Il vertice di Parigi? Un flop

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«Il vertice di Parigi? Un fallimento annunciato. Macron non era in grado di mettere in campo nessuna alternativa rispetto all’iniziativa americana per il negoziato tra Mosca e Kiev», ragiona Lorenzo Castellani, storico e politologo della Luiss Guido Carli. La mossa di Emmanuel Macron sembra piuttosto dettata dalla disperazione, «il presidente francese, al solito, ha provato a correre ai ripari di fronte all’accelerazione americana, a dispetto della sua debolezza interna ed estera, ma ha sbagliato tutto». Alla fine, l’Europa riuscirà a farsi ammettere al tavolo delle trattative? «La vedo difficile», risponde Castellani, «la Ue non ha una sua politica estera e di difesa, non ha costruito nulla in questi anni, come il vicepresidente Usa J.D. Vance ha evidenziato alla conferenza di Monaco. Cosa è in grado oggi di offrire all’Ucraina come sostegno estremo in caso di attacco russo? L’invio dei soldati degli eserciti nazionali perché combattano al fianco degli ucraini? Una ipotesi irrealistica».

Domanda. Al summit ristretto convocato dalla Francia, il polacco Tusk ha detto no all’invio di soldati in Ucraina proposto dagli inglesi, dello stesso parere lo spagnolo Sanchez, il tedesco Scholz ha liquidato l’ipotesi come inopportuna, la Meloni ha frenato e ha detto no a un fronte anti Usa. Insomma…

Risposta. È stato un flop. E non poteva essere diversamente del resto, basta guardare chi era seduto al tavolo, a partire da chi ha convocato quel vertice.

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D. Cioè?

R. Macron è un presidente senza una maggioranza in Assemblea e con un consenso personale ai minimi storici. La Francia vive una delle crisi peggiori della sua storia, crisi economica e sociale, cresce la paura per gli immigrati, il pessimismo per il futuro, l’acredine verso le istituzioni e la politica. Macron ha provato a gestire il fallimento politico delle Europee 2024, tenendo fuori gli estremi di sinistra e di destra, ma non c’è riuscito, e alla debolezza nella politica interna somma l’irrilevanza in politica estera. Dal Covid ad oggi, a di là della retorica e delle intenzioni strategiche in cui è bravissimo, non ha portato a casa una iniziativa degna di nota.

D. Con il vertice di Parigi ha provato a battere un colpo?

R. Esatto, il presidente francese, al solito, ha provato a correre ai ripari di fronte all’accelerazione americana, ma ha sbagliato tutto, anche i tempi, lo ha fatto quando era ormai tardi e l’iniziativa è in mano a Donald Trump.

D. E la Germania?

R. L’altro paese forte sulla carta è in una crisi altrettanto drammatica, con un Cancelliere, Olaf Scholz, che non ha più un suo governo e che cederà a giorni il posto. Anche per i tedeschi, e non solo per i polacchi, l’idea di mandare propri uomini al fronte è irricevibile. Scholz ha ascoltato con distacco Macron e ha lasciato prima l’Eliseo per tornare a fare campagna elettorale.

D. Meloni invece è arrivata con un ritardo di quasi un’ora…

R. La premier italiana aveva capito subito che era un’iniziativa sbagliata, ma non poteva non andare al summit. Arrivando tardi, ha lanciato il segnale che non si sarebbe accodata, dando la priorità all’incontro a Roma con i prefetti. E ha subito chiarito a Macron che di fare un fronte anti Usa non se ne parla. Meloni vuole rafforzare il suo ruolo di anello di congiunzione tra l’Europa e gli Usa, era l’unica leader europea invitata alla cerimonia di insediamento di Trump e questo vuol dire molto.

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D. Restano gli inglesi, che sono più interventisti.

R. Keir Starmer ha una solida maggioranza ma ha notevoli problemi interni di consenso presso l’opinione pubblica, più di tanto non può spingere.

D. C’erano tanti assenti a quel tavolo.

R. Un altro errore di Macron, questa volta di metodo. Ha invitato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che non può decidere per i singoli paesi, e non il Portogallo o l’Ungheria o la Grecia che sarebbero poi chiamati a fare la loro parte.

D. Al vicepresidente americano Vance che poche ore prima da Monaco strigliava l’Europa per aver perso la sua identità, l’Europa come ha risposto da Parigi?

R. Facendo un autogol, dimostrando che non c’è, che ci sono interessi politici non allineati, che manca una volontà comune e reale. Del resto, la Ue non ha costruito nulla in questi anni dalla politica estera alla difesa. Cosa è in grado oggi di assicurare all’Ucraina come sostegno estremo in caso di attacco russo? L’invio dei soldati degli eserciti nazionali perché combattano al fianco degli ucraini? Una ipotesi irrealistica.

D. Il destino del conflitto è nelle mani di Trump?

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R. È nelle mani di Trump e di Putin, con un ruolo anche del cinese Xi Jinping, che giocheranno il primo tempo della partita, definendo i confini dei territori. Non dimentichiamo che se Zelensky avesse dovuto contare sulle armi e i finanziamenti europei per combattere Mosca, i russi sarebbero già arrivati a Kiev da un pezzo.

D. Alla fine l’Europa riuscirà a farsi ammettere al tavolo delle trattative?

R. La vedo difficile.

D. Siamo dunque fuori come conseguenza delle nostre scelte e dei nostri errori?

R. La mossa di Trump serve a mettere in mora la Ue ignorandola e chiedendo al tempo stesso che i finanziamenti per la Nato salgano al 5% del Pil. Anche perché il secondo tempo dell’affaire Ucraina-Russia, una volta fatta la pace, sarò solo europeo. Se ci sarà una guerra ibrida se la dovranno sbrigare gli europei, che sono responsabili agli occhi degli Usa del loro declino economico, militare e tecnologico.

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