A quanto ammonta un risarcimento per un insulto o un’offesa su un social in un post o comunque su internet.
La diffamazione – il fatto cioè di offendere l’altrui reputazione in presenza di almeno due persone – è un reato punito dall’art. 595 del codice penale con la reclusione fino a un anno o la multa fino a 1.032 euro. Se poi la diffamazione si consuma online, ad esempio tramite social network o con commenti su forum, il reato è aggravato e la pena è superiore: in questo caso scatta la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro. Una volta sporta la querela alla polizia postale e da questa individuato il responsabile, la vittima può costituirsi “parte civile” nel processo penale per chiedere il risarcimento. In alternativa, la stessa vittima può chiedere il risarcimento proponendo un autonomo giudizio civile. Ma come si calcolano i danni per diffamazione online? A quanto ammontano? Conviene davvero fare una causa (e pagare un avvocato) per ricavare un guadagno dall’offesa subita?
Chiariamo innanzitutto in cosa consiste la diffamazione perché spesso il primo problema è comprendere se effettivamente sussistono i presupposti del reato.
Quando la critica è diffamazione?
Abbiamo spesso parlato, su queste stesse pagine, dei tre elementi che costituiscono la diffamazione. In questa sede faremo solo una sintesi. È necessario innanzitutto che vi sia un’offesa all’altrui dignità personale, morale o professionale. Bisogna quindi trasmodare dalla critica: il linguaggio deve essere volontariamente offensivo, rivolto a denigrare la persona e non il suo operato. Il lessico deve superare i limiti della “moderazione”. Anche se sui social è ammessa una “aggressività” superiore rispetto al linguaggio parlato, ciò non giustifica la condotta di chi infanga la reputazione di un altro soggetto.
La libertà di parola e di espressione trova quindi un limite invalicabile che è la dignità degli altri consociati.
A tal fine è bene anche ricordare che si ha diffamazione anche quando il fatto narrato è vero, ma è espresso in forma oltraggiosa.
Il secondo elemento della diffamazione è l’assenza della vittima che, nel caso di offese online, non deve essere connessa a internet nel momento in cui il messaggio o il post viene pubblicato. Ecco perché non c’è diffamazione quando l’offesa viene postata in una chat a “due”, tra la vittima e il reo.
Anche su WhatsApp può sussistere la diffamazione, a patto che nel gruppo siano presenti almeno due persone oltre alla vittima e al colpevole. Inoltre è necessario che la parte offesa non sia online quando il messaggio offensivo viene inviato. La Cassazione ha detto che alla diffamazione su WhatsApp non si applica l’aggravante che invece vale per quella su Internet.
Ultimo elemento della diffamazione è proprio la presenza di almeno due o più persone. Si tratta di un presupposto abbastanza scontato quando gli oltraggi viaggiano sul web. Non importa infatti quante persone sono connesse per leggere il post quando viene pubblicato. E non importa neanche se esso viene postato su una bacheca privata, chiusa al pubblico, se la cerchia di amici è composta da almeno due persone.
Come punire la diffamazione online?
Per punire la diffamazione online ci sono due strade:
- la via penale: è possibile sporgere la querela e lasciare che il Pubblico Ministero conduca le indagini. All’esito verrà formulata la richiesta di rinvio a giudizio e si terrà il processo vero e proprio. Al termine del dibattimento, il giudice emetterà la sentenza e condannerà il reo a risarcire i danni alla vittima. Quest’ultimo provvedimento viene emesso solo se la vittima stessa lo richiede con la costituzione di parte civile;
- la via civile: tralasciando tutto l’aspetto penale, la vittima può anche agire in via civile per ottenere direttamente il risarcimento. In questo caso il reo non subirà la condanna penale ma la prova sulla responsabilità sarà anche più facile. Difatti, se nel processo penale è necessario che non vi sia un “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza, in quello civile basta la semplice “probabilità”.
Quanto alle prove della diffamazione online, queste possono consistere in uno screenshot e/o in testimonianze. Sul punto leggi Che prove servono per denunciare per diffamazione?
Come si stabilisce il risarcimento danni per diffamazione online?
I danni che devono essere risarciti in caso di diffamazione online possono essere di tre tipi:
- danno patrimoniale: quando la vittima riesce a dimostrare di aver subito un pregiudizio economico, come la perdita di clienti a causa dell’offesa subita o una riduzione del fatturato aziendale per una recensione negativa. La prova deve essere rigorosa e non basata su mere presunzioni e aspettative di guadagno;
- danno biologico: quando la vittima subisce un pregiudizio di natura fisica o psicologica accertabile a livello medico. È infrequente per questo tipo di reato, ma non può essere categoricamente escluso;
- danno morale: consiste nella sofferenza interiore per l’offesa e la perdita della reputazione. Viene calcolata dal giudice in via “equitativa”, ossia sulla base di quanto appare giusto nel caso concreto. Ma a tal fine vengono utilizzati dei criteri orientativi elaborati dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, ampiamente adottati anche dalla giurisprudenza italiana. Questi criteri permettono di quantificare equitativamente il danno non patrimoniale subito dalla vittima. Li vedremo qui di seguito.
