Combattere i crimini del caporalato e dello sfruttamento

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 


Appena pubblicato da Futura editrice, Crimini e caporali (pp. 196, euro 15) raccoglie gli interventi di numerosi esperti su un fenomeno ancora molto difficile da estirpare in Italia, negli ultimi anni diffuso nel territorio nazionale in maniera sempre più capillare. Abbiamo intervistato i due curatori, Stefano Becucci e Vincenzo Scalia.

In che modo è stata pensata la struttura di questo libro?
Il libro nasce in un contesto legato all’organizzazione di un convegno tenutosi il 20 marzo 2024 a Firenze, aperto agli studenti del Polo di Novoli dell’università e alla cittadinanza, e che ha visto la presenza di esperti di settore, a cui è stato chiesto di tradurre in scrittura il loro contributo. Da qui la composizione di un libro a più voci, di aspetto interdisciplinare, attraverso la partecipazione di economisti, giuristi e sociologi. Il convegno aveva per titolo “Migranti e sfruttamento lavorativo in Italia”. Vogliamo aggiungere che venne organizzato a meno di un mese dalla tragedia di via Mariti, quando nel febbraio 2024, per la costruzione di un nuovo centro commerciale Esselunga, assistemmo alla morte di cinque persone per una trave caduta. Via Mariti si trova a meno di un chilometro dall’università.

I vostri interventi contenuti nel volume si occupano in maniera specifica del rapporto tra lavoro, lavoratori e sfruttamento…
Sì, abbiamo cercato di inquadrare questi temi all’interno dell’avanzata neoliberista, che si muove in direzione di una maggiore flessibilità, agendo sulla durata dei contratti e il contenimento dei costi. L’avvento di Thatcher e Reagan, la caduta del Muro, e la successiva globalizzazione, hanno determinato una crisi dell’offerta di lavoro dal basso. In Italia la manodopera non vuole più fare certi tipi di lavori: le lotte bracciantili, per fare un esempio, dopo gli anni 70 hanno semmai riguardato altri settori, e questi mutamenti hanno creato nuovi scenari.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

C’è chi dice che la vecchia agricoltura non esista più.
Non è che l’agricoltura non esista più; ma gli imprenditori, invece di investire nell’innovazione, puntano sullo sfruttamento della manodopera, e di conseguenza sulla violazione dei diritti, oltre alla flessibilità lavorativa. Ne scaturisce una giungla contrattuale fatta di politiche di contenimento del costo del lavoro che riduce le prerogative dei diritti a danno dei lavoratori, quelle che Alessandro Dal Lago in un celebre saggio ha definito “non-persone”. L’opportunità di flessibilizzare è stata così tradotta in termini di sfruttamento, non solo nell’agricoltura ma anche nell’edilizia, nella ristorazione: tutti settori-chiave dell’economia italiana, fattori trainanti. E sono aspetti, questi, riscontrabili non solo al Sud, come un tempo, ma anche al Centro-nord, in virtù dell’intermediazione di vari gruppi per una diversa collocazione della mano d’opera.

Una situazione che nel tempo sembra rimanere identica a se stessa.
Torna alla mente un articolo pubblicato 15-20 anni fa su Repubblica, riguardante lo sfruttamento lavorativo, che messo a confronto con l’oggi descrive la stessa situazione: anzi, lo sfruttamento lavorativo in Italia si è accentuato, assumendo una dimensione a macchia di leopardo, risalendo da Lazio e Toscana sino al Nord, in varie aree del Paese. Le differenze che si potevano rilevare sino agli anni 90, tra un Sud meno “allineato” e un Centro-nord con un migliore contesto economico e sociale, sono state offuscate in senso peggiorativo: quella “linea della palma” di cui scriveva Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta, negli ultimi trent’anni ha fatto registrare una preoccupante espansione mafiosa.

In che modo opera?
Riguarda in particolar modo i migranti, e si tratta di una tipologia di espansione che taglia i differenti contesti regionali in maniera pressoché uniforme, determinando una condizione strutturale di sfruttamento per migranti sia regolari che irregolari, perché questi non hanno altre alternative se non accettare il ricatto degli imprenditori, mentre i regolari, pur avendo un riconoscimento legale, sono sottoposti a una condizione di precarietà giuridica e di mancato riconoscimento dei diritti sociali ed economici. Tutto questo rimanda a un contesto nazionale più ampio, l’immagine di un Paese avanzato che però ancora estrae valore soprattutto dalla forza lavoro, investendo pochissimo in tecnologia, dunque rimanendo competitivo su scala internazionale solo grazie a forme intensive di sfruttamento del lavoro.

