Suicidio assistito, sì o no? C’è un bene indisponibile che ci dà la risposta

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Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato la legge sull’aiuto sanitario al suicidio medicalmente assistito, benché la giurisprudenza costituzionale consolidata esplicitamente riservi in via esclusiva alla legge statale la disciplina del fine vita. Si è voluta approvare su questo una legge regionale cedevole rispetto a una futura legge statale: ma la Corte pure questo esclude dalla sentenza del 2016 sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) in poi.

La legge reca formalmente “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale”, ma derubricarla a intervento meramente applicativo di un diritto già riconosciuto non regge. In realtà, la Corte riconosce la prevalenza del principio di indisponibilità della vita umana ma non un diritto all’assistenza medica al suicidio La sentenza n. 242/2019 risulta già direttamente applicabile laddove esime dalla responsabilità penale chi aiuti al suicidio in presenza delle quattro condizioni che riguardino il sofferente «fintanto che sulla materia non intervenga il Parlamento», «e comunque senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici», e nemmeno un corrispondente diritto del paziente esigibile a tal fine.

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La disciplina procedimentale e organizzativa incide, invece, in termini estremamente pesanti sulla stessa configurazione e ampiezza della facoltà a ricorrere al suicidio medicalmente assistito, ben oltre la materia di tutela della salute di competenza regionale, fino a sancire un diritto fondato, dunque, soltanto sulla legge toscana in violazione del limite costituzionale dell’ordinamento civile e penale: tutt’altro che un intervento applicativo delle sentenze, come riduttivamente presentato.

Il supremo principio costituzionale di eguaglianza, poi, esige parità di trattamento nella tutela del fondamentale diritto alla vita su tutto il territorio nazionale: ciò manca nella legge toscana, che non evita tali ingiustificabili disparità, per casi analoghi, tra Regioni e Asl, pure nella stessa Regione. Infatti, la legge evoca il solo parere del Comitato per l’etica nella clinica di Asl (senza parlare delle Aziende ospedaliere, poi) sulla sussistenza dei requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, mentre tiene fuori la Commissione regionale di Bioetica – la cui nomina è di competenza del Consiglio –, non ricostituita dalla scorsa legislatura, scaduta e paralizzata da 4 anni: quindi, le differenze tra Asl toscane potranno continuare, minando alla base la stessa pretesa logica interna alla legge con un profilo di irragionevole contraddittorietà. C’è il pericolo che questa soluzione alimenti 21 soluzioni diverse in Italia, favorendo intanto un macabro turismo in conflitto frontale con il principio di eguaglianza sul primo – e preliminare – dei diritti delle persone.

Pure i tempi eccessivamente serrati del procedimento disciplinato sono una forte criticità, dichiaratamente voluta: 37 giorni per esaurire un atto totalmente irreversibile di eliminazione della vita contro liste d’attesa lunghissime per ricevere le prestazioni sanitarie. Non è anche questa una contraddizione nell’esercizio della competenza di tutela della salute?

C’è, comunque, l’elevatissima probabilità che la Consulta ritenga illegittima la legge in esame giudicando prevalente e assorbente la potestà esclusiva statale: serve una legge del Parlamento proprio per «tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere» con stile di pietas davvero autentico nei loro confronti di contrasto alla cultura dello scarto.

Il principio costituzionale di leale collaborazione tra Regioni e Stato richiede la rinuncia a fughe in avanti fuori competenza, mentre le Commissioni Giustizia e Sanità del Senato lavorano sulla legge nazionale, unica via costituzionalmente percorribile. La Toscana poteva attivarsi in Conferenza Stato-Regioni e, per stimolo e impulso, esercitare insieme ad altre l’iniziativa legislativa di ogni Consiglio regionale verso le Camere: perché non l’ha fatto?

Sulle cure palliative e la sedazione palliativa profonda continua si fonda, per Corte costituzionale e Corte europea dei Diritto dell’Uomo, il diritto a un fine vita dignitoso e non sofferto. Prestazioni, queste sì, riconducibili alla tutela della salute; ma di ciò la legge regionale non si occupa se non per considerarne il rifiuto quale possibile presupposto per accedere al suicidio medicalmente assistito.

A questo punto è prevedibile un’impugnazione in Corte costituzionale, con più che ragionevoli probabilità di successo, e ciò proprio mentre il Parlamento lavora alla legge. Ma fare strumentalmente, nel frattempo, campagna elettorale sul fine vita può solo contribuire ad alimentare il degrado nella vita pubblica e la disaffezione dei cittadini rispetto alle istituzioni.
*Docente di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Firenze-Dipartimento di Scienze giuridiche

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