Venerdì 21 febbraio 2025 il tribunale commerciale dell’Alta Corte di Giustizia si è pronunciato sul caso “Athena v Holy See”, ovvero il caso che riguarda la complessa controversia commerciale tra le società di Raffaele Mincione — Athena Capital Fund SICAV-FIS SCA, Athena Capital Real Estate and Special Situations Fund 1, WRM Capital Management SARL e Raffaele Mincione — e la Segreteria di Stato della Santa Sede.
I fatti
Tra il 2013 e il 2014, la Santa Sede investì circa 200,5 milioni di dollari in un fondo gestito da Athena Capital. Questo investimento riguardava principalmente un immobile situato al 60 di Sloane Avenue, Londra.
Come ripercorre il giudice nella sentenza, inizialmente il fondo prevedeva investimenti in petrolio in Angola, ma poi l’attenzione si spostò sul progetto immobiliare londinese. La Santa Sede, in seguito a preoccupazioni sulla gestione dell’investimento, decise di acquisire direttamente l’intera proprietà.
Come noto, nello Stato della Città del Vaticano si è aperto un procedimento penale (al momento si è concluso il primo grado) nel quale Raffaele Mincione è stato condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, euro ottomila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici. «Inoltre, il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme costituenti corpo dei reati contestati per oltre 166.000.000 di euro complessivi. Gli imputati sono stati infine condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidati complessivamente in oltre 200.000.000,00 di euro» afferma la sentenza di condanna.
La sentenza della Corte inglese emessa oggi ripercorre i fatti e spiega: «La Santa Sede ha accusato i ricorrenti di aver cospirato per truffarla, evidenziando relazioni ambigue tra i gestori del fondo e terze parti coinvolte, come Gianluigi Torzi. Tuttavia, nel processo penale in Vaticano, Raffaele Mincione è stato assolto per gli eventi del 2018 ma condannato per quelli del 2013-2014 (sentenza ancora in appello)».
La decisione dei giudici inglesi
I ricorrenti – ovvero le società di Mincione – avevano chiesto 31 dichiarazioni giudiziarie volte a confermare la loro buona fede durante le trattative e chiedevano anche di dichiarare che non vi fosse alcuna responsabilità civile nei confronti della Santa Sede in relazione alla transazione, se non in caso di frode.
La Corte inglese ha valutato la validità dei contratti, la trasparenza delle operazioni e la condotta delle parti coinvolte. La sentenza discute la complessità della transazione e il ruolo chiave di Mincione e Mons. Peña Parra. Il giudicemette in luce come la Santa Sede, priva di esperienza nel settore degli investimenti immobiliari complessi, sia stata tirata in ballo in transazioni rischiose, esponendosi a perdite finanziarie significative. Il tribunale ha esaminato il grado di trasparenza, le dinamiche interne alla Santa Sede e le responsabilità delle parti coinvolte e ha confermato la validità e l’efficacia del Framework Agreement e dello SPA (Sale and Purchase Agreement), dichiarando che questi sono vincolanti sia per Gutt che per la Santa Sede.
Il giudice ha rifiutato di dichiarare che i ricorrenti (Athena Capital, WRM e Mincione) abbiano agito in buona fede durante le negoziazioni e l’esecuzione del contratto. Ha sottolineato che alcune dichiarazioni fatte dai ricorrenti erano fuorvianti, come la valutazione dell’immobile a £275 milioni, che è stata giudicata non trasparente e potenzialmente ingannevole
Il giudice ha stabilito che i ricorrenti non hanno responsabilità civile verso la Santa Sede relativamente alla transazione, tranne nei casi di frode. Sebbene la condotta dei ricorrenti non sia stata considerata in buona fede, non sono stati riconosciuti elementi sufficienti per imputare loro una frode diretta in questa causa.
Il giudice ha riconosciuto che la Santa Sede si è trovata impreparata nella gestione di investimenti complessi e ha sottolineato che i ricorrenti non hanno adottato misure per proteggerla da comportamenti fraudolenti di terzi, come Gianluigi Torzi, che ha agito disonestamente durante la transazione. Torzi è stato condannato dal Tribunale Vaticano alla pena di anni sei di reclusione ed euro seimila di multa, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno.
Sebbene il giudice non abbia accolto la richiesta di dichiarare la buona fede dei ricorrenti, ha anche rigettato le accuse più gravi di cospirazione e disonestà generale, fornendo alle società di Mincione alcune dichiarazioni favorevoli su questi aspetti.
Il giudice ha lasciato aperta anche la possibilità per la Santa Sede di intraprendere ulteriori azioni legali in caso di frode comprovata contro i ricorrenti.
Il grande danno alla reputazione della Santa Sede
Il più grande danno che Papa Francesco ha arrecato allo Stato della Città del Vaticano e alla Santa Sede in questi 12 anni è proprio quello di immagine a motivo di un processo che ha solo creato problemi. La Santa Sede, poi, ha pensato bene di presentarsi davanti al tribunale inglese nonostante questa sia un soggetto di diritto internazionale. A Londra si è presentato il sostituto per gli affari generali, S.E.R. Mons. Edgar Peña Parra. Una cosa mai accaduta e che continua a minare la sovranità dello Stato della Città del Vaticano. Anche se vengono offerte delle valutazioni positive sull’operato della Santa Sede è comunque un danno perché questa non deve sottoporsi a giudizio di alcun giudice essendo un soggetto di diritto internazionale.
Non si è fatto attendere l’ignorante Alessandro Diddi, il quale è ancora in attesa di studiare il diritto canonico e vaticano, il quale ha rilasciato alcune dichiarazioni fuorvianti su Vatican News. L’avvocato romano che esercita all’interno di questo Stato pur non avendo alcun titolo, proprio come un altro illustre che ora è stato nominato giudice della Corte Costituzionale italiana, pensa di essere a processo con i mafiosi che ha difeso e quindi si lascia andare ad uscite. Non ha ancora capito che il Promotore di Giustizia deve agire con gli atti, proprio quelli che lui non è neppure capace di scrivere, e non con le interviste ai suoi amici giornalisti.
La Santa Sede non ha ancora dato risposte su chi ha fornito i documenti del processo alla stampa quando iniziò il processo dove Alessandro Diddi si è scagliato contro chierici e cardinali. Proprio come nessuno ha ancora chiarito come mai Diddi partecipa alle presentazioni dei libri di giornalaie che scrivono contro la Chiesa. Che questa gente sia qui a prendere soldi con stipendi voluminosi è chiaro, sul resto non è ancora stata fatta luce.
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