L’ultimo intervento contenuto nel libro, quello della segretaria della Cgil Toscana Gessica Beneforti, analizza il ruolo del sindacato nella lotta al caporalato, le azioni svolte in sede di contrattazione grazie ai patronati, l’organizzazione di mobilitazioni. Ci sono ulteriori strumenti per combatterlo?
La Cgil Toscana ha svolto e svolge un lavoro meritevole, lungo e faticoso, articolato su due piani: uno istituzionale, per coinvolgere le istituzioni locali e regionali insieme alle parti contrattuali, le associazioni locali, Confagricoltura, in un contesto di relazioni capitale-lavoro. C’è poi il protocollo d’intesa dei partenariati, per tentare di sensibilizzare la controparte imprenditoriale in tema di prevenzione delle forme di sfruttamento lavorativo. Al momento i contratti di partenariato coinvolgono alcune decine di imprese, che detto così sembrano poche, ma il coinvolgimento delle imprese richiede un lavoro molto lungo, e una lunga fase preparatoria. Infine le segnalazioni allo sportello, sorta di antenna attivata grazie a una rete territoriale per garantire forme di protezione, enti preposti all’ascolto di chi ha subìto o può subire maltrattamenti di vario tipo. Da questo punto di vista, si cominciano anche a riscontrare fenomeni di contrasto interessanti.

Di che tipo?
Di due tipi: dal basso si sta assistendo sotto traccia a un certo protagonismo da parte dei lavoratori stessi, lavoratori-migranti in estrema indigenza, non più disposti a sopportare minacce e violenze dalla criminalità organizzata. Sono aspetti da cogliere e inglobare all’interno di una lotta e di una strategia più ampie, un ponte tra vecchia e nuova classe operaia. Dall’alto, c’è da riflettere sul fatto che lavoratori precari professionali, precari esistenziali, dovrebbero essere tutelati da provvedimenti quali lo ius soli o ius scholae. Sarebbe un grande passo avanti nel percorso d’integrazione di questa nuova classe operaia e per l’intera società italiana, grazie a un trasferimento giuridico-formale, per un superamento delle dinamiche che si producono ora sulla nostra scena pubblica. Il caporalato si sconfigge anche attraverso l’integrazione di chi subisce il lavoro flessibile.

Servirebbero nuove politiche migratorie?
Qualsiasi politica migratoria sui criteri di ingresso e soprattutto di permanenza in Italia, non può avere come risultato quello di andare a ingrossare quella massa di persone potenzialmente sotto ricatto. Sembra che i nostri sovranisti abbiano di sottofondo un retro pensiero un po’ ipocrita, perché quando si inneggia a politiche sempre più restrittive, di fatto il risultato è produrre centinaia di migliaia di persone già presenti in Italia quale forza lavoro deprezzata, a vantaggio di imprenditori più o meno senza scrupoli. Un ragionamento retorico sul controllo dell’immigrazione che non viene mai messo in evidenza.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Il titolo del vostro lavoro sembra essere un evidente omaggio a uno dei più conosciuti libri di Alessandro Leogrande, tra i primi a denunciare nei suoi scritti il fenomeno del caporalato.
Quella di Alessandro è una perdita che lascia ancora sgomenti. Si parla spesso di giornalismo d’inchiesta, ma altrettanto spesso in Italia ci si focalizza sullo scoop, o sulle illazioni. Alessandro aveva il pregio di voler conoscere la realtà a fondo, senza cucire a priori un vestito teorico, o empirico. I suoi libri sono uno studio poliedrico che non ci restituisce solo una fotografia delle dinamiche del crimine organizzato, ma uno spaccato della società in termini di occupazione e industrializzazione, la costituzione e ricostruzione di un tessuto sociale, le tratte delle cosiddette economie sporche. Quindi sì, il riferimento c’è, è il nostro modo di rendere omaggio ad Alessandro Leogrande, e deve essere colto come un invito a raccogliere il suo testimone. Inutile dire che sarebbe stato meglio non raccoglierlo.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link