda alla società la scelta della rideterminazione dei redditi, potrebbe essere intesa come portatrice di un’indicazione risolutrice dell’attuale disciplina.
In ordine al testo normativo ante riforma e ancora oggi in vigore la preclusione della rilevanza fiscale delle perdite intermedie viene essenzialmente fatta derivare da un passo della relazione ministeriale che testualmente riferisce: “Per le imprese individuali e per le società di persone le disposizioni dell’art. 8 dello schema di Testo Unico, concernenti la deduzione delle perdite d’impresa dal reddito complessivo o pro quota dal reddito complessivo di ognuno dei soci, nonché il riporto delle perdite ai periodi d’imposta successivi, si applicano per le perdite che risultano definitivamente a chiusura della liquidazione e non anche per le perdite degli esercizi intermedi”.
Il passo della relazione preclude la rilevanza fiscale delle perdite intermedie sulla base della prescrizione dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 182 Tuir che testualmente dispone: “Se la liquidazione si chiude in perdita si applicano le disposizioni dell’art. 8”.
Tale disposizione, come sottolineato in dottrina , sembra però più correlarsi ad una conferma legislativa del diritto al riporto delle perdite in ordine ad un contesto temporale del tutto atipico rispetto all’ordinaria cadenza periodica di emersione delle medesime prevista nell’art. 8 Tuir ed ancorata alla durata dell’anno solare (art. 7 Tuir), piuttosto che precludere l’ordinaria operatività fiscale delle perdite. In altri termini, la riportata previsione normativa sembra più avere l’obiettivo di rimuovere le incertezze interpretative che sarebbero potuto derivare dalla particolare conformazione temporale del periodo di liquidazione (che può giungere sino ad espandersi a tre esercizi) che derogare con riferimento ai periodi annuali intermedi della liquidazione all’ordinaria dinamica disciplinare dell’art. 8 Tuir. Del resto come il risultato reddituale positivo assume rilevanza anticipata rispetto al conguaglio finale ed assume la configurazione di acconto, non si vede perché un risultato reddituale negativo non deve avere la medesima tempestiva rilevanza. Una progressiva dinamica d’intersezione di utili e di perdite durante il periodo della liquidazione riesce apparire senz’altro più bilanciata nella conformazione di un’obbligazione tributaria in itinere, sino al suo definitivo assestamento in correlazione con le risultanze del bilancio finale.
La previsione nel testo post riforma di rimettere la rideterminazione del reddito alla società con l’utilizzo algebrico a ritroso delle perdite da liquidazione, potrebbe farvi rinvenire una spia legislativa sintomatica della quiescenza fiscale delle perdite intermedie, in attesa della chiusura della liquidazione da esaurire in ogni caso in tre esercizi. Tuttavia tale soluzione esegetica è smentita in modo tranciante dal nuovo testo normativo, il quale, si ricorda, a regime dispone: “Se la liquidazione si protrae oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il reddito relativo alla residua frazione di tale esercizio e a ciascun successivo esercizio intermedio, al netto delle perdite degli esercizi precedenti compresi nella liquidazione concorre a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei familiari partecipanti all’impresa o dei soci”. Proprio tale preciso dato normativo è indicativo di un chiaro tempestivo diritto di deducibilità delle perdite che vengono ad emergere durante la liquidazione. Diritto corroborato dalla definitività (e non più dalla provvisorietà) delle evidenze fiscali intermedie del periodo della liquidazione, solo rideterminabile a posteriore a seguito dell’indicata facoltà potestativa della società. In altri termini, l’inversione della modalità liquidatoria da provvisoria a definitiva in unione con la riportata chiara lettera legislativa, non consente di escludere le eventuali perdite dal raccordo impositivo con ognuno dei relativi periodi d’imposta della liquidazione, da assoggettare agli ordinari canoni disciplinari dell’art. 8 Tuir. La conclusione trova ulteriore conferma nel riferimento letterale che raccorda alle sole perdite residue la facoltà opzionale della società di rideterminare i redditi degli esercizi della liquidazione (comma 2, lett. a del nuovo art. 182, Tuir)
Ne deriva che le perdite di un esercizio incluso nella liquidazione dovranno essere obbligatoriamente portate a riporto e dedotte, sempre secondo le specifiche regole dell’art. 8, comma 3, Tuir, sino a capienza dei redditi successivi, per non incorrere nella preclusione fiscale del loro utilizzo. Nel caso di redditi intermedi tassati, in quanto antecedenti all’emersione delle perdite o di ammontare eccedente le perdite a riporto, possono venirsi a definire i presupposti per l’opzione da parte della società in ordine alla rideterminazione dei medesimi.
