La Germania al voto tra populismo e crescita della destra radicale

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Alla vigilia di uno degli appuntamenti elettorali più importanti nella storia della Repubblica Federale tedesca, il discorso del vice-presidente degli Stati Uniti James D. Vance alla conferenza sulla sicurezza di Monaco ha contribuito a rendere il clima pre-elettorale ancora più teso. Le reazioni al discorso del vice-presidente – un’esplicita legittimazione della AfD, seguita dall’incontro con la leader del partito e candidata cancelliera Alice Weidel – non si sono fatte attendere. Olaf Scholz, cancelliere uscente e candidato socialdemocratico della SPD, ha rigettato le interferenze nella politica interna tedesca. Lo stesso Merz si è dichiarato irritato, anche se non sorpreso, dall’intervento di Vance, ampiamente preannunciato da un’intervista al Wall Street Journal nella quale il vice presidente esortava i partiti tedeschi a rompere il cordone sanitario e a collaborare con la AfD. Il ricompattamento sulla protezione dalle ingerenze esterne, però, è durato poco. Il dibattito televisivo tra i quattro candidati cancellieri dei partiti più rilevanti – Olaf Scholz, SPD; Friedrich Merz, CDU/CSU; Robert Habeck, Verdi; Alice Weidel, AfD – ha riproposto un quadro ormai delineato da settimane. A dispetto della grave recessione economica e della perdita della Repubblica federale tedesca di quel ruolo chiave nelle relazioni internazionali che i sedici anni di cancelleria Merkel le avevano consegnato, il tema centrale della campagna elettorale è la lotta alla migrazione illegale e la crescente insicurezza percepita dai cittadini tedeschi. A contribuire a questo stato di cose sono tre principali fattori.

Il primo è la progressiva crescita di rilevanza della AfD. Il partito di destra radicale populista ha saputo, nel corso di poco più di un decennio di vita, differenziare la sua piattaforma programmatica, rispondendo e dando forma alle inquietudini di un elettorato ormai disilluso da formule politiche – dalla Grande Coalizione CDU/CSU-SPD alla attuale “coalizione semaforo” tra SPD, Verdi e Liberali – percepite come incapaci di affrontare i grandi nodi di una società, oltre che di una democrazia, in profondo cambiamento. La formula vincente della AfD è attualmente composta, oltre che dalla richiesta di re-migrazione delle persone entrate illegalmente in Germania, qualsiasi sia il loro status, da una rigida avversione contro le politiche del Green Deal, dalla lotta senza quartiere all’ideologia di genere, e dalla richiesta di potenziamento dell’ambito d’azione e del ruolo delle forze dell’ordine. A fare da sfondo a queste tematiche – tipiche del populismo di destra in Europa e non solo – è una retorica che sul piano economico è capace di coniugare gli endorsment del plurimiliardario Elon Musk con l’immagine idealizzata evocata da Alice Weidel del ritorno degli operai alla catena di montaggio per la produzione di macchine con motore a combustione. La contrapposizione tra la vituperata “isteria verde” rappresentata dalla produzione delle auto-elettriche come simbolo delle politiche per l’abbattimento delle emissioni inquinanti e il ritorno alla produzione del prodotto simbolo della Germania “locomotiva d’Europa” ci dice molto della difficoltà di AfD di proporre un piano di azione convincente che sia in grado di affrontare la grave crisi economica della Germania. Si tratta però di una difficoltà che il partito non ha mai dovuto affrontare, essendole preclusa la partecipazione ai governi a livello regionale e federale, per via dell’accordo sul mantenimento del cordone sanitario nei confronti di un partito ciclicamente attenzionato dall’organo di protezione costituzionale, che sorveglia le derive estremiste della AfD, soprattutto nella sua componente organizzativa dei Länder orientali.

Il secondo fattore che ha contribuito a fare della migrazione il tema principe della campagna elettorale è stato proprio il comportamento strategico del leader e candidato cancelliere della CDU-CSU, Friedrich Merz. Espressione del mondo economico e della finanza, avversato da Angela Merkel, Merz è riuscito a conquistare la segreteria del partito dopo la disastrosa performance dei cristiano-democratici alle elezioni federali del 2021. Distante sideralmente da Angela Merkel, colpevole a suo dire di aver spostato il partito su posizioni eccessivamente centriste e di aver contribuito alla polarizzazione sul tema dell’immigrazione con la nota decisione di permettere l’ingresso a più di un milione di rifugiati tra il 2015 e il 2016, Merz ha aspettato pazientemente lo sgretolamento della debole alleanza semaforo, lanciando i propri strali di volta in volta contro il Cancelliere Scholz, e contro i Verdi, che con il ministro dell’economia Robert Habeck, avrebbero condotto a una grave deindustrializzazione dell’economia tedesca. Il ruolo di opposizione e la riconquista di una posizione spostata a destra rispetto al baricentro centrista di Angela Merkel hanno premiato la candidatura di Merz e la percezione della CDU/CSU, stabilmente rappresentata dai sondaggi di opinione fin dalle settimane precedenti all’avvio della campagna elettorale come primo partito con circa il 30% delle intenzioni di voto.

