Processo Cella, biforcazioni nelle indagini e bocche cucite: gli investigatori dell’epoca in aula

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L’omicidio di Nada Cella, uccisa nel 1996 a Chiavari, è di nuovo al centro dell’attenzione grazie a nuove rivelazioni. Intercettazioni, testimonianze e vecchi tabulati telefonici stanno portando a una rianalisi dell’inchiesta, che evidenzia errori e tracce trascurate. Durante il processo contro Anna Lucia Cecere, Marco Soracco e sua madre Marisa Bacchioni, gli investigatori hanno sottolineato come l’ex PM Filippo Gebbia non avesse condiviso con la polizia informazioni su un’indagine parallela dei carabinieri, una rivelazione che potrebbe cambiare la comprensione del caso.

Telefonata di Soracco ammessa nel processo – La Corte d’Assise ha deciso di acquisire agli atti una telefonata del 31 maggio 1996 in cui Marco Soracco diceva al suo avvocato Massimo Ansaldo che la “misteriosa donna” citata nei giornali era “l’amica del corso di ballo”, cioè Anna Lucia Cecere, attuale imputata per l’omicidio. I giudici hanno stabilito che il contenuto della chiamata non rientra nel segreto professionale, trattandosi di uno sfogo personale, come se fossero due amici a parlare. Gli avvocati di Cecere e Soracco, Gianni Roffo e Andrea Vernazza, si erano opposti all’ammissione della prova, senza successo.

Il mistero delle indagini parallele – Il PM Filippo Gebbia, che coordinava le indagini sull’omicidio di Nada Cella nel 1996, ha gestito due canali investigativi separati che non si sono mai comunicati tra loro. Sebbene i carabinieri stessero seguendo una pista parallela, quella di Anna Lucia Cecere, gli investigatori della polizia lo scoprirono solo accidentalmente, senza che il PM li informasse ufficialmente. In aula, l’ex dirigente del commissariato di Chiavari, Pasquale Zazzaro, ha sottolineato che il magistrato avrebbe dovuto comunicare queste informazioni. Le indagini furono anche segnate da omissioni e ritardi, come la mancata ispezione degli appartamenti vicini e la pulizia della scena del crimine da parte della madre di Soracco, che alterò le prove cruciali. Inoltre, l’ex capo della sezione omicidi della squadra mobile, Giuseppe Gonan, ha espresso stupore e irritazione per non essere stato informato dal PM, dichiarando che “avrebbe dovuto informarci”. Gonan ha anche raccontato di come, durante le indagini, si trovò a scontrarsi con il segreto confessionale opposto da un frate, che aveva informazioni rilevanti sul caso ma inizialmente rifiutò di rivelarle. Dinamiche difficili per riuscire a snodare questa situazione già allora intricata. 

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Il segreto confessionale e l’intermediario misterioso – Un altro elemento emerso riguarda il coinvolgimento di un frate, Lorenzo, che si rifiutò di fornire informazioni chiave a causa del segreto confessionale. Secondo quanto riportato da Gonan, alla polizia era giunta una segnalazione su una persona che avrebbe agito da intermediaria per qualcun altro intenzionato a parlare dell’omicidio. L’intermediaria dichiarò che l’assassina di Nada Cella fosse una donna. Il dirigente si recò personalmente in convento, ma il frate si rifiutò di collaborare, dichiarando che “non poteva”. Successivamente, il convento fu messo sotto intercettazione, durante la quale si sentì un altro frate dire, nel corso di una conversazione che riguardava tutt’altro: “Non dire queste cose, la polizia ci ascolta… Sì, potrebbe farsi viva quella che ha ucciso Nada Cella.”

Una scena del crimine inquinata – Gli agenti che per primi entrarono nello studio del commercialista Marco Soracco descrissero una scena caotica. L’ex agente Luciano Campodonico ricordò di aver visto sangue già dal portone, poi nelle scale e poi nello studio sui muri  s9ui mobili. Gonan aggiunse: “La scena era già un disastro: i soccorritori l’avevano alterata e all’ingresso c’era acqua mescolata a sangue perché la Bacchioni aveva iniziato a pulire.” Nada Cella fu trovata agonizzante da Soracco, che chiamò i soccorsi e successivamente sua madre che si mise a pulire pensando fosse il “suo dovere”. Il commissario Pasquale Zazzaro riferì che, al momento dell’arrivo della polizia, la scrivania e la sedia erano state spostate dai soccorsi e che le gocce di sangue fuori della sena del delitto erano sicuramente dovuto allo spostamento del corpo di Nada nel trasportarla in ospedale. I primi agenti testimoniarono di aver visto Bacchioni lavare il pavimento con uno straccio e poi strizzare questo straccio nel lavandino al loro arrivo. Secondo il commissario Zazzaro, che fu il primo a raggiungere l’ospedale per raccogliere informazioni, le condizioni della vittima escludevano un malore accidentale e facevano propendere per un’aggressione.  Nonostante lo studio fosse stato oggetto di un’aggressione violenta, non risultavano segni di effrazione né erano stati sottratti oggetti di valore.

Un po’ prima delle 9.20 – Leonardo Famà, operatore radio della polizia di Chiavari, ha confermato di aver ricevuto la chiamata d’emergenza delle 9:20, in cui Marco Soracco riferiva di aver trovato la segretaria in un bagno di sangue. Quando Soracco chiamò i soccorsi alle 9:20, l’ambulanza della Croce Verde di Chiavari e una pattuglia della polizia arrivarono rapidamente sul posto. Tassinari ha confermato di aver mandato una volante per un primo sopralluogo.  Da allora la pattuglia ha iniziato il suo lavoro, e chiamato la scientifica. Nel palazzo di via Marsala, la signora Lavagno, vicina di casa, detta la “portinaia” perché spiava sempre i movimenti nel condominio; ha riferito di aver sentito un rumore forte, un “tonfo” alle 9:01, seguito da passi sulle scale. Un’altra vicina ha dichiarato di aver udito acqua scorrere nello studio poco dopo l’ora del delitto. Soracco arrivando nello studio circa le 9.05/9.10, dichiarò di aver trovato la luce accesa nello studio come al solito quando c’era un cliente ma ha poi insospettito qualcosa dal telefono che squillava senza risposta, si era recato a controllare, facendo la macabra scoperta. 

Le domande ancora senza risposta – Le nuove testimonianze sollevano dubbi sul coordinamento delle indagini e sulle possibili omissioni. Chi era la persona che voleva parlare con il frate? Perché l’ex pm non condivise informazioni cruciali? Il processo in corso potrebbe finalmente dare risposte a questi interrogativi.

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