Un esempio può agevolare a comprendere le nuove regole.
1° esercizio della liquidazione reddito 100
2° esercizio della liquidazione perdita 60
3° ed ultimo esercizio della liquidazione reddito 20
Sulla base dell’esposta scansione reddituale, la perdita dell’esercizio 2 consente di sterilizzare gli effetti fiscali del reddito di 20 del terzo e conclusivo esercizio della liquidazione, con una residua consistenza di perdite inutilizzata pari a 40. In tal caso la società ha la convenienza di esercitare l’opzione per la rideterminazione del reddito del primo periodo della liquidazione saldando algebricamente la perdita residua di 40 con l’iniziale reddito di 100, riducendolo a 60. Tale rideterminazione dei risultati della liquidazione comporterà l’aggravio dei corrispondenti complessivi aggiornamenti dichiarativi già sopra indicato, permutato con l’esemplificata riduzione del carico impositivo.
La nuova struttura impositiva della liquidazione riesce conclusivamente ad apparire più razionale rispetto a quella dell’attuale art. 182, comma 2, Tuir e risolve in virtù dell’inversione dell’attuale “provvisorietà – definitività”, con la nuova combinazione “definitività – provvisorietà” dei redditi da liquidazione, la questione mai risolta con riguardo all’attuale regime fiscale di chi dovesse provvedere (il soggetto privato o il soggetto pubblico), nel caso di protrazione della liquidazione oltre i periodi di legge ammessi, a rideterminare i diversi carichi fiscali derivanti sia dalla perdita del diritto alla fruizione della tassazione separata e sia per la sopravvenuta definitività dei pregressi periodi d’imposta.
L’imputazione delle perdite intermedie della liquidazione
Una questione che con la nuova norma non appare di immediata risoluzione, sempre in ordine alle perdite intermedie della liquidazione, riguarda l’imputabilità delle medesime: ai soci secondo gli ordinari canoni della trasparenza o il loro mantenimento alla società secondo le medesime dinamiche fiscali del riporto per le società di capitali. Sul piano letterale l’inciso “il reddito relativo alla residua frazione di tale esercizio e a ciascun successivo esercizio intermedio, al netto delle perdite degli esercizi precedenti compresi nella liquidazione concorre a formare il reddito complessivo ………dei soci”, non agevola la risoluzione della questione in virtù dell’impiego” concorre a formare” in luogo “dell’imputazione” che, come noto, è alla base dell’ordinario trasferimento delle risultanze fiscali dalla società di persone ai propri soci.
Entrambe le soluzioni si rendono prospettabili con conseguenze impositive però non sovrapponibili.
Da un lato l’ordinaria tempestiva imputazione ai soci delle perdite potrebbe ritenersi corroborata dal fatto che un mutamento così netto delle ordinarie regole di incastro algebrico delle medesime con i redditi di periodo, dovrebbe poter poggiare su una inequivoca lettera legislativa, dirimente sin da subito qualsiasi prospettiva d’incertezza, mentre la semplice previsione di un reddito liquidatorio al netto delle perdite degli esercizi precedenti appare potersi raccordare con continuità disciplinare alle regole del riporto delle perdite come previsto all’art. 8, comma 3, TUIR, in unione, peraltro, con il ripristino strutturale ordinario dei periodi fiscali, a seguito della già sopra commentata previsione della loro definitività in luogo della precedente provvisorietà.
