A tre anni dall’invasione russa Kiev è prostrata ma non piegata

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Milioni di poveri e disoccupati, centinaia di migliaia di invalidi e traumatizzati, miliardi di danni. Il paese distrutto da Putin però non si arrende, nonostante le minacce del presidente Usa

È sabato mattina e in una piazza dietro la stazione centrale di Kiev centinaia di persone si mettono in fila ordinatamente per partecipare alla distribuzione di cibo caldo, medicinali e vestiti organizzata ogni settimana dall’associazione Bes doma, “senza casa”.

 Sono in gran parte anziani che camminano lentamente sull’asfalto coperto di ghiaccio – nell’ultima settimana le temperature in tutta l’Ucraina sono improvvisamente precipitate sotto i -10 gradi e persino il grande fiume Dnipro sta iniziando a congelare.

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Secondo le statistiche ufficiali, dall’inizio della guerra la popolazione di senzatetto a Kiev è raddoppiata, da 40 a 80mila persone. I responsabili dell’associazione confermano questi numeri. In tre anni sono passati da distribuire 200 pasti ogni sabato a oltre 500. 

Tre anni di guerra hanno più che quintuplicato il tasso di povertà nel paese, dal 5,5 a quasi il 30 per cento, secondo la Banca mondiale, mentre la disoccupazione è quasi al 20 per cento.

Lo stato ucraino continua a operare soltanto grazie agli aiuti internazionali che coprono quasi la metà del budget pubblico. Senza gli oltre 30 miliardi di euro che ogni anno Europa, Stati Uniti e altri alleati versano all’Ucraina, il governo di Kiev non potrebbe pagare né stipendi, né pensioni.

Un esercito di mutilati

Dall’altra parte del centro storico di Kiev, a Maidan, è in corso una manifestazione – anche se in teoria sono vietate dalla legge marziale. Centinaia di familiari di soldati ufficialmente considerati “dispersi in azione” si sono radunati intorno al santuario improvvisato nei giardini della piazza per chiedere notizie dei propri cari. Alcuni stringono in mano fotografie, altri, i cui mariti, figli e fratelli hanno servito in alcune delle brigate più dissanguate dai combattimenti, tengono in mano interi striscioni. Le proteste dei familiari dei soldati sono divenute un appuntamento fisso nelle strade di Kiev e la polizia non è mai intervenuta.

Secondo i dati ufficiali diffusi pochi giorni fa dal presidente, Volodymyr Zelensky, 46mila soldati ucraini sono stati registrati come ufficialmente uccisi in azione, altri 380mila sono rimasti feriti. I dispersi sarebbero «decine di migliaia». La maggior parte di loro, con ogni probabilità, stata uccisa da tempo. Conteggi non ufficiali alzano il numero di morti ucraini in combattimento fino a 100mila.

Anche tra queste famiglie, è difficile trovare chi parla apertamente di far finire la guerra. E non solo per la difficoltà di esprimere queste posizioni in un paese in guerra dove la quasi totalità delle forze politiche e dei media mantiene una posizione pro-guerra. La maggioranza degli ucraini dichiara di volere negoziati di pace, ma soltanto un terzo è favorevole a fare concessioni territoriali per ottenere, mentre oltre metà ritiene che si debba continuare a combattere. 

L’Ucraina di Putin

Sono sondaggi da prendere con cautela, ricordano i sociologi. Ad esempio, non tengono conto dei sei milioni di ucraini che hanno lasciato il paese per rifugiarsi all’estero. Né dei milioni che vivono nei territori occupati o che si sono rifugiati in Russia. Sono persone che hanno, in media, opinioni meno nette sulla necessità di continuare a combattere e meno convinti del patriottismo ucraino diffuso nella parte di paese sotto controllo di Kiev. Allo stesso tempo, sono persone che in gran parte hanno deciso di non tornare in Ucraina e di proseguire all’estero la loro vita.

L’Ucraina a tre anni dall’invasione è un paese diverso non solo perché l’invasione e la sua brutalità hanno cambiato l’opinione di molti sulla Russia, vista negativamente dal 90 per cento degli ucraini – anche nell’Ucraina orientale e russofona è difficile trovare qualcuno che incolpa Zelensky e non Putin per la bomba che ha distrutto la sua casa –  ma anche perché molti di coloro che avevano opinioni differenti su Putin, l’Europa e la Nato, il paese lo hanno lasciato. La guerra di Putin ha di fatto contribuito a creare il paese che temeva l’Ucraina potesse diventare se fosse sfuggita al suo controllo: militarmente anti-russa, dotata di un esercito moderno, armato dalla Nato e in grado di tenere testa alle sue forze armate.

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Il fronte

Al fronte intanto la situazione resta difficile per l’esercito ucraino. Dal mese di dicembre, gli attacchi russi sono diminuiti e le armate di Mosca sembrano in una fase di riposo e ricostituzione. Ma l’esercito ucraino resta a corto di uomini. La mobilitazione non sta funzionando. E non perché manchino i soldati. Secondo le statistiche, in Ucraina ci sono ancora tra i due e i tre milioni di maschi in età militari. Il problema, secondo molti, è la mancanza di volontà politica. Il presidente Zelensky non ha mai messo in campo né il suo capitale politico né il suo talento comunicativo a sostegno del reclutamento, che insieme ai suoi alleati considera un tema politicamente tossico da cui tenersi alla larga.

Il reclutamento rimane caratterizzato da un mix di lassismo e violenza, con i reclutatori che ancora evitano le grandi città, mentre prelevano con la forza le persone nei villaggi. Al fronte di soldati sempre più anziani e meno motivati, mentre i veterani sono costretti a continuare a presidiare le trincee. Nonostante le difficoltà, dall’inizio dell’offensiva russa, nell’ottobre 2023, non si sono registrati episodi di resa o fuga di massa tra gli ucraini, i prigionieri catturati dai russi si contano in qualche centinaio e non ci sono stati sfondamenti del fronte.

Sono segnali tutti segnali che indicano come l’Ucraina abbia ancora spazio e risorse per continuare la lotta. L’arrivo di Donald Trump mette a rischio l’alleato più importante di Kiev – proprio sabato 22 febbraio, secondo Reuters, i negoziatori americani avrebbero minacciato di interrompere il servizio internet Starlink, fondamentale per civili e militari, se Kiev non cederà i diritti sulle sue risorse minerali. La Casa Bianca vuole forzare Kiev alla pace, ma se dai negoziati uscirà un’alternativa lontanamente accettabile alla guerra, milioni di ucraini accoglieranno con favore la pace. Ma in caso contrario, e se l’Europa manterrà il suo sostegno economico, non sarà il crollo del fronte interno, né quello dell’esercito a costringere Kiev alla resa.

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