Quali sono criteri di valutazione del danno morale per la diffamazione?
I principali parametri da considerare nella liquidazione del danno da diffamazione online sono i seguenti:
- notorietà del diffamante e del diffamato: la rilevanza pubblica delle parti coinvolte può influire sull’entità del danno. Ad esempio, se il diffamante è una persona nota o un influencer, l’impatto della diffamazione può essere maggiore. Anche il ruolo sociale ricoperto dalla vittima e la sua carica e/o professione può essere un elemento determinante ai fini del calcolo del risarcimento;
- natura della condotta diffamatoria: si valuta se l’offesa colpisce la sfera personale e/o professionale, se è circostanziata o generica, e se sono utilizzate espressioni ingiuriose o denigratorie. In questo senso bisogna valutare anche il tipo di offesa pronunciata (dire “sei mafioso” è sicuramente più grave che dire “sei incompetente”);
- mezzo di diffusione e sua portata: la diffusione online può avere un impatto significativo a causa della rapidità e dell’ampiezza con cui le informazioni si propagano. Si considera la piattaforma utilizzata (social media, blog, siti web) e la sua diffusività;
- risonanza mediatica: l’eco suscitata dalla diffamazione, anche attraverso condivisioni o commenti, può amplificare il danno;
- intensità dell’elemento psicologico: si valuta l’intenzione del diffamante, distinguendo tra dolo (volontà di danneggiare) e colpa;
- conseguenze sulla vita del diffamato: si considerano le ripercussioni concrete sulla reputazione, sulla vita personale e professionale della vittima;
- eventuali rettifiche o scuse: l’intervento riparatorio del diffamante può influire sulla quantificazione del danno. Si pensi a una persona che, dopo aver postato una frase oltraggiosa, l’abbia subito cancellata.
Tipologie di gravità della diffamazione
L’Osservatorio di Milano ha individuato diverse fasce di gravità per la diffamazione, con importi risarcitori orientativi:
- diffamazione di tenue gravità: danno liquidabile tra 1.000 e 10.000 euro. Caratterizzata da limitata notorietà del diffamante, tenuità dell’offesa, minima diffusione e assente risonanza mediatica (Tribunale Ordinario Avellino, sez. 1, sentenza n. 1025/2018; Tribunale Ordinario Firenze, sez. 2, sentenza n. 18/2023; Tribunale Ordinario Tivoli, sez. 1, sentenza n. 1224/2021);
- diffamazione di modesta gravità: danno liquidabile tra 11.000 e 20.000 euro. Offesa di maggiore intensità, ma con diffusione e risonanza ancora limitate (Tribunale Ordinario Forlì, sez. S2, sentenza n. 32/2023);
- diffamazione di media gravità: danno liquidabile tra 21.000 e 30.000 euro. Offesa significativa con ampia diffusione e rilevante impatto sulla reputazione;
- diffamazione di elevata gravità: danno liquidabile tra 31.000 e 50.000 euro. Offesa grave con vasta diffusione e notevole risonanza mediatica;
- diffamazione di eccezionale gravità: danno superiore a 50.000 euro. Offesa estremamente grave con conseguenze devastanti per la vittima.
La prova del danno
È importante sottolineare che il danno non patrimoniale da diffamazione non è in re ipsa, cioè non si presume automaticamente dalla lesione subita. La vittima deve allegare e provare il danno, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. sent. n. 24737/2023).
La prova può essere fornita dimostrando:
- la diffusione dello scritto diffamatorio;
- la rilevanza dell’offesa;
- la posizione sociale e professionale della vittima;
- le conseguenze negative subite, come la perdita di opportunità lavorative o il deterioramento delle relazioni personali.
Nella pratica, i giudici applicano questi criteri per determinare l’importo del risarcimento. Ad esempio, in una sentenza del Tribunale di Milano, è stato riconosciuto un risarcimento di 15.000 euro per una diffamazione di modesta gravità, considerando la limitata diffusione e l’assenza di risonanza mediatica (sentenza n. 12169/2022).
In un altro caso, il Tribunale di Messina ha liquidato un danno di 10.000 euro per una diffamazione online, valutando la diffusione del post su Facebook, la specificità delle affermazioni e la posizione sociale della vittima (sentenza n. 1192/2023).
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