Dall’altro lato l’imputazione ordinaria delle perdite ai soci, in luogo del mantenimento delle medesime da parte della società, verrebbe a comportare un non agevole governo fiscale dell’impiego delle perdite residue nella rideterminazione del reddito dell’ultimo dei tre esercizi della liquidazione e progressivamente a ritroso quello degli esercizi precedenti, implicando anche un corretto rapporto informativo della società con i propri soci in ordine all’uso algebrico delle perdite eventualmente beneficiato dai medesimi, nel caso essi o anche uno solo di essi conseguano ulteriori redditi d’impresa di diversa provenienza.
La questione appare più agevolmente comprensibile con il ricorso a degli esempi.
Occorre però preliminarmente premettere, con riguardo alla disciplina fiscale delle perdite di cui all’art. 8, la dibattuta questione relativa all’incertezza esegetica del comma 3 e all’uso della versione letterale: “Le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo ed in accomandita semplice sono computate in diminuzione dei relativi redditi conseguiti nei periodi d’imposta e, per la differenza, nei successivi…..”. L’incertezza riguarda la questione se essa intenda definire una precisa correlazione biunivoca tra reddito e perdite generate dal medesimo soggetto, o si raccordi ad una latitudine compensativa più ampia e comprensiva di tutti i redditi catalogabili come d’impresa, indipendentemente dalla fonte che li genera, favorendo, quindi, anche incroci compensativi soggettivamente eterogenei (il reddito d’impresa individuale con la perdita imputata per trasparenza nella qualità di socio). In tale ultimo senso, si sottolinea, è l’orientamento dottrinale senz’altro prevalente, supportato anche dal tenore letterale della locuzione “relativi” che in effetti appare raccordarsi più che con la fonte che genera il reddito, con la natura oggettiva dei redditi d’impresa previsti nell’incipit introduttivo del 3° comma dell’art. 8.
Un’esegesi orientata al primo senso, che appare però essere minoritaria, assume a supporto l’art. 101, comma 6, Tuir, che per le partecipazioni detenute in regime d’impresa testualmente dispone: “Le perdite imputate per trasparenza dalle società in nome collettivo ed in accomandita semplice sono utilizzabili solo in abbattimento degli utili attribuiti per trasparenza dalla stessa società che ha generato le perdite”. La lettera legislativa in ordine alle partecipazioni, connotabili come beni d’impresa secondo i criteri individuati all’art. 65 Tuir, è chiara nel disporre il vincolo compensativo tra perdite e redditi del medesimo soggetto, interdicendo ogni forma di compensazione inter soggettiva. Potrebbe, quindi, ritenersi che per esigenze di coerenza sistematica anche al di fuori del regime d’impresa debba essere perseguito un saldo algebrico soggettivamente omogeneo.
La scelta di una delle due soluzioni non è neutra ai fini della controversa questione. Nel caso si privilegiasse la soluzione che ammette la compensazione con i soli redditi generati dalla medesima fonte, non sorgerebbe alcun problema in ordine alle dinamiche di rideterminazione dei redditi della liquidazione, dal momento che i parametri (perdite e redditi) cui raccordare il giudizio di convenienza fiscale sono individuabili con esclusivo riferimento alla società in liquidazione. La questione, invece, si complica se la scelta, in unione con l’orientamento prevalente, viene orientata verso la soluzione compensativa più ampia. In tal caso a fronte, ad esempio, dell’imputazione di una perdita da liquidazione di 100 ad entrambi i due soci A e B di una società di persone, qualora al socio A nel medesimo periodo d’imposta venisse anche imputato un reddito di partecipazione proveniente da altra società sempre di 100, con conseguente saldo algebrico pari a zero, in virtù del diritto compensativo eterogeneo, la scelta finale della società in liquidazione potrebbe venire ostruita proprio dalla suddetta compensazione.
