Ungheria e Stati Uniti: quale riavvicinamento nel Trump 2.0?

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Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca inciderà profondamente nell’Europa centro-orientale. L’Ungheria può potenzialmente beneficiare dal nuovo corso degli USA dato l’allineamento politico tra il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán, e Trump. Tuttavia, i rapporti tra Budapest e Washington rimangono tutt’altro che semplici e lineari.

La seconda presidenza di Donald Trump ha iniziato un processo di riallineamento diplomatico in direzione transazionale nell’Europa centro-orientale. Il maggior sostenitore del nuovo status quo è il Primo Ministro (PM) ungherese, Viktor Orbán, il quale ha definito la vittoria di Trump come “la più grande rimonta della storia” e l’insediamento di quest’ultimo come “il nostro tempo di occupare Bruxelles”. Tuttavia, un dato che è saltato all’occhio degli osservatori è stata l’assenza del PM magiaro alla cerimonia di insediamento di Trump mentre altre personalità politiche provenienti dell’Europa centro-orientale, come l’ex PM polacco Mateusz Morawiecki, erano presenti.

Andando oltre alle formalità, la posta in gioco per la regione è alta. Sotto un profilo securitario, l’invito choc di Trump di portare il burden sharing della NATO fino al 5% del PIL dei singoli Stati membri ha sollevato profonde preoccupazioni. Difatti, la maggior parte dei Paesi dell’area non è in grado di soddisfare quella condizione minando la coesione dell’Alleanza Atlantica. Tale rischio va considerato anche alla luce della minaccia di Trump di lasciar fare alla Russia “ciò che diavolo vuole” se non viene rispettato il burden sharing. Anche sotto un profilo di tenuta democratica dell’Europa centro-orientale, lo scenario è problematico. L’allineamento di Trump verso leader illiberali, infatti, può favorire la proliferazione di svolte nazionaliste nella regione sulla scia di quanto accaduto in Ungheria. Budapest può rinvigorire il suo antagonismo con l’Unione Europea sulle questioni legate allo stato di diritto, l’indipendenza della magistratura e il rispetto delle libertà civili.

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Nel periodo post-Guerra Fredda, Budapest ha rappresentato sempre un interlocutore secondario per gli USA rispetto ad altri partner europei dell’area come la Polonia e le Repubbliche Baltiche. Nonostante gli investimenti economici statunitensi fossero stati importanti per la transizione post-socialista dell’Ungheria e Budapest fosse diventata membro NATO dal 1999, i rapporti politici e securitari tra i due Stati rimasero circoscritti alla sola questione dei Balcani Occidentali.

La vittoria di Orbán nel 2010 sollevò preoccupazioni riguardanti la tenuta democratica del Paese. La vicepresidente USA dell’epoca, Hillary Clinton, criticò aspramente le riforme illiberali del PM magiaro. A preoccupare maggiormente Washington, tuttavia, fu la c.d. “Apertura ad Oriente” (Keleti Nyítás), la strategia economica e di politica estera verso i Paesi emergenti. Nello specifico, la Casa Bianca vide la nuova politica estera-economica ungherese come un allontanamento dall’Occidente a favore di rapporti più stretti con Cina e Russia.

Nel 2016, la vittoria di Trump fu accolta con entusiasmo a Budapest, considerata un’opportunità per ristabilire i rapporti deteriorati con l’amministrazione di Barack Obama. Segnali di questo riavvicinamento si ebbero nel 2018 quando il Segretario di Stato, Mike Pompeo, e il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, si incontrarono a Washington per discutere di “aree di interesse reciproco”. Il 13 maggio 2019, questo riavvicinamento culminò nella storica visita di Orbán alla Casa Bianca per celebrare il ventesimo anniversario dell’adesione di Budapest alla NATO e discutere di temi legati alla cooperazione economica e di sicurezza nella regione su tutti la questione ucraina, le minacce cyber, le politiche commerciali tra i due Paesi e il contenimento di Mosca e Pechino nell’Europa centrorientale.

