I casi di demenza potrebbero raddoppiare entro il 2060

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La probabilità di sviluppare demenza dopo i 55 anni sarebbe oggi del 42%, più del doppio rispetto ai dati riportati da studi precedenti, che significa che nei prossimi 40 anni, da qui al 2060, i casi di demenza potrebbero letteralmente raddoppiare.
Sono i risultati di un’ampia ricerca pubblicata su Nature Medicine e e condotta dalla New York University insieme nientemeno che alla Johns Hopkins University e ad altre istituzioni americane, che si basa su un ampio studio longitudinale: l’Atherosclerosis Risk in Communities Neurocognitive Study (ARIC-NCS), che dal 1987 segue la salute vascolare e la funzione cognitiva di quasi 16.000 partecipanti mentre invecchiano. Il progetto ha anche il merito di essere la coorte più longeva che abbia monitorato la salute cognitiva e cardiovascolare degli afroamericani.

Le previsioni parlano di un notevole aumento dei casi di demenza negli Stati Uniti nei prossimi decenni, con le proiezioni che indicano una crescita particolarmente marcata per le donne, gli afroamericani e le persone sopra i 75 anni. Dal 1987 al 2020 infatti, 3.252 partecipanti allo studio hanno sviluppato demenza, portando la stima del rischio di demenza nella vita a circa il 42%, con una divisione di rischio tra uomini (35%) e donne (48%). Gli scienziati attribuiscono la maggiore incidenza nelle donne alla loro maggiore aspettativa di vita rispetto agli uomini.

Un aspetto fondamentale emerso dallo studio è che il rischio di demenza è maggiore tra gli adulti afroamericani e tra i portatori di una variante del gene APOE4, che si ritiene sia il principale fattore genetico di rischio per l’Alzheimer tardivo. Le persone con questa variante hanno un rischio di sviluppare demenza che può variare dal 45% al 60%.

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Il rischio in Italia

Secondo le stime basate sulla popolazione residente al 1° gennaio 2023, in Italia ci sarebbero 1.1 milioni di persone di 65 anni e oltre affette da demenza. A questi si aggiungono 23.730 casi di demenza giovanile, ovvero nella fascia di età compresa tra i 35 e i 64 anni. Anche il numero di persone con MCI (Mild Cognitive Impairment, o compromissione cognitiva lieve) è rilevante, con una stima di circa 952 mila individui.
Anche la popolazione straniera residente in Italia è colpita da questi disturbi: si stimano 10.351 casi di demenza tra gli over 65, e 1.463 casi di demenza giovanile. Per quanto riguarda le persone con MCI, il dato tra gli stranieri è di circa 23.893.
Nel complesso, il fenomeno della demenza e del MCI coinvolge circa 6 milioni di italiani. Questo numero comprende non solo le persone direttamente affette ma anche i familiari che si prendono cura di loro, stimati in circa 4 milioni, sulla base della composizione media dei nuclei familiari, che nel 2022 era di 2,3 persone per famiglia (dati ISTAT).
Il costo annuale per la società italiana di questa condizione, tra assistenza sanitaria, supporto familiare e risorse destinate alla cura, è significativo. Un’analisi condotta dal gruppo di ricerca Economic Evaluation and HTA (EEHTA) del Centre for Economic and International Studies (CEIS) dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha calcolato che la spesa totale per demenza e MCI si aggira intorno ai 23 miliardi di euro all’anno.

Che cosa si può fare? La riserva cognitiva

Uno dei concetti fondamentali nella lotta contro il declino cognitivo è quello di riserva cognitiva, ossia la capacità del cervello di compensare i danni neurologici e ritardare l’insorgenza dei sintomi. La ricerca scientifica ha dimostrato che chi mantiene il cervello “allenato” nel corso della vita, fin dalla giovane età, ha una maggiore riserva cognitiva e quindi una mente più resistente agli effetti del deterioramento.
In particolare, studi hanno rivelato che un’alta scolarità è un fattore protettivo importante contro il decadimento cognitivo, molto più di una bassa istruzione. Altre pratiche che favoriscono la costruzione di questa riserva includono l’essere bilingui o avere una formazione musicale.
Le 12 cose da non fare per prevenire la demenza

Nel luglio 2020 è stato pubblicato un caposaldo della letteratura scientifica sulle dinamiche di prevenzione delle demenze. Stando ai risultati ottenuti, lavorando su 12 fattori di rischio si potrebbe prevenire o ritardare fino al 40% delle demenze. I fattori di rischio che incidono sull’insorgenza di demenza sono: consumo di alcol, traumi cranici, l’inquinamento atmosferico, il fumo, l’istruzione, i problemi di udito, l’obesità, la depressione, l’ipertesione, la sedentarietà, il diabete non controllato bene, l’isolamento.

Perché viene l’Alzheimer?

In realtà ancora non si sa perché alcune persone sviluppano l’Alzheimer, la forma di demenza più diffusa, e altri no. In anni più recenti, la ricerca ha anche esaminato il ruolo delle infezioni nei processi di neurodegenerazione. Alcuni casi di Alzheimer sono stati infatti diagnosticati come secondari a infezioni, come la sifilide, una malattia infettiva sessualmente trasmissibile che, trattandosi di un’infezione batterica, potrebbe essere curata con antibiotici. Inoltre, nelle forme giovanili della malattia, la genetica gioca un ruolo cruciale: la presenza di fattori familiari o di malattie rare, come la malattia di Huntington, può essere un indicatore significativo.
Un altro elemento determinante è il polimorfismo del gene APOE4, che sembra accelerare l’accumulo di beta-amiloide nel cervello, un fenomeno centrale nello sviluppo della malattia.
Queste scoperte spiegano in parte perché, nonostante i progressi, non esistano ancora farmaci risolutivi per l’Alzheimer. Sebbene nuovi farmaci siano in grado di rallentare l’accumulo di amiloide, non sono ancora efficaci nel fermare la progressione clinica della malattia.

Disparità etniche e politiche sanitarie

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Oltre all’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei casi di demenza solleva preoccupazioni per le disparità etniche nel trattamento sanitario, anzitutto negli Stati Uniti. Mentre i casi di demenza tra la popolazione bianca sono destinati a raddoppiare nei prossimi decenni, tra gli afroamericani il tasso è destinato a triplicare.



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