Volendo esemplificare il caso prospettato:
1° esercizio di liquidazione Reddito 300
2° esercizio di liquidazione Perdita 200
3° esercizio di liquidazione Reddito 100
Qualora la perdita di 200 emersa nel secondo esercizio di liquidazione venga, come indicato nell’esempio, imputata al socio A per 100 e da quest’ultimo compensata con altro reddito di partecipazione del medesimo periodo, solo la perdita residua di 100 imputata al socio B, disporrebbe del riporto secondo le ordinarie regole del citato comma 3, dell’art 8 , con una capienza, ai fini dell’opzione rimessa alla società, solo idonea a sterilizzare gli effetti fiscali del reddito di liquidazione del 3° esercizio (100) e con la conseguente preclusione di forme di compensazione riversabili nel primo esercizio. Tuttavia anche tale più limitata compensazione incontrerebbe elementi di incongruenza sia sul piano societario che su quello fiscale. Sul piano societario in quanto la perdita di liquidazione del secondo esercizio, sempre imputata al socio B per 100 e da quest’ultimo non compensata, gli consentirebbe di sterilizzare già per proprio conto ogni rilevanza impositiva della frazione del reddito di liquidazione del 3° esercizio di sua spettanza (100:2= 50), senza la necessità di alcuna opzione per la rideterminazione del reddito dell’ultimo esercizio da parte della società in liquidazione. L’opzione della società genererebbe invece un vantaggio nei confronti del socio A, il quale pur avendo già pienamente compensata l’intera perdita di 100, si avvantaggerebbe della perdita di 100 non compensata dal socio B che, a motivo dei suoi redditi personali e della mancanza di altri redditi d’impresa, non arriva a utilizzarla. Sul piano fiscale tale circolazione intersoggettiva della perdita in questione (dal socio B al socio A) non si presta a coniugarsi con il personale indice di capacità contributiva del socio A, il quale, oltre ad avere sterilizzato con l’imputazione della propria quota di perdita di 100 l’altro reddito di partecipazione imputatogli nel medesimo periodo d’imposta, si avvantaggerebbe della rideterminazione del reddito dell’ultimo esercizio della liquidazione da parte della società che sterilizzerebbe il reddito di 100 con la perdita a riporto del solo socio B, non avendola quest’ultimo potuta compensare per mancato conseguimento di altri redditi d’impresa.
Più chiaramente:
Imputazione della perdita di 200 a 100 ad ognuno dei soci A e B. Il socio A la compensa con l’ulteriore reddito di partecipazione, mente il socio B la manda a riporto. La società sterilizza il reddito dell’ultimo periodo di 100 con la perdita a riporto di B, generando nei confronti di A il vantaggio fiscale di non tassare 50, ossia la frazione di reddito che gli sarebbe stata imputata per trasparenza nel 3° esercizio (100 : 2).
