Google versa 326 milioni al Fisco e la Procura chiede l’archiviazione

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Le Big Tech sfruttano legalmente una falla nella normativa alla quale ancora non si è trovato rimedio: «L’introduzione della Global Minimum Tax, promossa a livello Ocse, potrebbe limitare queste pratiche, imponendo un’aliquota minima del 15 per cento sui profitti delle multinazionali, indipendentemente dalla loro localizzazione fiscale», spiega il tributarista Sebastiano Stufano

Google non sarà perseguita penalmente in Italia, ma dovrà restituire al Fisco italiano 326 milioni di euro, per sanare le pendenze fiscali accumulate tra il 2015 e il 2019. L’accordo, raggiunto con l’Agenzia delle Entrate, mette fine a un’indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Milano in collaborazione con la Guardia di Finanza, che ha portato alla richiesta di archiviazione del procedimento penale nei confronti della società irlandese Google Ireland Limited, l’entità legale attraverso cui Google opera in Europa, con sede a Dublino, in Irlanda.

Questa struttura societaria consente al colosso tecnologico di beneficiare del regime fiscale irlandese, che offre aliquote più favorevoli rispetto ad altri Paesi europei.

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Le accuse della Procura

L’inchiesta della Procura di Milano ha evidenziato come Google, attraverso la sua infrastruttura tecnologica presente sul territorio italiano, avesse operato senza dichiarare correttamente i redditi generati nel Paese. In particolare, le indagini hanno rivelato l’esistenza di una cosiddetta “stabile organizzazione occulta di tipo materiale”, costituita da server e da un’infrastruttura tecnologica essenziale per la fornitura dei servizi digitali dell’azienda.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Google Ireland Limited avrebbe omesso di presentare le dichiarazioni fiscali sui redditi prodotti in Italia e di assolvere gli obblighi relativi alle ritenute sulle royalties corrisposte alle altre società del gruppo per l’utilizzo di marchi, algoritmi e altre proprietà intellettuali. Le somme contestate derivano principalmente dai ricavi ottenuti dalla vendita di spazi pubblicitari, che non sarebbero stati adeguatamente tassati in Italia.

Le regole OCSE e il meccanismo di elusione

L’accordo con il Fisco italiano si fonda sul principio che Google non abbia violato alcuna legge, ma abbia sfruttato le regole fiscali esistenti, basate su un quadro normativo OCSE costruito per l’economia tradizionale. Le imprese digitali non hanno necessariamente una presenza fisica nei Paesi in cui operano, il che permette loro di localizzare le sedi in giurisdizioni a fiscalità privilegiata.

Google ha la sua sede principale negli USA, ma per le operazioni nella regione EMEA ha costituito una holding in Irlanda, Ireland Holdings, che ha acquisito i diritti di sfruttamento dalla capogruppo americana. Successivamente, è stata creata una holding nei Paesi Bassi, che ha ricevuto in subconcessione i diritti di distribuzione per i Paesi EMEA e li ha successivamente concessi in licenza a Google Ireland Limited. «Questo meccanismo ha consentito di far confluire i ricavi in Irlanda, evitando una tassazione più elevata in Italia», spiega l’avvocato Sebastiano Stufano, esperto in contenziosi tributari e finanziari.

«La Guardia di Finanza ha individuato la sussistenza di una stabile organizzazione materiale localizzata in Italia facendo leva sull’esistenza dei data center sul territorio italiano, a Milano e Torino. Tuttavia, la struttura fiscale di Google si basa su concessioni e subconcessioni che permettono di ridurre i ricavi imponibili e di orientare le imposte verso giurisdizioni più favorevoli, da qui il raggiungimento di un accordo per il pagamento di una somma ben inferiore a quella inizialmente contestata, superiore al miliardo di euro». Questa situazione non costituisce un reato, poiché rientra nelle regole dell’elusione fiscale, piuttosto che in una vera e propria evasione.

Inoltre l’adesione al concordato con accettazione escludeva a priori la punibilità penale per Google, che ha quindi potuto risolvere la controversia senza ulteriori conseguenze legali, ma la non menzione del reato rientrerebbe nell’ottica della tutela del brand. Il caso di Google costituisce un precedente significativo, evidenziando le falle dell’attuale sistema fiscale internazionale. Le Big Tech sfruttano così legalmente una falla alla quale ancora non si è trovato rimedio: «L’introduzione della Global Minimum Tax, promossa a livello OCSE, potrebbe limitare in futuro queste pratiche, imponendo un’aliquota minima del 15% sui profitti delle multinazionali, indipendentemente dalla loro localizzazione fiscale», continua Stufano.

Il precedente del 2017

Non è la prima volta che Google si trova a dover regolarizzare la propria posizione con il Fisco italiano. Già nel 2017, il colosso di Mountain View aveva dovuto versare 306 milioni di euro, per chiudere un’altra indagine fiscale che riguardava il periodo tra il 2009 e il 2013.

Anche in quel caso, la questione ruotava attorno alla mancata dichiarazione dei ricavi prodotti nel nostro Paese e al trasferimento di profitti verso giurisdizioni a fiscalità più favorevole, riconducibili alla scelta di stabilire la sede legale dell’azienda sul territorio irlandese, pur realizzando profitti in Italia.

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Nello stesso periodo anche altre big tech, come Apple e Amazon, avevano accettato di sanare il contenzioso con il fisco italiano, versando somme del tutto irrisorie raffrontate ai loro fatturati. Un vulnus mai sanato, come dimostra l’accordo odierno.

L’accordo e il versamento Immediato

L’accordo in realtà è stato stipulato più di tre mesi, il 5 novembre 2024, ma è stato tenuto riservato da un accordo di segretezza, da mantenere fino alla conclusione dell’inchiesta della Procura. Al termine delle indagini e della procedura di accertamento con adesione, Google Ireland Limited ha deciso di chiudere la vicenda aderendo alla qualificazione dell’illecito in termini di elusione fiscale e abuso del diritto.

Ciò ha permesso di risolvere la disputa con il pagamento immediato dell’intera somma dovuta, pari a 326 milioni di euro, comprensiva di imposte, sanzioni e interessi. L’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate rappresenta un ulteriore sviluppo sul delicato e sempre dibattuto tema dell’elusione fiscale da parte delle multinazionali digitali: dopo il precedente del 2017, questo nuovo versamento segna un ulteriore capitolo nella battaglia per una maggiore equità fiscale nel settore digitale, affinché il rafforzamento delle normative internazionali possa rendere sempre più difficile per le multinazionali aggirare il pagamento delle tasse nei singoli Stati.

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