Consiglio Comunale: approvata unanimemente la mozione per il riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano.

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Microcredito

per le aziende

 


NOCI – Nel corso del Consiglio Comunale svoltosi lo scorso 19 febbraio, è stata unanimemente approvata una mozione, a firma della Consigliera Marta Jerovante. L’obiettivo internazionale che essa intende perseguire è della massima importanza. Si tratta di spronare il Governo Italiano ad «adottare tutte le iniziative necessarie volte a riconoscere la Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa, che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato di Israele, con la piena assunzione del reciproco impegno a garantire ai cittadini di vivere in sicurezza al riparo da ogni violenza e da atti di terrorismo, al fine di preservare nell’ambito del rilancio del processo di pace la prospettiva dei “due popoli, due Stati”», e a promuoverne analogo riconoscimento da parte dell’Unione Europea e in sede ONU. Non solo il PD, ma anche altre forze politiche hanno chiesto alla Consigliera Jerovante di compiere questo importante passo.

E’ stata la stessa Jerovante, in un suo lungo ed esaustivo post sui social, a dettagliare maggiormente gli obiettivi di pace e di uguaglianza che si intende perseguire.
Scrive infatti la Consigliera «Un passaggio certamente simbolico, ma dall’alto valore ideale, e che esprime la forte attenzione che anche una comunità come la nostra, a partire dai suoi rappresentanti istituzionali, deve riservare alle questioni più urgenti, complesse e drammatiche del nostro tempo e del mondo.
Peraltro il nostro voto arriva in un momento in cui, forse mai come prima, la prospettiva di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza appare quasi illusoria: dal premier israeliano Netanyahu a Ben-Gvir e Smotrich, rispettivamente ex ministro per la Sicurezza nazionale e ministro delle Finanze, la Destra israeliana mostra di avversare fortemente questa ipotesi, al punto da aver sancito, con un voto a maggioranza della Knesset nel luglio scorso, la creazione di uno Stato palestinese quale «minaccia esistenziale per Israele»; inoltre, come ha ricordato con profonda preoccupazione il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, «i cambiamenti amministrativi israeliani negli ultimi due anni hanno semplificato e accelerato il processo di approvazione degli insediamenti […] e alti funzionari israeliani parlano apertamente di annettere formalmente tutta o parte della Cisgiordania nei prossimi mesi».
Quasi 800.000 coloni israeliani vivono infatti in almeno 250 insediamenti e avamposti nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est, e negli ultimi 12 mesi, secondo i dati delle Nazioni Unite, Israele ha demolito nella West Bank quasi 1700 strutture palestinesi, principalmente case, e sfollato più di 4000 persone (il numero più alto di strutture distrutte in un anno da quando l’ONU ha iniziato a monitorare, nel 2009), mentre dal 2002 Israele si è sempre più addentrato in territorio palestinese con la costruzione di un muro che si estende per più di 700 km, con centinaia di ostacoli stradali e posti di blocco. La Cisgiordania si configura dunque come un territorio fortemente frammentato, per non parlare di Gaza, trasformata dopo il 7 ottobre nella rappresentazione reale dell’apocalisse. In campo palestinese, la soluzione dei due Stati era sempre stata accettata dalla popolazione, per porre fine all’occupazione e all’oppressione e per vivere in pace e sicurezza; tuttavia le violenze e le vessazioni da parte dei coloni e dei militari, divenute sempre più frequenti, hanno fatto riemergere vie alternative, anche la fiducia in una lotta popolare, che escluda gli atti terroristici, se non l’idea di una “resistenza fino alla vittoria”.
Come ha però ricordato il Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Philėmon Yang, la soluzione dei due Stati resta “l’unica via per una pace duratura”, per quanto tutt’altro che a portata.
Appaiono dunque difficilmente comprensibili le ragioni che hanno indotto il Senato della Repubblica Italiana, lo scorso 28 gennaio, a respingere la mozione delle opposizioni sul riconoscimento italiano ed internazionale dello Stato di Palestina, soprattutto alla luce delle reiterate dichiarazioni della Presidente del Consiglio – che evidentemente restano solo tali: giustificazioni quali il timore che un riconoscimento affrettato favorisca entità non rappresentative come Hamas, l’assenza di condizioni giuridiche per il riconoscimento, data l’assenza di confini certi e di un Governo unitario, la necessità che il riconoscimento avvenga solo in un contesto di pace e sicurezza e con il pieno riconoscimento di Israele, laddove invece va rimarcato – come hanno fatto le opposizioni – che il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina è un atto politico necessario per avviare un reale processo di pace, ed è il riconoscimento di un diritto all’autodeterminazione, non già un atto contro Israele.
Sebbene molti osservatori ed attivisti ritengano morta la formula “due Stati, due popoli”, «giudicata irrealistica e deleteria per il popolo palestinese, pericolosa e minacciosa per gli ebrei israeliani», nonostante si assista ad una regressione dal diritto naturale a sostegno dei diritti umani al diritto di natura nel senso del diritto del più forte, alla mortificazione e allo svilimento della diplomazia, delle Corti di giustizia, degli organismi internazionali e delle agenzie umanitarie, nonostante il carico di morte, distruzione, di danni psicologi e fisici permanenti provocato a Gaza dalla reazione di Israele «minacci sia il tessuto che il futuro della società palestinese per le generazioni a venire», come ha ricordato Alexandra Saieh, responsabile globale delle politiche umanitarie e di advocacy di Save the Children, «pur carica di incognite e giganteschi ostacoli, l’opzione “due popoli, due Stati” indica un percorso. Lungo, doloroso, carico di rinunce per gli uni e per gli altri, ma ad oggi quello politicamente più realistico e sostenibile.
La Storia ci insegna che i muri si possono abbattere, i confini si possono rivedere, gli insediamenti si possono spostare, che la comunità internazionale può svolgere un’azione di garanzia e mediazione.
La pace ha un prezzo altissimo, ma è sempre più basso di quello, disumano e immorale, della guerra». E non c’è mai vera pace senza giustizia».

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link