Il mantenimento delle perdite da parte della società in attesa della verifica delle condizioni di convenienza fiscale per l’opzione della rideterminazione dei redditi, consentirebbe di evitare la descritta distorsione fiscale interpersonale tra i soci A e B, ma potrebbe però generare delle distorsioni in ordine alla fruizione delle medesime, considerata l’innovata definitività dei periodi di liquidazione. Nel caso, ad esempio, di liquidazione sopravanzante i tre esercizi, le perdite potrebbero venire in tutto in parte compromesse, non potendo le medesime più partecipare in alcun modo alla rideterminazione dei redditi pregressi Nel caso ad esempio:
1° esercizio della liquidazione reddito 600
2° esercizio della liquidazione perdite 300
3° esercizio della liquidazione perdite 200
4° e conclusivo esercizio di liquidazione reddito 100
le perdite opache del 2° e del 3° esercizio non risultano più utilizzabili in chiave compensativa con i redditi del primo esercizio, avendo la liquidazione sopravanzato i tre periodi d’imposta. A fronte della definitività di ognuno dei periodi d’imposta di perduranza della liquidazione, solo le perdite dell’esercizio 3 appaiono essere attribuibili per trasparenza ai soci (dal momento che solo alla scadenza del 3° esercizio si rende riscontrabile la condizione temporale interdittiva del conguaglio) e l’imputazione ai soci pro quota di tali perdite (200) potrà solo essere utilizzata per sterilizzare i redditi di 100 relativi all’ultimo esercizio della liquidazione, rivelandosi compromesse per l’eccedenza (salvo il conseguimento da parte dei soci di altri redditi d’impresa di diversa provenienza). In ogni caso le perdite opache del secondo esercizio (300 ) non appaiono poter venire beneficiate, stando la definitività del secondo periodo d’imposta non più modificabile ed anche se si ritenga ammissibile che le perdite opache del secondo esercizio (300) possano essere differite a riporto nel 3° esercizio, sommandosi alle ulteriori perdite di 200 e venire quindi imputate per trasparenza ai soci per l’intero ammontare di 500, esse potranno essere saldate algebricamente con i soli redditi dell’ultimo esercizio della liquidazione e degli eventuali altri redditi d’impresa di diversa provenienza conseguiti dai soci nel 3° esercizio e negli esercizi successivi, ma non con quelli del secondo esercizio, stando l’impedimento di qualsiasi conguaglio a ritroso.
Per chi scrive la norma sembra riservare alla società la sola potestà facoltativa dell’opzione alla rideterminazione dei redditi, ma da tale investitura decisionale non sembra lecito poter dedurre una deroga, in ordine alle perdite, del principio della trasparenza, con un mutamento delle ordinarie funzioni impositive della società di persone solo ordinariamente strumentali alla determinazione dei risultati fiscali, in uno status fiscale sostanziale ricalcante quello delle società di capitali. La sopra esemplificata distorsione impositiva che potrebbe venire a generarsi tra i soci (qualora, come nell’esempio rappresentato, un socio possa compensare la perdita con altri redditi d’impresa conseguiti nel medesimo periodo fiscale e l’altro invece la mandi a riporto) potrebbe essere compensata con la previsione della monetizzazione delle imposte risparmiate dal socio che ne trae vantaggio (il socio A dell’esempio sopra esposto) nei confronti del socio che gli consente di godere del risparmio fiscale (il socio B dell’ esempio riportato).Tale soluzione compensativa (già adottata in ordine ad altri istituti dal legislatore) consentirebbe di dare linearità fiscale alla canonica tecnica impositiva della trasparenza e nel contempo di evitare la possibilità di compromettere fiscalmente le perdite come rappresentato nell’ulteriore esempio sopra riportato.
Criticità in ordine alla fruizione della tassazione separata
In ordine alla fruizione del regime della tassazione separata in caso di liquidazione di imprese individuali e di società di persone, l’art. 17 Tuir prospetta un tenore letterale non coordinato con la previsione di cui alla lett. b dell’art. 182, comma 2 post riforma, a mente del quale come già sopra rappresentato: “Se la liquidazione di protrae per non più di tre esercizi, compreso quello in cui ha avuto inizio:
b) l’imprenditore, i collaboratori familiari o i soci possono chiedere la tassazione separata del reddito a norma degli artt. 17 e 21,
Lo scoordinamento deriva dal fatto che mentre l’art. 17, comma 1, lett. l dispone che l’imposta si applica separatamente ai redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e l’inizio della liquidazione è superiore a cinque anni (per le imprese individuali provvede la lett. g in ordine ai redditi conseguiti in dipendenza della liquidazione di imprese commerciali esercitate da più di cinque anni), connotandolo per le persone fisiche che non operano in regime d’impresa come il modulo impositivo ordinario, rinunciabile solo attraverso apposita opzione in dichiarazione, l’art. 182 comma 2, lett. b, prospetta invece un’apposita opzione per l’accesso alla speciale tecnica impositiva, assoggettandola peraltro alla condizione della perduranza temporale della liquidazione non eccedente i tre esercizi, verificabile solo a posteriori.
