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La sua aggressività obbliga il continente a ridefinire la propria identità. A maggior ragione considerando che tre crisi mondiali in corso (Gaza, Ucraina, il futuro delle corti internazionali) disegneranno la storia di questo secolo. A ora prevale, anche in Italia, un trumpismo di comodo. Ma cosa accadrà quando il presidente americano comincerà a ledere interessi forti, a minacciare interessi collettivi?
Date a Donald Trump altro tempo e forse riuscirà perfino a rianimare il patriottismo europeista, da lustri ridotto a fantasmino di sedute spiritiche in cui si evocano con rimpianto i Padri fondatori. Parrebbe un’impresa impossibile, ma non sottovalutate il presidente americano: basta vedere quel che sta accadendo in Canada.
Non v’era al mondo Paese meno ostile agli Stati Uniti e più disponibile a seguirli in tutte le avventure d’oltremare. Poi Trump ha imposto dazi offensivi e soprattutto ha proposto e riproposto l’idea di inglobare negli Usa il vicino, probabilmente mirando ai suoi giacimenti di terre rare, agli idrocarburi, all’arcipelago artico che controlla il Passaggio a nord-ovest. E all’improvviso il mite patriottismo canadese ha ruggito.
L’esempio del Canada
Adesso nei supermercati appaiono cartelli “Prodotto canadese” perché parte del pubblico rifiuta prodotti statunitensi; grandi quotidiani moderati avvertono che «il mondo democratico dovrà cavarsela senza l’America. Potrà addirittura essere costretto a difendersi da essa» (titolo del Globe & Mail); stando ai sondaggi, il trionfo dei conservatori nelle prossime elezioni non è più sicuro, il partito non risulta abbastanza ostile a Trump; e diventa per certi versi emblematico il caso del miglior amico di mio figlio – un pacifista! – che ha deciso di imparare a sparare nel caso occorra difendere la patria. In due settimane il Canada è cambiato. Cambieranno anche gli europei, e come?
Fino a ieri non era affatto chiaro in cosa consistesse l’identità europea. Politica e opinionismo indulgevano in formule come «i nostri valori», «la nostra civiltà (cristiana o giudaico-cristiana)», «il nostro stile di vita», che non avevano altro contenuto reale se non suggerire l’idea che non ci piacciono i musulmani (quali? Un po’ tutti).
Questa applicazione maccheronica del motto huntingtoniano «Non sappiamo chi siamo ma sappiamo cosa non siamo» non ci è stata di alcun vantaggio. Ha prodotto soprattutto malintesi e razzismo (inducendo a declinare la categoria “civiltà” come equivalente di “razza”). E risulta incapace di spiegare, per esempio, cosa tenga insieme i partiti rappresentati a Strasburgo, essendo perfino ciascun gruppo parlamentare una babele politica nella quale è difficile decifrare l’ubi consistam.
Se l’identità europea oggi è questo caos organizzato, grazie a Trump la tecnica di costruire un’identità per contrasto potrebbe dare esiti migliori.
Tre crisi mondiali
Dopotutto, quale migliore occasione per decidere cosa siamo o potremmo essere che le tre crisi mondiali in corso (Gaza, Ucraina, il futuro delle corti internazionali)? Contemporanee e sovrapponibili, disegneranno la storia di questo secolo. E tutto ciò che Trump ha messo in gioco sui tre fronti risulta urticante alle sensibilità europee. Deportare i palestinesi. Costringere con il ricatto l’Ucraina a cedere le sue terre rare e accettare una pace gradita all’invasore. Sabotare la Corte penale internazionale.
Nel mondo di Trump, di Putin e di Netanyahu conta solo la forza, popoli e confini si possono spostare invocando il diritto storico, e il primato della mia-nazione-first legittima un imperialismo brutale, autorizza il sovrano a sottomettere la legalità internazionale, rovescia l’universalismo dello stato di diritto liberale. Ecco tracciato il confine che potrebbe dirci cosa è europeismo e cosa il suo contrario.