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A spiegare l’azzardo del passaggio di una risoluzione parlamentare sulla restrizione della migrazione con il sostegno e i voti di CDU/CSU e AfD è stata la inarrestabile drammatizzazione del tema della sicurezza dopo i fatti violenti della città di Aschaffenburg, dove il 22 gennaio un uomo e un bambino sono stati feriti a morte da un cittadino afghano già raggiunto da un decreto di espulsione. Il tragico fatto, preceduto dall’attacco al mercatino di Natale di Magdeburgo e seguito, come sappiamo, dall’attentato di Monaco del 13 febbraio, ha convinto Merz della necessità di presentare il proprio partito come campione dell’intransigenza contro l’immigrazione illegale. La votazione della risoluzione della CDU-CSU con il sostegno della AfD è stata molto commentata. A essere meno commentato, invece, è stato il fatto che nel corso del tesissimo dibattito parlamentare siano state discusse altre due risoluzioni. Una della AfD che è stata respinta da tutti i gruppi parlamentari, con l’astensione del nuovo partito populista di sinistra Bündnis Sahra Wagenknecht (Alleanza Sahra Wagenknecht) e una dai liberali della FDP, per la quale ha votato anche il gruppo BSW e sulla quale AfD si è astenuta. Come sappiamo, la AfD ha poi spostato i propri voti sulla proposta di risoluzione presentata dalla CDU-CSU, determinandone l’approvazione. La lettura delle tre proposte restituisce un’immagine nitida della convergenza di quattro partiti (Afd; CDU-CSU; FDP; BSW) su proposte di severa limitazione alle politiche migratorie della Germania, con differenze che non hanno impedito convergenze inedite tra gruppi parlamentari anche molto distanti tra loro.

Il terzo fattore è il tentativo di combattere il populismo con il populismo, non solo attraverso lo spostamento a destra della CDU/CSU. La centralità del tema dell’immigrazione è lo specchio della mancanza di alternative a un sentimento diffuso di sfiducia nelle classi politiche, ritenute prive di una iniziativa politica trasformativa, sia in politica interna che in politica estera e nelle relazioni internazionali. La nascita del partito personale di Sahra Wagenknecht, che combina posizioni anti-establishment, proposte di limitazione dell’immigrazione, cessazione dei conflitti internazionali con una posizione ambigua sulla Russia di Putin, trova su questi temi un terreno comune – almeno di massima – con AfD, dalla quale però si differenzia sul piano delle proposte economiche. A creare un nuovo terreno di convergenza con AfD è ancora una volta la critica alla deindustrializzazione della Germania e la richiesta di BSW di permettere l’importazione di energia “secondo il criterio del prezzo più basso”. Un chiaro riferimento al gas russo.

I sondaggi pre-elettorali delle ultime settimane mostrano una certa stabilità. La CDU/CSU – attualmente data attorno al 29-30% – sembra non aver perduto né guadagnato dalla strategia di avvicinamento alla AfD, subito corretta da Merz che ha più volte ribadito di non contemplare la possibilità di alleanze elettorali con il partito di Alice Weidel. Le manifestazioni di massa in molte città tedesche contro il rischio di virate anti-democratiche del sistema politico tedesco non sembrano aver avvantaggiato né la SPD né i Verdi, ancorati rispettivamente al 15% e al 13%. BSW, i liberali della FDP e la Linke sono ancora in bilico sul superamento della soglia di rappresentanza del 5%. Dei tre partiti è però la Linke la formazione che, nelle ultime settimane, sta registrando un notevole aumento di gradimento, testimoniato anche da una mobilitazione elettorale che fa perno sui temi della giustizia sociale attraverso la forza comunicativa e l’uso professionale dei social media della giovane deputata del Land orientale della Sassonia Anhlat Heidi Reichinnek. C’è da chiedersi se l’abbandono di Sahra Wagenknecht abbia costituito per la Linke un sollievo dagli eccessi di personalizzazione e di populismo della carismatica politica. In questo scenario di strategie comunicative improntate al populismo, sembra essere questo l’unico segnale di inversione di rotta. I risultati di domenica 23 febbraio diranno il resto.



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