Ora se tale scoordinamento non genera particolari incongruenze nell’ambito del vigente schema normativo che raccorda la provvisorietà del calcolo impositivo ai periodi intermedi della liquidazione, in attesa della verifica se la sua conclusione avviene entro tre esercizi (dando semmai luogo ad un ricalcolo della tassazione con la sostituzione dell’aliquota media ricongiunta ai parametri temporali e dichiarativi previsti dall’art 21 Tuir, con l’ordinaria progressività dell’IRPEF) ogni possibile ricerca di linearità nell’incrocio delle due citate norme viene meno con l’inversione della sequenzialità del regime fiscale da definitivo a rideterminabile su opzione del socio. In altri termini, nel caso di imputazione ad un socio di un reddito di partecipazione liquidatoria di 100 derivante dalla liquidazione di una società con un’anzianità costitutiva ultra quinquennale a quale tecnica impositiva si deve assoggettare il reddito imputato? Si applicano le prescrizioni dell’art. 17 Tuir ed il regime naturale della tassazione separata in esso previsto o bisogna prima verificare se la liquidazione si chiude entro tre esercizi ed esplicitare l’apposita opzione secondo le prescrizioni dell’art. 182, comma 2 lett. b, Tuir, procedendo nel frattempo a liquidare l’imposta secondo l’ordinaria progressività delle aliquote IRPEF e dei corrispondenti scaglioni? La sovrapposizione prescrittiva delle due norme non può non apparire evidente e la questione non appare di agevole risoluzione neppure attraverso la verifica del rapporto di stretta specialità tra le stesse, dal momento che entrambe riguardano i redditi di liquidazione, diversificandosi solo sul piano dei presupposti. La soluzione che, a parere dello scrivente, appare più coerente con le norme in questione è l’immediata ammissione alla fruizione della tassazione separata dei redditi di liquidazione, nel caso sussistano i presupposti di cui alle lettere g) ed l) dell’art 17, comma 1, fermo rimanendo che nel caso della protrazione della liquidazione oltre i tre esercizi, il contribuente dovrà farsi carico della riliquidazione delle imposte su base ordinaria e non più separata. In tale caso l’immediato accesso alla tassazione separata manterrebbe coerenza con gli storici ed invariati presupposti dell’art 17, Tuir, assoggettandosi all’ulteriore presupposto che la liquidazione non si protragga oltre i tre esercizi, il quale, quindi, opererebbe come condizione risolutiva del regime della tassazione separata. Il tenore letterale della lett. b del comma 2 dell’art. 182 post riforma dovrebbe però venire riscritto allo scopo di evitare l’altrimenti chiara incongruenza con il citato art. 17 Tuir. La soluzione opposta di liquidare con regime fiscale ordinario i redditi di liquidazione in attesa della verifica della chiusura della liquidazione entro i tre esercizi, appare non solo ostruita dalle citate lett. g) ed l) dell’art 17 Tuir, ma anche eccessivamente penalizzante dal momento che le maggiori imposte liquidate su base ordinaria, in luogo di quella separata, dovrebbero poi costituire oggetto di uno specifico diritto restitutorio da disciplinare sul piano degli aspetti operativi
Luciano Sorgato
Inquadramento dei presupposti generali dello scambio di partecipazioni : residenza e natura della società conferitaria
La disciplina fiscale degli scambi di partecipazioni è stata all’origine introdotta nell’ordinamento tributario nazionale dall’art. 5 del D. Lgs n. 358 dell’8 ottobre 1997, in attuazione della specifica delega contenuta nell’art. 3, comma 161, lett. b, Legge 23 dicembre 1996 n. 662. Nel proseguo la norma è stata trasfusa nell’attuale art. 177 Tuir e tale ritenuta continuità storica, per l’Amministrazione Finanziaria si poneva alla base della possibilità interpretativa di assumere l’eventuale minusvalenza che dovesse scaturire dall’operazione contabile di conferimento, come del tutto estranea alla disciplina dell’art. 177, Tuir, da ricongiungere, quindi, quanto alle conseguenze fiscali, alle ordinarie prescrizioni dell’ art. 9 Tuir che, come noto, raccordano la fattispecie imponibile al valore normale del bene conferito. La nuova versione normativa dell’art 177 TUIR, come da ultimo innovata dal Decreto legislativo del 3 dicembre 2024 ha ora rimosso l’ostruzione ministeriale disponendo l’operatività del “realizzo controllato” anche nel caso in cui il valore di realizzo risulti inferiore al costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni conferite.
