Fast fashion, come rinascere la vera sostenibilità

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Si è appena conclusa la ventunesima edizione di M’illumino di Meno, la Giornata Nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di Vita Sostenibili, promossa da Rai Radio2 e dal programma Caterpillar. Quest’anno, l’iniziativa è durata dal 16 al 21 febbraio e ha puntato i riflettori sullo spreco energetico nel settore della moda, un’industria ad alto impatto ambientale. L’obiettivo principale è stato sensibilizzare il pubblico su comportamenti più responsabili, come l’acquisto consapevole, il riutilizzo e il riciclo dei capi d’abbigliamento.

Come ogni anno, il gesto simbolo dell’iniziativa è stato lo spegnimento delle luci, un’azione che vuole richiamare l’attenzione sulla necessità di ridurre gli sprechi energetici. Quest’anno, anche il Palazzo del Quirinale ha aderito all’iniziativa, spegnendo le proprie luci come segno concreto di partecipazione da parte delle istituzioni.

Anche numerose istituzioni hanno aderito con progetti specifici. Diverse Università, come quelle di Varese e Como, hanno organizzato lo spegnimento simbolico delle luci e distribuito kit per il cucito agli studenti, promuovendo la riparazione degli abiti come alternativa all’acquisto di nuovi capi. L’Università degli Studi di Brescia ha diffuso un vademecum sull’efficienza energetica e realizzato video sul riuso e il riciclo nel settore moda, coinvolgendo attivamente la comunità accademica.

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Dalla consapevolezza al cambiamento

Anche enti locali hanno partecipato con iniziative mirate. I Comuni hanno promosso eventi per sensibilizzare i cittadini sullo spreco energetico legato al fast fashion, incoraggiando pratiche virtuose come lo scambio di abiti e l’upcycling, ovvero prendere capi inutilizzati e reinventarli in pezzi più alla moda. L’Agenzia delle Entrate ha invitato i propri dipendenti a sperimentare forme di mobilità sostenibile, come il “bike to work” e il car-pooling, durante la settimana dell’iniziativa.

Sebbene M’illumino di Meno rappresenti un’importante occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica su sostenibilità e risparmio energetico, è fondamentale interrogarsi sulla reale efficacia di tali iniziative.Se da un lato queste campagne aumentano la consapevolezza, dall’altro il rischio è che si traducano in semplici gesti simbolici, senza generare un cambiamento strutturale duraturo.

La scelta di concentrarsi sul settore della moda e sul fast fashion è certamente rilevante, considerato il forte impatto ambientale del settore. Tuttavia, l’approccio simbolico, come lo spegnimento delle luci o la promozione solo temporanea di determinate attività, rischia di limitarsi a gesti superficiali se non accompagnato da politiche strutturali e da un cambiamento culturale profondo.

Come riconoscere la vera sostenibilità

In un mercato sempre più attento alle tematiche ambientali, molti brand proclamano la propria sostenibilità, ma non tutte queste dichiarazioni corrispondono a pratiche reali. Questo fenomeno, il cosiddetto greenwashing, inganna i consumatori facendo apparire eco-friendly aziende che in realtà non lo sono.

Un brand veramente sostenibile fornisce sempre informazioni chiare sulle proprie pratiche produttive, sui materiali utilizzati e sulle condizioni di lavoro nelle proprie filiere. Un modo per capirlo è controllare la presenza di certificazioni affidabili, come il Global Organic Textile Standard (GOTS) per i tessuti biologici o il Global Recycle Standard (GRS) per i materiali riciclati. Questi attestati garantiscono il rispetto di determinati standard ambientali ma anche sociali.

Le aziende sostenibili privilegiano tessuti naturali, riciclati o rigenerati. Un prezzo eccessivamente basso è spesso indice di sfruttamento e bassa qualità. Numerose inchieste sui marchi più conosciuti e diffusi, come Shein, H&M ma anche Zara, hanno confermato l’insostenibilità ambientale delle loro scelte produttive e i danni ambientali che ne conseguono. Per riconoscere quali brand sono sostenibili esistono anche piattaforme come “Good On You” o “Fashion Checker” per ottenere valutazioni imparziali sulla sostenibilità dei brand.

L’impatto della moda

Acquistare prodotti di seconda mano è un ottimo modo per ridurre l’impatto ambientale, ma è fondamentale evitare acquisti impulsivi solo perché a basso costo. App come Vinted facilitano il riuso, ma è importante che il consumo rimanga responsabile. La vera sfida non è solo comprare meglio, ma comprare meno.

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M’illumino di Meno ha il merito di riportare al centro dell’attenzione il tema della sostenibilità nella moda, evidenziando il peso ambientale di un settore dominato dal fast fashion. Tuttavia, perché queste iniziative abbiano un impatto duraturo, è necessario che la sensibilizzazione si traduca in scelte concrete da parte di consumatori, aziende e istituzioni.

Ridurre l’impatto ambientale della moda non significa solo spegnere le luci per un giorno o promuovere il riuso in un evento simbolico, ma cambiare profondamente il nostro rapporto con i vestiti, quindi acquistare meno, scegliere meglio e pretendere trasparenza dalle aziende. Solo così si potrà passare da una moda che consuma il pianeta a una moda che lo rispetta.

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