Una narrazione euro-patriottica che aiuti a percepire come Anti-Europa non solo i soliti Hamas, Jihad, gli ayatollah e via precipitando, ma anche Trump, Putin e Netanyahu, non è un esercizio fine a sé stesso, semmai una condizione necessaria per procedere alle riforme che la Ue deve intraprendere se non vuole disintegrarsi.
Che si tratti di non abbandonare l’Ucraina, di inventare una difesa comune o di dover far fronte a dazi punitivi nel caso rifiutassero di finanziare il debito americano, i governi dell’Unione saranno chiamati a ricorrere a misure forti, talvolta impopolari. La razionalità che le motiva fatica a scaldare i cuori, a suscitare impeti.
La prospettiva che il continente diventi terra di conquista per giganti stranieri non pare impressionare ceti politici in genere modesti. Occorre un avversario che metta in moto sentimenti, avversioni, ripulsa. Trump è un dono della provvidenza.
Unamerican–uneuropean
C’è nel dizionario politico americano un aggettivo, “unamerican”, che indica valori e comportamenti contrari al patriottismo statunitense. A dimostrazione di quanto imberbe e fioco sia l’euro-patriottismo, nel continente non disponiamo di un termine equivalente. Eppure non sarebbe difficile definire cosa sia uneuropean, basta scorrere le imprese con le quali si presenta al mondo la nuova amministrazione americana. È uneuropean non solo la sua politica estera, ma anche quell’erodere le limitazioni al potere esecutivo (ne ha scritto Nadia Urbinati su queste pagine) col quale Trump snatura la democrazia liberale.
Sono uneuropean i trumpettieri che pullulano nella destra italiana, assai amichevoli anche verso Netanyahu e, se leghisti, verso Putin. È uneuropean la malevolenza verso Volodymyr Zelensky di chi seriamente lo liquida come un clown criminale per aver rifiutato di assoggettarsi a Mosca, ed esulta perché Putin e Trump tagliano fuori lui e l’Europa dai negoziati. È uneuropean l’atlantismo impettito e ossequioso che non frequenta il pensiero critico.
Ma è uneuropean anche l’antiamericanismo di tribù populiste, postsovietiche, terzomondiste, pacifiste, tanto più perché tra due anni le elezioni del mid-term potrebbero consegnare le due Camere statunitensi a un’America rinsavita. È uneuropean l’ostilità alla Corte penale internazionale, un’invenzione europea.
Negli anni scorsi due giudici internazionali che avevano irritato il governo israeliano hanno ritrattato all’improvviso, come fossero ricattati. Ora è nel mirino Karim Khan, il procuratore: troverà difensori in Europa? Sono uneuropean le violazioni più clamorose dei diritti umani, non ultime quelle praticate dall’Unione europea per scoraggiare i migranti irregolari: siamo sicuri che lo stato di diritto liberale non possa inventare soluzioni più coerenti alla propria natura? In altre parole, è uneuropean un’Italia trasversale e forse maggioritaria, in parlamento come nell’opinione pubblica.
Ma cosa accadrà quando Trump comincerà a ledere interessi forti, a minacciare interessi collettivi? Per smorzare l’euro-patriottismo basterà la solita brigata di opinionisti “atlantici” e magari il supporto di qualche psy-op? Il governo resterà devoto a Giano bifronte, di qua europeo e di là un po’ trumpiano, o dovrà accorgersi suo malgrado che Giano è il dio delle transizioni, dei passaggi, dei nuovi inizi? Nel Dopoguerra la politica italiana si adattò al riordino generale imposto dalla Guerra fredda e continuò a percepire il vincolo esterno anche in seguito, quando ormai il blocco orientale si era dissolto.
Mentre comincia l’era nuova gli Stati Uniti potrebbero farci l’ultimo favore: se Santo Donald riuscisse a dare slancio all’euro-patriottismo potremmo scoprire che siamo in grado di costruire da soli un Paese forte e libero.
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