In ordine alla permuta delle partecipazioni e al conferimento il criterio fiscale del “realizzo controllato”, seppure correlato in entrambi i casi ad una condotta contabile, quest’ultima viene diversamente strutturata dal legislatore, dal momento che in ordine all’operazione di permuta il dato normativo interdice la rilevanza fiscale “di componenti positivi o negativi del reddito imponibile a condizione che il costo delle azioni o quote date in permuta sia attribuito alle azioni o quote ricevute in cambio” , mentre nel caso di conferimento delle partecipazioni il comma 2 dell’art. 177, Tuir raccorda la rilevanza impositiva dell’operazione al confronto “tra il complessivo aumento del patrimonio netto della conferitaria ed il costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni conferite”.
Il comma 1, dell’art. 177 Tuir, per la permuta delle partecipazioni, richiede il presupposto della residenza territoriale sia per il soggetto acquirente e sia per quello scambiato, per cui entrambi i soggetti devono essere società di capitali o enti equiparati ed entrambi avere la residenza nel territorio nazionale. In tal modo con l’art. 177 Tuir viene legislativamente perseguito l’affiancamento alla disciplina dell’art. 178 in materia di scambi intracomunitari, senza alcuna intersezione diretta delle due norme e senza la possibilità che vengano a generarsi confusioni disciplinari. Dal dettato normativo discende inoltre la necessità che la società acquirente abbia la connotazione di SPA o di SAPA, dovendo essa detenere azioni proprie da dare in permuta alle azioni/quote ricevute. In ordine ai soggetti scambianti l’Amministrazione Finanziaria già con la circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997, ha ritenuto che il semplice e generico riferimento della norma ai “componenti negativi o positivi di reddito imponibile” in luogo di quello più specifico di “ricavi o plusvalenze o minusvalenze” faccia propendere per l’irrilevanza della qualifica di imprenditore dei soggetti scambianti che, quindi, potranno anche essere comuni persone fisiche. Tale ordinaria condizione soggettiva degli scambianti in sede di trasfusione della norma ha trovato conferma nell’ultimo periodo del commi 1 dell’art 177, che in ordine alla disciplina fiscale dell’eventuale conguaglio pattuito richiama anche l’art. 68, comma 3, Tuir che opera per le partecipazioni scambiate non detenute in regime d’impresa.
In ordine invece alla disciplina fiscale dei conferimenti di partecipazioni di controllo la triade dei soggetti coinvolti nell’operazione sono:
- 1) la società conferitaria che acquisisce o integra il controllo della società scambiata,
- 2) la società scambiata o conferita della quale la conferitaria riassume la potestà decisoria ai sensi dell’art. 2359, comma1, n.1
- 3) i soci conferenti, ovvero i soci della società scambiata/conferita che possono riassumere qualsiasi natura soggettiva e tributaria (persone fisiche imprenditori e non imprenditori, società di persone, società di capitali, enti equiparati ed enti non commerciali).
