Torna a Lagonegro l’inchiesta sull’omicidio del 42enne Di Lascio di Lauria scomparso a novembre 2017: il caso è riaperto
POTENZA – Ripartono da zero le indagini sull’omicidio di Mariano Di Lascio, il 42enne di Lauria scomparso nel nulla il 21 novembre del 2017. Fino al ritrovamento del corpo, sette mesi più tardi, avvolto in un telo di cellophane sigillato con del nastro adesivo nel bosco di contrada Canicella. Col cranio mutilato da una fucilata, mortale, esplosa da distanza ravvicinata.
Fonti giudiziarie confermano al Quotidiano che all’inizio del mese il procuratore capo di Lagonegro, Gianfranco Donadio, ha ascoltato personalmente alcuni familiari e conoscenti di Di Lascio. Pochi giorni prima del pensionamento per raggiunti limiti d’età, che è scattato la scorsa settimana. Da questo punto in avanti, insomma, toccherà a un altro magistrato del centro valnocino portare avanti l’inchiesta.
La decisione di riaprire il caso è arrivata in seguito alla restituzione degli atti dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza.
Nell’estate del 2018, infatti, il Quotidiano aveva rivelato l’attività di “informatore” di Di Lascio che aveva persino registrato alcune delle sue “confidenze” telefoniche a un sottufficiale dei carabinieri di Lauria, coinvolto in precedenza in un’inchiesta sugli affari di uno dei più potenti clan di ‘ndrangheta, i Muto di Cetraro, attivi in tutta la zona sud della Basilicata.
In quelle registrazioni si sente chiaramente Di Lascio parlare di traffici di droga, prestiti a strozzo, bische clandestine frequentate tra strani personaggi calabresi a Lauria e dintorni, ma anche di spostamenti e frequentazioni di persone considerate “d’interesse investigativo” dal suo amico carabiniere, e relazioni extra-coniugali scoperte in paese. Di qui il sospetto che il 42enne fosse stato punito per le sue “soffiate” da esponenti della criminalità organizzata.
Ad aprile del 2019 gli inquirenti potentini avevano disposto anche una perquisizione nei confronti di due compaesani della vittima, indagati per omicidio e sequestro di persona aggravati dal metodo mafioso. Col passare dei mesi, però, quei sospetti fondati sulle minacce che Di Lascio denunciò di aver ricevuto da uno dei due indagati, si sono affievoliti. Così è arrivata l’archiviazione delle ipotesi d’accusa e le carte sono ripartite da Potenza in direzione Lagonegro.
Al momento della sua scomparsa Di Lascio risiedeva ancora con i genitori, non aveva un’occupazione stabile ed era in debito con diversi conoscenti e amici di ai quali spesso chiedeva soldi con vari sotterfugi per le sue esigenze quotidiane. Dopo essere finito a processo per un tentativo di truffa a una finanziaria.
Proprio per questa sua esposizione debitoria, fino a quando non è saltato fuori il corpo, in molti avevano pensato che fosse scappato chissà dove per non pagare i debiti accumulati.
Dopo l’omicidio, però, sono state diverse le stranezze emerse sul suo conto. Oltre al ruolo di “informatore” dei carabinieri. Come l’archivio di cambiali a suo favore del valore di decine di migliaia di euro di provenienza misteriosa trovato nella sua abitazione. Scritture private firmate da diversi insospettabili del posto, professionisti e semplici casalinghe, che evidentemente avevano trovato in lui un riferimento a cui rivolgersi per chiedere denaro in prestito.
Il dubbio che si è fatto largo, pertanto, è che si fosse offerto come intermediario e garante dei prestiti a finanziatori che preferivano restare nell’ombra. Non necessariamente persone di Lauria, dal momento che in paese Di Lascio era noto come una persona alquanto inaffidabile capace di perdere fortune al gioco.
Tra le poche certezze a disposizione degli investigatori resta la dinamica dell’accaduto, ricostruita grazie a una serie di elementi univoci, o quasi.
Il 42enne sarebbe stato raggiunto a ridosso dello svincolo autostradale di Lauria, dove è stata ritrovata la sua auto (chiusa a chiave) da qualcuno che conosceva. Lì dove i cani addestrati a ritrovare le persone scomparse hanno perso la sua traccia olfattiva.
Di Lascio sarebbe salito in un mezzo di trasporto con questa, o con queste persone, per essere portato in un luogo adatto alla sua esecuzione, a freddo, con un colpo di fucile da distanza ravvicinata. Poi il suo corpo sarebbe stato avvolto nel cellophane, caricato in auto e scaricato nel bosco sul bordo di una stradina interna conosciuta soltanto a pochi frequentatori della zona. In un punto dove sette mesi dopo è stato scoperto da un cercatore di funghi.
Difficile che a fare tutto questo possa essere stata una sola persona, senza particolare dimestichezza con situazioni simili. Questa la tesi più accreditata tra gli inquirenti finora.
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