I principali risultati di questo avvicinamento furono: l’aggiornamento, nell’aprile 2019, dell’Accordo di Cooperazione per la Difesa del 1997; la firma della dichiarazione ungherese sulla cooperazione con le forze armate; l’acquisto da parte di Budapest di un sistema di difesa aerea a medio raggio; l’impegno dell’Ungheria ad aumentare la spesa per la difesa al 2% del PIL entro il 2024, obiettivo effettivamente raggiunto secondo l’ultima rilevazione NATO; e la decisione di incrementare la partecipazione dei soldati ungheresi alle missioni all’estero.

Nel 2020, il cambio di amministrazione negli USA gelò le relazioni tra i due Paesi. Il presidente democratico, Joe Biden, dimostrò diffidenza verso Orbán a causa della diversità ideologica e del non celato supporto del PM magiaro verso i Repubblicani. La diffidenza divenne ostilità dopo l’invasione russa dell’Ucraina data la posizione free-rider dell’Ungheria non solo nel supporto a Kyiv ma anche nei suoi tentativi di indebolire la politica delle sanzioni dell’UE e nel complicare il processo di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia. 

Le tensioni durarono fino alla fine dell’amministrazione democratica quando, il 7 gennaio 2025, Washington sanzionò Antal Rogán, uno dei collaboratori di spicco del gabinetto di Orbán, con l’accusa di corruzione e state capture. Su Facebook, il Ministro degli Esteri ungherese etichettò la decisione come “vendetta personale” aggiungendo che nella prossima amministrazione USA ci sarebbero state persone che “vedono l’Ungheria come alleato e non come nemico” in riferimento al ritorno di Trump.

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La vittoria di Trump rappresenta certamente una scommessa vinta per Orbán. Difatti, dal 2020 ad oggi, il PM ungherese e la sua cerchia politica hanno sviluppato legami con i circoli MAGA. Tale operazione rende Orbán un “Trump whisperer” ossia un interlocutore privilegiato della nuova amministrazione trumpiana. Tale posizione è vantaggiosa per il PM ungherese per due motivi. Da un lato, a livello domestico, il suo governo può aumentare la pressione nei confronti dei suoi critici in vista delle elezioni del 2026, soprattutto perché dovrà affrontare un nuovo sfidante, Péter Magyar e il suo partito Tisza. Dall’altro, Budapest può trattare in Europa da una posizione di forza in quanto vengono meno i tentativi degli Stati Membri europei di frenare il suo atteggiamento free-riding specialmente nel dossier ucraino.

Tuttavia, Budapest ha due questioni impellenti da risolvere. In primo luogo, il titolo di “Trump whisperer non è totalmente in mano ad Orbán. Altri leader conservatori aspirano ad essere un “ponte illiberale” tra le due sponde dell’Atlantico, su tutti la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, e il presidente polacco Andrzej Duda. Meloni è in vantaggio non solo a livello simbolico data la sua partecipazione all’insediamento di Trump mentre Orbán era assente ma anche pratico perché il legame Roma-Washington è storicamente più profondo, duraturo ed importante per la politica estera statunitense rispetto a quello con Budapest.  

Inoltre, l’avvicinamento alla Cina è l’elemento più critico nei rapporti tra Ungheria e Stati Uniti. Infatti, Orbán ha mostrato un atteggiamento aperto nei confronti di Pechino in ambito economico e non solo. Difatti, il 9 maggio 2024, Budapest ha siglato la Partnership Strategica “All-Weather in cui Budapest riconosce la One China Policy in senso favorevole alla Repubblica Popolare. Ciò cozza con la politica ostile degli USA nei confronti della Cina e problematizza una risposta euro-atlantica in caso di invasione di Taiwan isolando Budapest ancora di più rispetto al recente passato. 

Perciò, il futuro dei rapporti Washington-Budapest appare tutt’altro che scontato e indirizzato verso il meglio per l’Ungheria. Per il PM magiaro, sarà determinante bilanciare il free-riding nazionalistico con l’appartenenza al framework economico-securitario dell’Occidente per tutelare l’interesse nazionale del suo Paese.





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