In specifico ordine alla natura dei soggetti, si deve sottolineare come il comma 2 dell’art 177 Tuir (che in ordine al tema in questione non ha registrato novità) , testualmente operi un rinvio generico a “società conferitaria” senza, quindi, procedere a contrassegnarla come società di capitali ed altresì come non espliciti alcun preciso collegamento con il territorio nazionale, obbligando a connotare la conferitaria come residente. Nonostante la mancanza di indicazioni legislative stringenti, l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto con la risoluzione n. 43/E del 4 aprile 2017 che per “asseriti motivi di ordine logico sistematico” abbiano da valere i medesimi elementi di caratterizzazione soggettiva previsti nel 1° comma dell’art. 177, in ordine alle permute delle partecipazioni, per cui tanto la società conferitaria, quanto la società scambiata devono essere entrambe società di capitali residenti in Italia. Per l’Amministrazione Fin., quindi il riferimento presente nel comma 2 dell’art. 177 a “società conferitaria” senza alcuna precisa identità giuridica equivale a “una non statuizione” del comma 2, per cui per “motivi logico – sistematici” (fatti derivare dalla rubrica della norma, che notoriamente non partecipa del testo di legge) sia la società conferitaria che la società conferente devono entrambe ricalcare le peculiarità di struttura giuridica e di territorialità fissate nel 1° comma dell’art. 177 Tuir.
Appare invece possibile ritenere che il rinvio generico a “società conferitaria” non costituisce affatto una mancata indicazione legislativa, dovendosi piuttosto ritenere insito nel suddetto rinvio l’inclusione onnicomprensiva di tutte le configurazioni societarie riconosciute dall’Ordinamento. Se il legislatore richiama il generico paradigma della società, il suo restringimento ad una circoscritta fattispecie è opera creativa dell’interprete e non interpretazione della norma, salvo che precisi limiti non abbiano da derivare dalla stessa dinamica d’intersezione degli elementi assunti a rilevanza dalla norma. Così, ad esempio, relativamente alla permuta del comma 1, che la società acquirente debba necessariamente essere una società per azioni od in accomandita per azioni deriva dalla precisazione legislativa relativa allo scambio permutativo tra partecipazioni di controllo ricevute e azioni proprie attribuite.
Per di più il comma 2, oltre a non prevedere alcuna esplicita intersezione con il comma 1 (tecnica normativa invece specificamente usata nel rapporto disciplinare tra il comma 2 ed il comma 2 bis dell’art 177) si raccorda ad una dinamica giuridica (conferimento) del tutto diversa da quella del comma 1(permuta) e ad una configurazione fiscale di “realizzo controllato” parimenti del tutto diversa da quella rappresentata nel comma 1 (confronto nel conferimento tra 2 ben individuati parametri: quello del costo fiscale delle partecipazioni conferite con quello del complessivo aumento del patrimonio netto contabile della conferitaria; mera trasfusioni di valori fiscali nella permuta). Non si vede, quindi, come asseriti “motivi logico-sistematici” possano ingerirsi nell’interpretazione della portata del comma 2 che, rispetto al comma 1, evidenzia una manifesta autonomia.
Nel comma 1 dell’art. 177, la natura di società capitali, più che dal rinvio legislativo all’art 73, 1° comma, lett. a e b, Tuir, deriva dal fatto che la società acquirente nella permuta deve scambiare azioni, mentre la società scambiata deve configurarsi come governabile secondo le coordinate dell’art 2359 cod. civ., solo correlabile alle società di capitali. Il richiamo alle specifiche identità soggettive dell’art 73 Tuir non aggiunge nulla, in ordine alla natura delle società che permutano i titoli, rispetto a quanto già chiaramente individuabile attraverso lo specifico dettaglio regolamentare dell’operazione di permuta.
Conclusivamente il comma 2 dell’art 177 Tuir, non è affatto omissivo di riferimenti, dovendosi piuttosto intendere la norma come chiara nel non prevedere condizioni di sorta, senza la possibilità per l’interprete di inquinare tale chiarezza con il ricorso ad elementi extratestuali rispetto alla sua versione letterale, così come strutturata dal legislatore. Appare, quindi, possibile per la società conferitaria potersi configurare anche come società di persone, dal momento che, come sottolineato in dottrina (A Turchi, “Il regime delle operazioni straordinarie”, Torino 2009),) anche le società di persone possono essere detentrici di partecipazioni di controllo in società di capitali.
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